Vi raccontiamo cosa abbiamo visto e ascoltato durante l’edizione italiana di PLANCKS: i giochi della fisica che coinvolgono centinaia di studenti da tutto il mondo e alcuni ospiti d’eccezione.
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Siamo stati all’edizione 2023 di PLANCKS (Physics League Across Numerous Countries for Kickass Students), una competizione di fisica che ogni anno si svolge in un paese diverso: quest’anno è toccato all’Italia, a Milano, dal 12 al 16 maggio. I duecento studenti di fisica (dalla triennale al dottorato) che hanno vinto le gare nei propri paesi, si sfidano nella risoluzione di problemi, ma ne approfittano anche per partecipare alla fitta rete di conferenze, workshop ed eventi con ospiti d’eccezione. Nota di stile: il logo usa il Duomo di Milano per “tagliare” la costante di Planck (ħ), una delle grandezze più usate nella descrizione quantistica del mondo microscopico, come nel principio di indeterminazione di Heisenberg: Δx*Δpx = ħ/2.
Le registrazioni delle conferenze si possono trovano ai seguenti link:
13 maggio
15 maggio
16 maggio
PLANCKS è organizzata dall’IAPS, cioè l’Associazione Internazionale degli Studenti di Fisica, nata nel 1987 dopo un paio d’anni di gestazione tra Budapest e Debrecen, in Ungheria. Il bello è che tutto è organizzato interamente da studenti, come anche l’edizione italiana dei giochi, che è stata allestita dall’Associazione Italiana Studenti di Fisica e il comitato dell’Università Statale. L’iniziativa ha goduto del patrocinio della Società Italiana di Fisica, della Società Italiana di Ottica e Fotonica e dell'Unione Internazionale di Fisica Pura e Applicata, ma anche del sostegno della Società Europea di Fisica e dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare.
Dopo l’apertura da parte di Maria Pia Abbracchio, prorettrice vicaria alla Statale, tra i primi incontri a cui abbiamo assistito c’è stata la lectio magistralis di Tiziano Camporesi, fisico delle particelle che ha contribuito alla scoperta del Bosone di Higgs al CERN. Con lui si è ripercorsa un po’ tutta la storia della fisica alle alte energie, partendo dai primi esperimenti dal carattere – come dicono i fisici – molto “esotico”. Nei primi progetti, come quelli che prevedevano la collisione di elettrone e positrone, erano coinvolte una manciata di persone. Col tempo si è consolidato il carattere tipico della cosiddetta big science. Dall’esperimento DELPHI con il Large Electron-Positron collider, primo esperimento frutto di una collaborazione ufficiale, a CMS e ATLAS con il Large Hadron Collider, si è passati da centinaia a migliaia di scienziati coinvolti, da un paio di decine a centinaia di pubblicazioni all’anno.
Il CERN, inoltre, è nato senza internet, con tutte le conseguenze del caso a partire dalla macchinosa comunicazione interna. Nel tempo sono cambiati anche i linguaggi di programmazione informatici, si pensi che quando c’era Fortran per fare l’aggiornamento di 32 kilobyte bisognava sborsare 12 milioni di dollari! Camporesi ha ricordato che, nonostante ora il CERN si sia allargato a tutto il mondo, e non alla sola Europa, il suo budget è diminuito del 40% dal 1980. Allo stesso tempo è aumentato il numero di donne: oggi sono il 25% del totale, che però lavorano soprattutto in area amministrativa. In questo senso, speriamo che sia di buon auspicio il doppio mandato (mai successo prima) di Fabiola Gianotti come direttrice generale.
Nella lectio si è ovviamente sottolineato come la ricerca al CERN abbia e abbia avuto ricadute anche in altri ambiti disciplinari, soprattutto in quello biomedico. Molto è stato fatto e molto è ancora da fare. La scoperta stessa del Bosone di Higgs – quella particella che “dà massa” alle altre – ha paradossalmente messo in crisi il Modello Standard che ne prevedeva l’esistenza. E come connettere la fisica delle particelle con la teoria della gravità? Qual è l’origine della massa del neutrino? Materia e antimateria? Insomma, una carrellata di spunti che non poteva che terminare con una gradevole cattiveria (sollecitata da una domanda dal pubblico): «i fisici affrontano i problemi, gli ingegneri affrontano solo quelli che sanno di poter risolvere».
