Dopo il pomodoro e la fragola-pesce, l’ultima protagonista
della disinformazione sugli organismi transgenici è la capra-ragno. A
differenza degli altri due questa però esiste davvero, si chiama Freckles e vive in una fattoria gestita
dall’Università dello Utah.
A concepirla, se così si può dire, è
stato Randy Lewis, docente di
genetica di quell’ateneo, che ha pensato di inserire nel DNA dell’ovino il gene
che consente ai ragni di produrre il filo con cui tessono la loro tela: una
sostanza dalle proprietà fisiche straordinarie, soprattutto per la sua
resistenza, che potrebbe essere utilissima in medicina, per esempio per
ricostruire legamenti rotti. Per ricavarne grandi quantità basta estrarla dal
latte della capra, che, grazie alla manipolazione genetica, ne contiene in
abbondanza.
“Il
Guardian, che ha diffuso la notizia,
lo ha fatto però con un titolo che trae in inganno” spiega Mauro
Giacca, direttore dell’ICGEB, il Centro internazionale per l’ingegneria
genetica e le biotecnologie di Trieste, “perché
lascia supporre che l’animale sia prodotto della biologia sintetica, mentre la capra che produce filo di
ragno è solo un tipico animale transgenico, o geneticamente modificato,
ottenuto con i metodi dell’ingegneria genetica, che sono noti da decenni”.
In medicina infatti si usano abitualmente già circa 200 proteine fatte produrre
a livello industriale da batteri o lieviti nel cui DNA è inserito il corrispondente
gene umano. La prima, e la più comune, è l’insulina usata dai diabetici, che
viene ottenuta in questo modo da più di trent’anni e che in questa sua forma,
detta “ricombinante” ha definitivamente soppiantato quella estratta dal
pancreas degli animali, molto meno pura e sicura.
Randy Lewis non è nemmeno il primo ad aver fatto il
passaggio dal laboratorio alla fattoria, cercando di arricchire di sostanze
utili il latte degli animali. Già ci sono pecore che forniscono fattori della
coagulazione per gli emofilici in maggiore quantità di quel che si ottiene in vitro e mucche capaci di produrre nel
latte sostanze antibatteriche che le proteggono dalle mastiti.
“Si può produrre un
latte più nutriente, oppure privo di lattoglobulina e lattosio, e perciò adatto
anche a chi è allergico o intollerante a questo alimento” prosegue Giacca. “Sono stati modificati i salmoni, perché crescano di
più, e tutti i vegetali detti OGM, come il famoso golden rice, il riso arricchito di vitamina A per supplire alla
carenza tipica dei Paesi asiatici”.
In questi casi si tratta di prodotti destinati direttamente
all’alimentazione, ma qual è il vantaggio di far fare a una capra una sostanza che
potrebbe essere sintetizzata da un batterio in laboratorio? “Questa modalità è più
conveniente da un punto di vista industriale” risponde Riccardo Cortese, tra i fondatori dell’Istituto di Ricerche di
Biologia Molecolare (IRBM) di Pomezia e attualmente amministratore delegato della biotech Okairos, “e
consente di ottenere proteine più complesse”.
“Tutto questo si chiama “ingegneria genetica” ma di ingegneristico non ha nulla”
precisa Diego Di Bernardo, del
TIGEM, l’Istituto Telethon di Genetica e Medicina di Napoli, che non a caso,
proprio da ingegnere, dirige il laboratorio di biologia sintetica dell’Istituto
di ricerca napoletano. “La biologia
sintetica invece sì che è un lavoro da ingegneri: non si tratta qui di inserire
o modificare singoli geni, ma di studiare veri e propri circuiti, come quelli
elettronici, e inserirli nelle cellule, perché svolgano determinate funzioni
solo in risposta a particolari stimoli”.
Non soltanto creare una cellula capace di produrre una
tossina, quindi, ma che lo faccia soltanto quando riconosce i marcatori di un
tumore da eliminare, per esempio. Per tornare al caso dell’insulina, se
l’ingegneria genetica è in grado di spingere la cellula di un lievito a
produrre l’ormone in maniera continuativa, la biologia sintetica potrebbe far
sì che le cellule da trapiantare nel pancreas rilasciassero la proteina solo a
determinate ore, in corrispondenza dei pasti, o in risposta a uno stimolo come
l’aumento dei livello di glucosio nel sangue, proprio come avviene in natura.
Non si parla più quindi del trapianto di singoli geni, ma di circuiti
complessi, che rappresentano l'interazione di migliaia di geni. Questi circuiti
vengono descritti con equazioni matematiche, si progettano al computer, sempre
al computer se ne simula il funzionamento per poi ricrearli in laboratorio e infine
inserirli nelle cellule.
Le componenti di questi circuiti sono raccolte in una sorta di banca, il Registry
of Standard Biological Parts, dove sono depositate a migliaia, e da dove
possono essere ottenute da chiunque gratuitamente.
La biologia sintetica così
diventa quasi un gioco da ragazzi, in cui basta poco per cimentarsi a inventare
sistemi biologici. C’è perfino un concorso internazionale cui partecipano anche
studenti delle superiori e in cui il premio in palio è un mattoncino d’argento
che ricalca la caratteristica forma del Lego. “Il mio laboratorio ha partecipato con un progetto in
cui cellule di lievito erano modificate in modo da rilevare la presenza di
acido oleico e diventare verdi in presenza di olio d’oliva extravergine” prosegue Di Bernardo.
Ma la biologia sintetica non è solo un divertimento per
nerd, né tutto si svolge nell’ambito delle fondazioni no profit come la
BioBricks, che organizza il concorso.
Le sue possibili applicazioni industriali vanno al di là del benessere e della
salute. “Molti
hanno sperato che per questa via si potessero produrre per esempio
biocarburanti, come l’etanolo, in quantità economicamente sostenibili” conclude Di Bernardo. “Per il
momento, però, aziende fondate su queste tecnologie ancora non ce ne sono.
Quelle che ci hanno provato hanno finito per ripiegare, almeno per ora, sulla
“vecchia” ingegneria genetica”.
Eppure molti ritengono che
il nostro sia il secolo in cui passeremo dalle costruzioni con il Lego alla
realizzazione dei grattacieli. Staremo a vedere se sarà proprio così.
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