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Patocenosi di Covid-19: un tributo a Mirko Grmek

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La teoria della patocenosi, elaborata dal grande storico della medicina Mirko Grmek, apre a una visione ecologica delle malattie in equilibrio dinamico fra loro. A volte una malattia ne eclissa altre, come fece la peste nera con vaiolo e morbillo. Comune è anche la sinergia fra loro, come le coinfezioni e il potenziamento della malattia stessa dovuto alla risposta parossistica degli anticorpi, come nel caso del nuovo coronavirus. La lente della patocenosi chiarisce anche le caratteristiche della pandemia da SARS-CoV-2, che emerge dal combinato della promiscuità uomo-animale nei wet market cinesi ma spicca il volo per la loro adiacenza con i centri direzionali abitati da individui che si spostano continuamente e rapidamente a livello planetario. E spiega anche il fatto che SARS-CoV-2 utilizzi per entrare nelle cellule dell’ospite un recettore che si trova espresso in quantità più significative nelle persone anziane e nelle persone colpite dalle patologie cosiddette del benessere, proliferando in un ecosistema sanitario avanzato che per rispondere a queste malattie ha abbassato la guarda sul territorio e aumentato la disponibilità di metodi di intervento salvavita come le terapie intensive. Si crea così un circolo virtuoso ma perverso per la diffusione del parassita, che sancisce la superiore intelligenza collettiva dei germi su ogni attuale forma di intelligenza collettiva umana o artificiale.
Nell'immagine, Mirko Grmek (1924-2000).

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Il famoso detto di Cicerone – Historia magistra vitae – ha un valore limitato e pragmatico per lo storico delle malattie. Nel campo dell’epidemiologia, se la storia non insegna infatti cosa dobbiamo fare nel presente per garantirci un futuro migliore, nondimeno consente di capire meglio cosa sta accadendo davanti ai nostri occhi e può metterci in guardia dall’intraprendere azioni nefaste. Mirko Grmek, Pathological Realities, 2019

Venti anni fa moriva Miko Grmek, tra i più importanti se non il più autorevole e intellettualmente comprensivo storico della medicina del Novecento. Nato nel 1924, la sua enorme erudizione (parlava sette lingue e ne leggeva altre cinque o sei) e il penetrante senso della logica argomentativa e dello humor suscitavano ammirazione, e un po’ intimidivano. Decise lui quando era il momento di andarsene: affetto da una malattia neurodegenerativa incurabile, la visse con autocontrollo e determinazione formidabili, che forse gli derivavano anche dalla sua spiccata identità croata.

Studioso e curatore degli archivi di Claude Bernard, ha pubblicato studi fondamentali su Leomardo da Vinci, sulla storia della chirugia, delle dottrine dell’invecchiamento, dell’endocrinologia, della medicina antica, della scuola anatomo-clinica di Parigi, della diffusione del metodo sperimentale nelle scienze biomediche, sull’evoluzione delle definizioni di salute e malattia, sulla creatività scientifica, etc. Le sue idee più originali riguardano la storia e le dinamiche delle malattie umane: fu protagonista, da storico, del dibattito sulle origini, le cause e le dimensioni sociali dell’AIDS, pubblicando nel 1989 un libro tradotto in numerose lingue e più volte ristampato, Aids. Storia di una epidemia attuale (Laterza). Grmek concepì una teoria sulle dinamiche storiche delle malattie fondata sul concetto di patocenosi, che applicherebbe con cristallina lucidità a Covid-19.

Genesi e struttura del concetto di patocenosi: quando la storia della medicina si nutre di scienza

Nel 1969 Grmek pubblicava un saggio intitolato Préliminaire d’une étude historique des maladies, nel quale suggeriva agli storici della medicina, e al mondo medico e degli storici in generale, che per comprendere davvero quanto e come le malattie hanno plasmato e plasmano “il destino umano” occorre far riferimento a un quadro teorico più ampio di quelli tradizionalmente usati, fondandolo su tre proposizioni:

  1. gli stati patologici in seno a una popolazione determinata, definita nei tempi e nello spazio, costituiscono un insieme che si può chiamate patocenosi;
  2. la frequenza e la distribuzione di ciascuna malattia dipendono, oltre che da diversi fattori endogeni ed ecologici, dalla frequenza e dalla distribuzione di tutte le altre malattie;
  3. la patocenosi tende verso uno stato di equilibrio, cosa che si avverte particolarmente in una situazione ecologica stabile

