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Più etica, metodologia e filosofia per lo scienziato

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Medico

Crediti: DarkoStojanovic/Pixnio. Licenza: CC0

Read time: 12 mins

Richard Smith, che è stato editor di The British Medical Journal, ha affermato vigorosamente che 

healthcare, which is suffering an existential crisis, badly needs the help of philosophers

Lo stesso sentimento è condiviso da un numero sempre crescente di ricercatori di scienze della vita e da clinici: tutti questi chiedono più etica, più metodologia scientifica e più filosofia della scienza nei corsi di formazione di chi poi si troverà a lavorare in laboratori o nelle corsie di ospedali. Addirittura, Arturo Casadevall, microbiologo della Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health, afferma che dovremmo mettere “the ‘Ph’ back into ‘PhD’”, ossia la filosofia (Ph) nei corsi di dottorato (Philosophiae Doctor).

Può sembrare strano che si invochino più humanities, o almeno humanities di un certo tipo, all’interno della formazione del giovane scienziato o del giovane medico. Soprattutto sembra strano che questa richiesta non venga da umanisti ma da scienziati militanti. Che siano diventati tutti filosofi? Cerchiamo di capire le ragioni di queste richieste.

Perché l’etica?

Questa è una domanda piuttosto facile cui rispondere. Da un lato, c’è la richiesta d'integrità tra i ricercatori e i clinici, come i lavori che riportano sempre più frodi e cattiva condotta scientifica indicano1 e come il sempre maggior numero di lavori ritirati a causa di questi comportamenti scientificamente ed eticamente devianti testimoniano2. Dall’altro lato, c’è una non chiarissima idea di che cosa sia il conflitto di interessi sia a livello clinico sia a livello di ricerca e, in questo caso, non solo per possibili studi finanziati da compagnie private che possono inficiare la credibilità dei risultati ma anche relativamente al rapporto fra autore che manda un lavoro a una rivista e il suo editor3.

Queste richieste di etica non sono semplicemente, come si potrebbe pensare, frutto di un’improvvisa illuminazione morale da parte di alcuni, ma il risultato del capire che molte volte un comportamento eticamente corretto ha risvolti anche economicamente importanti. La frode scientifica e la cattiva condotta scientifica, nonché il conseguente aumento del numero dei lavori ritirati, producono un’immagine della ricerca dannosa alla ricerca stessa e non solo perché l’uomo della strada può aumentare la sua diffidenza verso questo mondo, ma anche perché le fondazioni private o le istituzioni pubbliche che la finanziano potrebbero smettere di farlo perché non si fidano più di chi chiede loro denaro.

Ecco, forse, uno dei motivi per i quali si chiede più etica nella formazione di un giovane ricercatore o di un giovane clinico: l’etica paga e paga in termini economici non solo comportamentali. Certo, non si chiede che il giovane scienziato o il giovane medico diventi un filosofo morale ma che sia esposto a temi e ad analisi etiche, che sappia che esiste anche un modo corretto di giudicare i comportamenti come lodevoli o biasimevoli, come moralmente plausibili o implausibili e che questo modo ha una storia, un metodo e una letteratura. Tutto ciò nella speranza di formare una generazione di scienziati e di clinici più attenta all’integrità e all’evitare conflitti di interesse e che così possa anche non far diminuire la quantità di denaro convogliata alla ricerca.

Perché metodologia della scienza?

Anche solo parlando con studenti o con ricercatori di scienze della vita o con giovani e meno giovani clinici, si ha l'impressione che non si abbia più una chiara idea di che cosa sia il metodo scientifico. In particolare, sembra vi sia poca consapevolezza del metodo che da parecchi secoli ha prodotto i risultati scientifici sotto gli occhi di tutti, ossia quel metodo che si basa sulla diffusione dei dati ottenuti e sulla trasparenza delle procedure osservativo-sperimentali che dovrebbero permettere risultati ripetibili (ritrovabili in tempi diversi ma dallo stesso ricercatore usando le stesse tecniche nello stesso laboratorio) e riproducibili (ritrovabili in tempi diversi da chiunque lo possa fare usando anche tecniche e laboratori diversi). Senza trasparenza dei dati e delle procedure empiriche e senza riproducibilità semplicemente non c’è più la scienza galileiana cui siamo abituati da parecchi secoli: un punto piuttosto ovvio, ma anche piuttosto trascurato4, come molti avvertono5.