Tra gli altri ospiti anche Marco Liscidini, Claudia Pasquero, Federico Faggin, Paolo Milani, Alessandro Curioni, Stefano Forte. Inoltre, gli organizzatori hanno ben pensato di far provare l’ebrezza di un concerto in Sala Verdi del Conservatorio di Milano. Molti neofiti tra i giovani fisici alle prese con i movimenti del Concerto per pianoforte e orchestra op.15 n.1 di Beethoven e i bis del pianista («fermi tutti, non è finito ancora», si sente dire nelle poltrone di dietro). Musica e fisica sono molto collegate, dicono gli organizzatori con il Direttore del Conservatorio e la Vicesindaca di Milano (lei laureata in fisica). È vero, basti pensare alla sola fisica acustica.
Le rappresentanze istituzionali in Sala Verdi del Conservatorio Giuseppe Verdi di Milano (foto dell'autore)
L’altro incontro sicuramente degno di nota è stato quello con Didier Queloz, premio Nobel per la fisica 2019 per la scoperta nella Via Lattea di un esopianeta orbitante attorno a una stella simile al Sole. L’hanno chiamato 51 Pegasi b, visto che è stato individuato nella costellazione di Pegaso.
Anche lui ha raccontato una storia, non quella del CERN: quella di tutto l’Universo. Diciamo subito che pure la relazione di Queloz ricorda come la ricerca fisica curiosity-driven, fine a sé stessa, ha inevitabilmente ricadute altrove, in altre scienze e nella società, gli esempi toccano la meteorologia e varie applicazioni tecnologiche, tra le altre cose. Il racconto va dal Big Bang al sistema solare, passando dalla spiegazione per cui i pianeti si allineino su un disco (a partire dal disco protoplanetario di qualche miliardo di anni fa): c’entra la conservazione del momento angolare.
Fino ad arrivare ai pianeti. Queloz mostra una diapositiva che spiega come sia possibile individuare un pianeta guardando la stella attorno alla quale dovrebbe orbitare (guardare il pianeta non aiuterebbe, essendo troppo piccolo). In parole povere, quando il pianeta è davanti alla stella la oscura, quando è dietro non succede niente, quando è di fianco la sua luminosità si somma a quella della stella. Facendo i debiti calcoli si ottengono i parametri relativi al pianeta. È un metodo più recente, che sembra promettente, rispetto a quello cosiddetto delle “velocità radiali” grazie al quale ha vinto il Nobel.
Didier Queloz alle prese con il metodo fotometrico di individuazione di esopianeti (foto dell'autore).
Queloz racconta come la fibra ottica e l’uso dei computer siano stati cruciali per migliorare le tecniche di individuazione di pianeti extrasolari. E probabilmente non riusciamo a trovare un pianeta come la Terra più per limiti tecnologici che altro: quelli finora individuati sono forse troppo caldi per ospitare la vita. Ecco il nocciolo della questione, la vita nell’Universo, che secondo lui, ovviamente, è presente. Ci sono troppe galassie e troppe stelle per non immaginare che ci sia, anche in forme lontane dalla nostra. Tra l’altro, forse la vita può essere esistita molto più vicina a noi di quanto pensiamo, come su Marte, su cui pendono vari interrogativi, che nel primo miliardo di anni aveva probabilmente un’atmosfera simile all’attuale terrestre (e sembrerebbe anche Venere, ora troppo piena di gas serra).
Molti gli stimoli, considerando che nelle giornate di PLANCKS gli studenti hanno potuto visitare anche i laboratori dell’Istituto Fondazione di Oncologia Molecolare e dello Human Technopole a Rho Fiera. E dalle storie Instagram sembra anche che siano state organizzate sessioni di pasta italiana fatta in casa. Il comitato organizzativo del prossimo anno sarà all’altezza di quanto messo in piedi dagli studenti milanesi?