Il termine era un neologismo costruito sulla nozione di biocenosi, che in ecologia caratterizza l’insieme di tutti gli organismi presenti in un ecosistema, e denotava l’insieme delle malattie presenti all'interno di una data popolazione in un determinato momento. All’origine del concetto vi erano gli studi di geografia medica prodotti dalla scuola francese, in primis l’idea di “complessi patogenici” enunciata nel 1933 da Maximilian Sorre ma, soprattutto, i lavori di Jacques May (1952-58) sull’ecologia delle malattie e le idee del microbiologico René Dubos (1954-58) sulle dinamiche fisiologiche adattative nel mondo microbico in rapporto con la storia delle malattie infettive. Senza dimenticare il premio Nobel Charles Nicolle, autore nel 1933 di Destin des maladie infectieuse, che Grmek apprezzava e criticava allo stesso tempo in quanto, sollevando il problema di rintracciare l’origine delle malattie nel momento in cui diventavano evidenti, le considerava “nuove” e quindi non già esistenti o emergenti come sarebbe più corretto dire.

Egli ipotizzava l'esistenza di una dinamica globale delle malattie, di cui sarebbe possibile determinare qualitativamente e quantitativamente i parametri nosologici in un dato contesto spazio-temporale, e all'interno della quale la frequenza e la distribuzione di ogni malattia sarebbe condizionata dalla frequenza e dalla distribuzione di tutte le altre malattie. Un postulato della teoria prevede che la patocenosi tenderebbe verso uno stato di equilibrio, soprattutto in una situazione ecologica stabile, con un piccolo numero di malattie molto frequenti e un grande numero di malattie molto rare.

L'emergere di nuove malattie o la scomparsa di malattie esistenti sarebbe dovuto a una rottura dell’equilibrio prodotta dalle modificazioni delle condizioni ecologiche che possono per esempio aprire nuove vie di trasmissione agli agenti infettivi. La patocenosi è uno stato che tende all'equilibrio ma si trova in uno stato di squilibrio costante. Per ogni data popolazione, nel tempo si vedranno prevalere malattie diverse, che coesistono, hanno successo o vengono gradualmente sostituite da altri.

Grmek ha usato il concetto di patocenosi per descrivere l’evoluzione delle malattie umane, identificando nelle grandi transizioni epidemiologiche che saranno descritte nel primo capitolo altrettante “rotture della patocenosi”. Relativamente all’equilibrio tra le malattie infettive, Le principali rotture si sono avute con la transizione all’agricoltura, con la cosiddetta scoperta delle Americhe e l’”unificazione microbica del mondo”, con la rivoluzione industriale e medico-sanitaria e la transizione da una patocenosi dominata da malattie infettive a una in cui la parte del leone la fanno le malattie degenerative (in particolare cardiovascolari, metaboliche e cancro) e, infine, con l’emergere di nuove malattie infettive o il riemergere di infezioni antiche come conseguenza delle trasformazioni ecologiche, dei viaggi intercontinentali e delle sopravvivenza di persone immunodepresse nelle moderne società sviluppate.

La ricerca intesa a descrivere e spiegare le patocenosi mira a comprendere i meccanismi di emergenza delle malattie e richiede un approccio multidisciplinare: storici, geografi della salute, filologi, epidemiologi, matematici e specialisti di malattie emergenti si ritrovano nello stesso flusso dinamico di pensiero.

Un modello naturalistico delle dinamiche epidemiologiche

In tempi in cui chiunque sappia smanettare con algoritmi ed equazioni può dilettarsi a fare e a pubblicare modelli della diffusione di Covid 19 - anche se non conosce la differenza tra virus e batteri -, può essere utile ricostruire l’epistemologia alla base del concetto di patocenosi.

La patocenosi è determinata da fattori come la geografia, la storia (in quanto dipende dalla precedente circolazione delle malattie), la possibile presenza e la biologia dei parassiti patogeni e dei loro vettori, la vita sociale ed economica, etc. Il postulato epistemologico di base è la stabilità delle leggi della natura, ovvero si assume che negli ultimi millenni le leggi biologiche, che determinano gli eventi patologici, non siano andate incontro a cambiamenti sostanziali. Inoltre, tenendo conto dell'evoluzione biologica umana, si può anche assumere una relativa costanza della nostra fisiologia complessiva, almeno dalla rivoluzione agricola se non dal Paleolitico.