In effetti siamo di fronte a una questione estremamente seria e non solo per la scienza e per gli scienziati ma per l’intera società6. Da un lato, infatti, quei risultati non riproducibili e ottenuti sulla base di dati o di procedure empiriche non chiare non possono essere la base su cui approntare, per esempio, nuovi tool diagnostici o nuovi trattamenti terapeutici che dovrebbero essere prodotti per il benessere di pazienti attuali e futuri. Dall’altro lato, se si abbandonano gli usuali criteri metodologici di scientificità, come poter avversare il montante irrazionalismo cui assistiamo? Quale differenza fra scienza e magia, fra, per esempio, trattamenti medici scientificamente validati e trattamenti esoterici proposti da ciarlatani e da imbroglioni?

Questo, ancora una volta, non significa che ogni studente di scienze della vita debba diventare un metodologo della scienza, ma significa che dovrebbe essere esposto a questo sapere, che dovrebbe conoscere le basi del metodo scientifico, ossia della sua pratica quotidiana.

Perché filosofia della scienza?

Due tipi di risposta possono essere date. Da una parte, una competenza di base di filosofia della scienza permette pure di evitare fallacie del ragionamento che possono mettere in pericolo il modo di interpretare i dati e di inferire da essi la possibile validità o non validità dell’ipotesi (sperimentale o clinica) su cui si sta lavorando. Per esempio, si può evitare la fallacia di inferire conclusioni positive da dati negativi, la fallacia dell’affermazione del conseguente, la fallacia della generalizzazione indebita, o la confusione fra correlazione causale e correlazione statistica: fallacie che molte volte si trovano nei lavori scientifici7. Vale la pena sottolineare che tali errori di ragionamento non sono presenti solo in ambito di ricerca ma anche in ambito clinico in fase diagnostica o prognostica, con tutte le immaginabili conseguenze negative per il paziente.

Dall’altro lato, una competenza di filosofia della scienza dovrebbe fornire la corretta interpretazione della probabilità che sta sotto i risultati di un test clinico o di un trial. Nel primo caso non comprendere la specificità e la sensibilità di un test e la loro differenza con il valore predittivo positivo o negativo può portare alla sovra-diagnosi e al sovra-trattamento, oppure alla sua faccia duale: la sotto-diagnosi e il sotto-trattamento8. Analogamente grossi problemi ci possono essere quando non si è ben compreso la base concettuale di un’analisi di sopravvivenza9.

Ma vi è anche l’aspetto concettuale che sta sotto i trial e che ha a che fare con il famigerato p-value e con come questo si debba correlare con l’intervallo di confidenza e con la significanza scientifica (o clinica) del trial10. Anche qui, non si vuole affatto che i giovani studenti diventino filosofi della scienza con un sapere eccellente in tema di critical thinking e sui fondamenti concettuali della probabilità e della statistica. Si vorrebbe solo che fossero esposti a tali problematiche e che possano capire, e magari ricordare quando saranno scientificamente maturi, che vi sono regole per pensare correttamente e che l’uso della probabilità e della statistica non si dovrebbe limitare a utilizzare un software ma dovrebbe comportare pure il comprendere almeno alcuni aspetti concettuali (che però hanno rilevante impatto pratico e interpretativo) degli strumenti formali che usano.

Lavorare sulla formazione

Che fare a questo punto? Limitarsi a lamentarsi e a denunciare frodi, cattiva condotta scientifica, mancanza di integrità, conflitti di interesse, carenza di conoscenza del metodo scientifico, inabilità al pensiero critico, deficit nella conoscenza delle basi della probabilità e della statistica che si usa? Forse già questo sarebbe buono e sicuramente dovrebbe continuare, specie da parte dei più concettualmente avveduti fra ricercatori e clinici.

