Sono i reservoir naturali di molti virus che emergono nella popolazione umana, tra cui probabilmente SARS-CoV-2, anche a causa della pressione antropica cui li sottoponiamo: ma come fanno i pipistrelli a difendersi da quegli stessi virus? Antonio Scalari ripercorre le ricerche sul sistema immunitario di questi animali, le cui caratteristiche sembrano essere legate agli adattamenti al volo.
Crediti immagine: Charles J Sharp/Wikimedia Commons. Licenza: CC BY-SA 4.0
Nel 1994, in Australia, un misterioso morbo si diffuse tra i cavalli di un allevamento a Hendra, un sobborgo nei pressi della città di Brisbane, uccidendo 14 capi. Ma i cavalli non furono l’unica specie coinvolta. Due uomini che lavoravano nell’allevamento si ammalarono e uno di loro morì dopo un ricovero di alcuni giorni in terapia intensiva. Le analisi di laboratorio dimostrarono che l’agente responsabile della malattia che aveva colpito cavalli e umani, causando una grave infiammazione respiratoria, era un virus fino ad allora sconosciuto alla scienza. Vennero svolte indagini per identificare l'origine di questo virus, per capire dove si fosse nascosto fino ad allora. Prima di infettare uomini e cavalli. E si scoprì che questo patogeno era presente in tutte le quattro specie australiane di pipistrelli del genere Pteropus (le “volpi volanti”).
Il caso del virus Hendra non è un unicum. Oggi sappiamo che alcune specie di pipistrelli sono i serbatoi naturali di virus che sono emersi negli ultimi decenni e che si sono dimostrati particolarmente pericolosi per noi esseri umani: i virus delle febbri emorragiche di Marburg ed Ebola, il virus della SARS e molto probabilmente anche SARS-CoV-2, il virus responsabile della COVID-19.
Il corpo di questi animali è il luogo dove questi virus si nascondono. Pronti, quando si creano le giuste condizioni, per riversarsi nei corpi di altre specie, uomo compreso, magari attraverso qualche ospite intermedio. I pipistrelli ospitano questi virus senza tuttavia mostrare nessuno dei gravi sintomi che questi patogeni scatenano in ospiti diversi. Come questo sia possibile è una domanda affascinante dal punto di vista biologico. E, come tutto in biologia, ha a che vedere in ultima analisi con l’evoluzione.
Alla luce dell’evoluzione
I pipistrelli sono un ordine di mammiferi che comprende circa 1.400 specie. Sono animali che rivestono una grande importanza ecologica. Tra di loro ci sono impollinatori e disseminatori di semi di piante e alcune specie si cibano di insetti dannosi per le coltivazioni. Sono inoltre gli unici mammiferi capaci di volare in modo sostenuto. Il volo è una delle attività fisiologiche più dispendiose dal punto di vista energetico. È stato constatato infatti che il tasso metabolico dei pipistrelli, durante il volo, è particolarmente elevato. Un metabolismo così accelerato potrebbe rappresentare un potenziale problema per l’organismo, perché causa stress ossidativo, con un aumento della concentrazione di molecole dannose per lo stesso DNA, come le specie radicali dell’ossigeno. Eppure, i pipistrelli sono animali che vivono molto più a lungo di altri mammiferi di dimensioni simili. Nel 2005, in Siberia, è stato scoperto un esemplare di vespertilio di Brandt (Myotis brandtii) con un età di 41 anni.
La notevole longevità dei pipistrelli potrebbe sembrare curiosa, perché ci si attenderebbe che un persistente stress ossidativo generi anche una forte reazione infiammatoria, con danni alle cellule e ai tessuti. Diversi studi dimostrano però che i pipistrelli hanno anche un sistema immunitario speciale, capace di attivare risposte diverse da quelle di cui sono capaci i sistemi immunitari degli altri mammiferi. Ad esempio, sappiamo che le loro cellule immunitarie riescono a diminuire l’attivazione dell’inflammosoma NLRP3, un complesso multiproteico che reagisce in risposta a segnali come il danno cellulare e le infezioni di microrganismi (innescando tra l’altro la liberazione di citochine proinfiammatorie), in misura significativamente maggiore di quanto facciano le corrispondenti cellule umane. È possibile perciò, secondo alcuni studiosi, che nella storia evolutiva dei pipistrelli ci sia una relazione tra gli adattamenti legati al volo (tra cui i sistemi per contrastare il danno ossidativo) e il sistema immunitario.