Partendo da questo presupposto “uniformista”, i meccanismi biologici incorporati nelle malattie del mondo antico sarebbero rimasti gli stessi. Quindi, se esistono differenze tra malattie attuali e passate, secondo Grmek ciò può essere spiegato attraverso le differenze dei fattori esterni (disturbo, habitat, attività lavorative e ricreative, pratiche terapeutiche, ecc.) e i cambiamenti nelle relazioni tra esseri umani, patogeni germi e i loro vettori.

Questo vale anche per le malattie crono-degenerative, inevitabilmente legate all'invecchiamento dell'organismo umano, ma anche per le malattie, relativamente rare, legate ad anomalie cromosomiche, la cui frequenza è dovuta a un equilibrio che si stabilisce tra il tasso di mutazione e la pressione selettiva dell'ambiente. A questo proposito, esempi classici sono le emoglobinopatie e altre forme di resistenza genetica a P. falciparum negli ambienti malarici. Un ulteriore caso in cui la patologia sembra essere associata a cambiamenti nell'ambiente, in particolare alle abitudini sociali, è la sindrome di Down o trisomia 21, che ha sempre lo stesso tasso di rischio, direttamente proporzionale all'età della madre. Il motivo per cui è più frequente nell'età moderna che nell'antica Grecia, è che l'età della madre al momento del concepimento è diventata più alta.

Come i rapporti tra malattie modulano la patocenosi

Il concetto di patocenosi struttura l'emergenza della malattia, definita come un fenomeno temporale (emergenza, sensu stricto) e spaziale (il territorio della malattia). La patocenosi per Grmek non si limita a descrivere gli stati patologici, in quanto postula che la frequenza e la distribuzione di ciascuna malattia dipenda dalla frequenza e dalla distribuzione di tutte le altre.

Le interdipendenze tra stati patologici sono descritte in letteratura come forme di antagonismo, sinergia o indifferenza. Un esempio di antagonismo riguarda l’aumentata frequenza della peste nera, che introdusse una forte competizione tra patogeni in circolazione a quel tempo, come vaiolo e morbillo, che avevano provocato epidemie prima dell’arrivo di Yersinia pestis e che riemersero dopo il XVIII secolo, quando la peste se ne andò dall’Europa. L’antagonismo può essere indiretto: il vaiolo aumentò la frequenza dell’allele CCR5-Δ32, che è protettivo nella popolazione europea (circa 10%), e che procura resistenza contro HIV, per cui modula la patocenosi dell’AIDS.

La co-infezione con più di un patogeno è la norma e non l’eccezione, e questo condiziona le risposte immunitarie, cioè si determinano complesse e mutue regolazioni delle risposte tra gli agenti: si conoscono, per esempio, gli effetti deleteri dei nematodi nelle risposte alla malaria e a HIV, o rispetto all’efficacia di alcuni vaccini. Un’interazione diretta tra i parassiti è documentata tra il virus dell’epatite D e quello dell’epatite B, che impedisce al primo di sintetizzare la proteina del capside. Sempre per quanto riguarda l’antagonismo, l’anemia ostacola l’infezione da plasmodi e un’infezione latente da herpes murino nel topo conferisce resistenza a Yersinia pestis, mentre gli anticorpi contro dengue proteggono dalla febbre gialla sperimentale – il che spiegherebbe perché la febbre gialla non sia arrivata in Asia data la diffusa immunità a dengue tra le popolazioni asiatiche.

Tra i rapporti di sinergia, cioè quando una malattia facilita la diffusione di un’altra si possono ricordare il fenomeno del potenziamento dipendente da anticorpi, che si osserva con i virus dengue, zika e febbre gialla, nonché con i coronavirus. Si è, inoltre, osservato che due infezioni consecutive da diversi sierotipi di dengue possono favorire la dengue emorragica ed esiste l’ampio fenomeno delle malattie opportunistiche, che gli immunidepressi possono facilmente contrarre, quali le infezioni da pneumocisti, toxoplasma o sarcoma di Kaposi.

Tassonomia delle malattie emergenti

Nel 1993 Grmek pubblicava un lucido saggio intitolato The concept of emerging disease. Il termine “emergente” dovrebbe sostituire definitivamente quello di “malattia nuova”, usato già dalla medicina egizia e poi da quella greca per denotare le malattie importate da altre regioni o paesi. L’emergenza di una malattia non è un evento di creazione spontanea, ma dipende dai cambiamenti delle condizioni ecologiche e dagli sviluppi dei modelli medici di malattia.