Ma forse qualcos’altro può essere fatto. Per esempio, si può lavorare sulla formazione. Si può inserire nei curricula di studenti e dottorandi di scienze della vita o specializzandi in medicina un po’ di etica, un po’ di metodologia scientifica e un po’ di filosofia della scienza. Relativamente alla formazione del medico, si può fare come nel corso di laurea in medicina a Ferrara. Qui, in effetti, si è riusciti ad avere un percorso di humanities ben strutturato che offre allo studente proprio le basi menzionate sopra11.

Ma si può fare anche qualcos’altro, come sta tentando la Federazione Italiana Scienze della Vita in cooperazione con UNISER. L’idea è quella di realizzare ogni anno una Summer School on Humanities for the Life Sciences rivolta a studenti di dottorati di scienze della vita (botanica, zoologia, farmacologia, genetica, biologia evoluzionistica, biologica molecolare eccetera) e a specializzandi in medicina. La prima si terrà a Pistoia dal 10 al 13 giugno 2019. Nemmeno da sottolineare l’importanza culturale enorme di tale tentativo perché intende fornire, per la prima volta a livello italiano ed europeo, le basi umanistiche a futuri scienziati e medici. Infatti, grazie all’insegnamento di docenti reclutati in ambito europeo (come Raffaella Campaner, Marco Crescenzi, Jos van Der Meer, Adriano Fabris, Donald Gillies e Paolo Vineis), i giovani avranno la possibilità di imparare quanto l’approccio umanistico di un certo tipo (epistemologico, metodologico ed etico) non sia solo un accessorio per la loro formazione ma fondamentale per meglio capire che cosa stanno facendo, quali sono i limiti di ciò che stanno facendo e qual è il modo migliore per farlo. E questo anche nell’idea che non vi siano due culture ma una unica e che la formazione filosofica (di un certo tipo) sia imprescindibile per un buon scienziato e per un buon medico.

 