Un’analisi del genoma di Rousettus aegyptiacus, serbatoio naturale del virus Marburg, ha mostrato inoltre che, lungo la linea evolutiva che ha portato alla comparsa delle numerose specie di pipistrelli, alcune famiglie di geni che codificano per proteine del sistema immunitario si sono espanse, differenziandosi dai corrispondenti geni presenti nei genomi degli altri mammiferi: i recettori delle cellule natural killer, gli interferoni di tipo I, il complesso MHC di classe I. Il risultato è che alcuni componenti chiave del sistema immunitario dei pipistrelli hanno evoluto caratteristiche peculiari. Un’altra ricerca ha evidenziato peraltro che in Pteropus alecto sono presenti meno geni dell’interferone rispetto agli altri mammiferi, ma in questa specie i geni dell'interferone-alfa sono espressi costitutivamente. Gli interferoni sono una delle prime linee di difesa contro i virus e in questa specie di pipistrello alcuni geni che codificano per queste proteine risultano accesi anche in assenza di infezioni virali.
Le conoscenze di cui disponiamo non sono ancora complete, ma i genomi dei pipistrelli mostrano i segni di una peculiare vicenda evolutiva, che ha prodotto un apparato di difese immunitarie particolarmente efficiente nel controllare i processi infiammatori e le infezioni virali. Quello che rimane ancora da chiarire è come queste risposte immunitarie condizionano a loro volta l’evoluzione di alcuni dei virus che i pipistrelli ospitano. Un studio pubblicato di recente aggiunge un tassello utile a ricostruire questo puzzle scientifico.
Acceleratori di virus
In questa ricerca sono stati impiegati virus della stomatite vescicolare, ingegnerizzati per renderli capaci di esprimere le proteine di superficie dei virus Marburg ed Ebola. Con questi virus modificati sono state infettate le cellule di due pipistrelli: P. alecto, in cui la risposta immunitaria mediata dall'interferone è sempre attiva, e R. aegyptiacus, una specie dove questa risposta viene invece indotta dall'infezione virale. In entrambe le linee cellulari l’infezione veniva contenuta, a differenza di quanto accadeva a cellule di cercopiteco usate come come controllo, che venivano distrutte dai virus. Gli autori hanno poi elaborato un modello matematico di ciò che avevano osservato nel sistema in vitro, per comprendere la dinamica della trasmissione virale e della sua relazione con la risposta immunitaria.
Sia gli esperimenti in vitro che il modello teorico hanno evidenziato che questi virus reagiscono ai meccanismi antivirali diffondendosi più velocemente da cellula a cellula. In queste specie di mammiferi le difese immunitarie danno quindi impulso all'evoluzione di patogeni particolarmente virulenti. Mentre i pipistrelli riescono a controllarli e a difendersi, in altre specie (come l'uomo) questi virus causano effetti spesso devastanti. È un po’ come se i pipistrelli funzionassero da acceleratori di virus.
Potrebbe essere proprio questo il meccanismo che rende possibile lo spillover di questi agenti patogeni, cioè la loro “tracimazione” in altre specie animali. Spillover è anche il titolo di un saggio, pubblicato nel 2012, dello scrittore David Quammen, molto citato in questo periodo (Scienza in rete ne ha parlato qui). Quammen scrive che “zoonosi” (il termine che indica le malattie infettive che si trasmettono dagli animali all’uomo) «è una parola del futuro, destinata a diventare assai più comune nel corso di questo secolo». La pandemia di COVID-19 ha fornito una conferma di queste parole. E dimostra come anche la ricerca sui rapporti tra virus emergenti, specie animali e impatti delle attività umane sugli ecosistemi sarà sempre più importante in futuro.