Una malattia può essere definita emergente in almeno cinque situazioni storiche.

  1. se esisteva già ma era ignorata da un punto di vista medico perché non poteva essere concettualizzata come entità nosologica; per esempio nel Rinascimento si pensava che tifo esantematico o parotite fossero malattie nuove, ma non lo erano, e anche l’Aids esisteva da prima che emergesse ma è stato possibile definirne l’entità nosologica solo dopo che la biologia molecolare ha sviluppato i concetti necessari per descriverlo e definirlo;
  2. se esisteva ma non si era notata fino a un cambiamento quantitativo e/o qualitativo nelle sue manifestazioni; dato che il virus da solo non è la causa di una epidemia, nel senso che servono altre concause come lo stato immunitario dell’ospite, i vettori, altri parassiti concomitanti, etc. una malattia viene notata quando si creano le condizioni, come nel caso della legionellosi che faceva la sua prima comparsa pubblica nel 1976 a Filadelfia, oppure di numerose malattie iatrogene;
  3. se non esisteva in una particolare regione del mondo prima della sua introduzione, proveniente da altre aree; il caso più eclatante è l’introduzione della sifilide in Europa, ma anche del vaiolo o della febbre gialla in America
  4. se non è mai esistita in una popolazione umana, ma è passata a essa da una popolazione animale; numerosi agenti sono passati dagli animali domestici all’uomo con l’invenzione dell’agricoltura, tubercolosi e vaiolo in primis, ma anche l’influenza, e più recentemente Ebola e i virus SARS
  5. se è completamente nuovo il germe scatenante e/o le condizioni ambientali necessarie non esistevano prima delle prime manifestazioni cliniche; in questa categoria di emergenza in senso forte rientrano l’encefalite letargica nei primi decenni del Novecento, forse variante di un virus influenzale, e il colera che prima del 1830 non esisteva in Europa

Dalla patocenosi all’epidemiologia evoluzionistica

Chi scrive, durante gli anni Novanta ebbe modo di discutere con Grmek quali rapporti egli intravvedesse tra la sua visione ecologica e olistica delle dinamiche epidemiologiche e quella schiettamente neodarwiniana e riduzionistica della medicina evoluzionistica proposta da Randoph Nesse e George William a partire da un famoso saggio del 1991 – The dawn of Darwinian medicine. Grmek è morto e non ha senso riportare ricordi che il tempo della memoria ha reso certamente falsi. Si possono, però, fare ragionamenti a partire dai testi di Grmek e, quindi, fare qualche ipotesi e trovare possibili consonanze che possono fornire strumenti per leggere l’epidemia che sta attualmente spaventando il pianeta.

Il concetto di patocenosi fa riferimento alla tradizione di geografia delle malattie e di ecologia dei microbi. In realtà, il problema delle dinamiche naturali delle malattie, in particolare quelle contagiose, fu discusso da prima di Darwin e delle moderne dottrine ecologiche. I medici si recavano in diverse aree geografiche del pianeta, constatavano che al variare della latitudine (più che della longitudine) cambiavano le malattie prevalenti, discutevano dei rischi di malattia a cui si andava incontro viaggiando dalle zone temperate verso i tropici e delle strane manifestazioni legate ai processi di acclimatamento. Si constatavano fenomeni di adattamento alle malattie locali, che Darwin riportava nei suoi testi come indicativi dell’azione della selezione naturale. Dopo Darwin, furono fatti diversi tentativi di applicare il modello della selezione naturale agli andamenti delle epidemie. L’idea che ebbe più successo fu che i parassiti avrebbero un interesse a ridurre la loro virulenza a vantaggio di una maggiore capacità di trasmettersi se non uccidono l’ospite.