Note
1. C’è un’enorme letteratura sulle frodi e sulla cattiva condotta scientifica. Si veda, per esempio:
Corbyn Z. Misconduct is the main cause of life-sciences retractions. Opaque announcements in journals can hide fraud, study finds. Nature 490, (2012): 21;
Edwards MA, Siddhartha R. Environmental Engineering Science. 234(2017): 51-61;
Yong E, Ledford H, Van Norden R. Research ethics: 3 ways to blow the whistle. Reporting suspicions of scientific fraud is rarely easy, but some paths are more effective than others, Nature 503(2013): 454–457;
Hartgerink CH. Research misconduct: Speed translation of misconduct reports, Nature, 522(2015): 419;
Horbach SPJM, Halffman W. Promoting Virtue or Punishing Fraud: Mapping Contrasts in the Language of 'Scientific Integrity', Sci Eng Ethics (2016) DOI 10.1007/s11948-016-9858-y;
Ioannidis JP. An epidemic of false claims. Competition and conflicts of interest distort too many medical findings. Sci. Am. 304(2011):16
2. Fang FC, Casadevall A. Retracted science and the retraction index. Infect. Immun. 79( 2011): 3855-3859;
Steen RG, Casadevall A. et al. Why has the number of scientific retractions increased? PLoS One 8(2013): e68397;
Resnik DB, Wager E, Kissling GE. Retraction policies of top scientific journals ranked by impact factor. J Med Libr Assoc. 103(2015): 136-9; Wager E, Williams P. Why and how do journals retract articles? An analysis of Medline retractions 1988–2008, J Med Ethics 37(2011):567—570.
Si verda anche "The top 10 retractions of 2015" e "Top 10 retractions of 2016"(The Scientist)
3. Si vedano per esempio:
McCoy MS, Emanuel EJ. Why There Are No “Potential” Conflicts of Interest. JAMA. 2017;317(17):1721–1722;
Fontanarosa P, Bauchner H. Conflict of Interest and Medical Journals. JAMA. 2017;317(17):1768–1771;
Thornton JP. Conflict of Interest and Legal Issues for Investigators and Authors. JAMA. 2017;317(17):1761–1762;
Fineberg HV. Conflict of InterestWhy Does It Matter? JAMA. 2017;317(17):1717–1718;
Ginsburg S, Levinson W. Is There a Conflict of Interest? JAMA. 2017;317(17):1796–1797
4. Questa mancanza di riproducibilità dei risultati è oggetto addirittura di una voce su Wikipedia: https://en.wikipedia.org/wiki/Replication_crisis
5. Boniolo G, Vaccari T. Publishing: Alarming shift away from sharing results. Nature. (488)2012:157;
Begley CG, Ioannidis JP. Reproducibility in science: improving the standard for basic and preclinical research. Circ Res. (116)2015: 116-26;
Casadevall A, Fang FC. Reproducible Science. Infect. Immun. 78(2010):4972-4975;
Jarvis MF, Williams M. Irreproducibility in Preclinical Biomedical Research: Perceptions, Uncertainties, and Knowledge Gaps, Tends Pharmacol. Sci. 37(2016):290–302;
Freedman LP, Inglese J. The Increasing Urgency for Standards in Basic Biologic, Cancer Res; 74(2014): 4024–4029.
Si vedano anche il numero speciale di Nature (2017) "Challenges in irreproducible research" e il manifesto per la “scienza riproducibile”: Munafò MR, Nosek BA, Bishop DVM, Button KS, Chambers CD, Percie du Sert N, Simonsohn U, Wagenmakers E-J, Ware J, Ioannidis JPA. A manifesto for reproducible science. Nature Human Behaviour 1(2017): 0021;
Freedman LP, Cockburn IM, Simcoe TS. The Economics of Reproducibility in Preclinical Research. PLoS Biol 13(2015): e1002165. doi:10.1371/journal.pbio.1002165.
6. L’irreproducibiliutà dei risultati scientifici è così tanto preoccupante che si è assistito alla nascita di agenzia che finanziano la replica di esperimenti per controllare la riproducibilità dei loro risultati. Si veda, per esempio, Baker M. Dutch agency launches first grants programme dedicated to replication, Three-year pilot devotes €3 million to verifying other studies, Nature News doi: 10.1038/nature.2016.20287
7.Si vedano: Bosch G. Train PhD students to be thinkers not just specialists, Nature. 2018 Feb 15;554(7692):277. doi: 10.1038/d41586-018-01853-1;
Casadevall A, Fang FC, Reforming Science: Methodological and Cultural Reforms, Infection and Immunity, 80(2012): 894;
Velickovic V. What Everyone Should Know about Statistical Correlation. A common analytical error hinders biomedical research and misleads the public. American Scientist, 103(January–February 2015):26-29;
8. Loong T-W. Understanding sensitivity and specificity with the right side of the brain, BMJ, 327(2003):716-719.
9. Wegwarth OI et al. Do physicians understand cancer screening statistics? A national survey of primary care physicians in the United States. Ann Intern Med 156(2012):340–349
10. Qui non ci si può esimere dal citare Ioannidis JP. Why most published research findings are false. PLoS Med. 2(2005):e124, il cui impatto anche sull’opinione pubblica è stato enorme, come testimonia l’articolo su The Economist del 19 ottobre 2013, "How science goes wrong. Scientific research has changed the world. Now it needs to change itself".
Vi è una letteratura enorme sul p-value. Per esempio, Nuzzo R. Scientific method: Statistical errors. P values, the 'gold standard' of statistical validity, are not as reliable as many scientists assume. Nature, 506(2014): 150-152.
11. Grazie alla capacità e alla visione di Tiziana Bellini (Presidente del CCL in Medicina e Chirurgia) e dei colleghi di Ferrara, al primo anno si insegna, obbligatoriamente per tutti gli studenti, ragionamento critico in ambito clinico e etica applicata alla ricerca biomedica e alla prativa clinica. Al terzo anno, tutti devo frequentare un corso di metodologia diagnostica, dove si tratta dei fondamenti concettuali della probabilità e della statistica usata per i test clinici e per i trial clinici. Infine al quinto anno, tutti gli studenti devono frequentare un corso breve di etica pratica, dove il clinico di turno vintroduce un problema etico che ha incontrato durante il suo lavoro quotidiano e gli studenti lo discutono per poi essere condotti a vedere come esso debba venir trattato più professionalmente in ambito internazionale (questo sulla base dell’idea che non solo esiste una best knowledge in ambito biomedico e clinico ma anche una best knowledge in ambito di etica applicata alla ricerca biomedica e alla pratica clinica).

 


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