L’idea si presentava con il corollario che i parassiti sarebbero tanto più virulenti quanto più è recente il passaggio all’ospite. Diversi parassitologi confutarono presto questa implicazione e, quando le idee neordarwiniane si diffusero in biologia negli anni Sessanta, si comprese che ai parassiti poteva convenire ridurre o aumentare la virulenza a seconda dei contesti e sempre in funzione di un vantaggio riproduttivo. Nei primi anni Ottanta emergeva la teoria del compromesso, con la formulazione di R0 da parte di Roy Anderson e Robert May (1982), e con gli studi di Paul Ewald (1983). L’idea è semplice: R0 o tasso di riproduzione di base definisce la fitness del parassita e dipende dal tasso di trasmissione al numeratore, e dalla guarigione e della virulenza al numeratore. Quindi un parassita se vuole avere una fitness elevata deve trovare un compromesso fra questi tre fattori: scegliere come Achille se vuole una vita breve e gloriosa o una lunga, ma insignificante.

Tuttavia, Paul Ewald ha mostrato che la virulenza dei microrganismi infettivi varia in relazione all'attività di selezione naturale su quei fattori che ne facilitano la trasmissione. Facendo ricorso a diverse prove epidemiologiche sulle malattie infettive, in cui i "vettori culturali" hanno un ruolo predominante, come l'acqua per il colera e i noti fattori di rischio per l'HIV, ma usando anche l’antropofilia esclusiva del vettore di malaria Anopheles gambiae, ha verificato che, dal punto di vista del singolo parassita, un aumento nella virulenza può essere significativamente più vantaggioso per massimizzare la trasmissione dei suoi geni.

I concetti dell’epidemiologia evoluzionisti arricchiscono la teoria della patocenosi, in quanto forniscono ulteriori elementi per spiegare come i cambiamenti ambientali, inclusa la presenza di altri parassiti, funzionano quali fattori selettivi nel modulare le manifestazioni cliniche e, quindi, l’impatto sanitario delle malattie.

Patocenosi di Covid-19

Quali ragionamenti ispirano l’idea di patocenosi e la teoria dell’epidemiologia evoluzionistica nel contesto della pandemia da Covid-19? Covid 19 non è indice di una rottura della patocenosi, ma si tratta di un’infezione emergente, che ricade nella quarta categoria sopra descritta. Il virus non è stato costruito in laboratorio (cosa che non esclude che possa essere sfuggito da un laboratorio dove era coltivato, infettando qualche ricercatore), come vorrebbero i complottisti o coloro che cercano voti politici usando come propaganda il complottismo.

Verosimilmente è emerso all’interno di un ecosistema particolare, dove forse l’aspetto caratterizzante non sono tanto i cosiddetti wet market in sé, ma l’adiacenza fra contesti dove esiste un costante flusso di virus presenti in animali selvatici, i wet market cinesi appunto, e imponenti centri direzionali abitati da individui che si spostano continuamente e rapidamente a livello planetario. Anche in questo caso, l’ecologia ha consentito e favorito l’emergere della malattia.

Non meno importante sul piano della patocenosi è stato il fatto che SARS-CoV-2 utilizza per entrare nelle cellule dell’ospite un recettore che si trova espresso in quantità più significative nelle persone anziane e nelle persone colpite dalle patologie cosiddette del benessere (cardiovascolari, diabete, etc.). L’evoluzione demografica e l’adattamento dei sistemi sanitari alla gestione delle malattie croniche, con la creazione delle RSA e lo smantellamento dei presidi territoriali, a fronte della disponibilità di metodi di intervento salvavita come le unità di terapia intensiva, hanno creato un circolo virtuoso ma perverso per la diffusione del parassita.

Questo virus è, quindi, favorito dalla patocenosi del mondo occidentale e prevedibilmente differenzierà il proprio comportamento calibrando la virulenza e l’infettività più o meno localmente, in attesa di un rimescolamento delle carte quando i viaggi intercontinentali riprenderanno più o meno regolarmente. È verosimile aspettarsi un’attenuazione della virulenza o dell’infettività, a fronte del fatto che il distanziamento fisico dovrebbe selezionare ceppi in grado di persistere più a lungo nell’ospite, in forma asintomatica o lieve, per consentire buone probabilità di trasmettersi da un ospite a una persona suscettibile.

Ma non è detto. Se la trasmissione si dovesse mantenere efficiente tra la popolazione asintomatica, con sintomi lievi o parzialmente immune, potrebbe mutare e causare malattie più gravi anche nella popolazione oggi non colpita o meno colpita. Nessuno è in grado di dire quali strade prenderà. La capacità di “calcolo” dell’intelligenza collettiva espressa dalle popolazioni virali, per trovare soluzioni adattativo alle risposte difensive umane, supera ancora largamente il potenziale di qualunque presunta intelligenza collettiva umana o artificiale.

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