1. Introduzione
Le parti del PNACC che si riferiscono agli effetti sulla salute del cambiamento climatico menzionano un numero molto limitato di questi effetti, prevalentemente quelli acuti e diretti (ondate di calore, frane, inondazioni, siccità), cioè la parte emergente dell’iceberg. Questa è una grave limitazione: come dimostrano tutte le esperienze riguardanti fenomeni emergenti e in rapida evoluzione (inclusa la pandemia da COVID-19), più è tempestivo l’intervento e più è probabile che avrà successo. I costi di un adattamento tardivo sono destinati ad essere molto maggiori di quelli di un intervento precoce, sia in termini di vite salvate che sul piano economico.
È opportuno ricordare tutti i possibili impatti sulla salute, perlopiù non menzionati dal PNACC. Essi sono riportati nella Tabella 1; molti di essi sono ancora poco conosciuti o sono addirittura ipotetici, e dunque le capacità di adattamento dovranno andare di pari passo con la ricerca. Tra gli impatti potenziali - non previsti fino a qualche anno fa - ricordiamo le ormai numerose segnalazioni di salinizzazione dell’acqua da bere e dell’acqua usata per irrigare, problema destinato ad acuirsi con l’aumento del livello del mare e la riduzione della portata dei fiumi (come nel delta del Po e del Mississippi).
Tabella 1, da Lancet Commission 20151
Naturalmente ciascuno degli impatti sulla salute indicati nella tabella meriterebbe una trattazione separata, che un documento come il PNACC dovrebbe contenere almeno sommariamente.
Gli esempi di impatti sulla salute ignorati nell’attuale PNAC sono numerosi, ma colpisce in particolare l’assenza di riferimenti all’effetto su specifiche categorie di lavoratori: ci sono infatti prove forti, prodotte per esempio nell’ambito del progetto Workclimate avviato da CNR, INAIL e DEP Lazio2, di un aumento degli incidenti in edilizia durante le ondate di calore. Inoltre è plausibile che malattie renali vedano un aumento di frequenza tra i lavoratori esposti al calore a seguito della eccessiva disidratazione, problema abbondantemente segnalato in agricoltura. Non si tratta che di esempi di fenomeni molto più vasti.
2. Molti impatti dimenticati
Il PNACC menziona ampiamente gli effetti del cambiamento climatico sull’agricoltura, ma non ne trae poi le conseguenze per quanto riguarda l’accesso a cibo di buona qualità e economicamente accessibile. Poiché l’area Mediterranea è particolarmente suscettibile alla siccità (abbiamo già visto l’anno scorso l’impatto sulla coltura dell’olivo al Sud e dunque sui prezzi dell’olio), è necessario prevedere molto tempestivamente le conseguenze che cambiamenti simili comporteranno nei prossimi anni e decenni. L’aumento di prezzo dell’olio di oliva può infatti portare all’adozione di abitudini alimentari meno sane, come l’uso di margarine o di burro, o di oli di semi la cui composizione e impatto ambientale sono talvolta discutibili. Analogamente, un aumento dei prezzi di frutta e verdura fresche può facilmente portare a un incrementato consumo di cibi processati o ultra-processati.
Un altro tema ignorato dal PNACC è quello emergente degli effetti sul microbioma. In generale, il PNACC è molto conservativo nell’includere gli effetti ovvi e meglio conosciuti del cambiamento climatico, ignorando che questo interagisce con altre rapide trasformazioni planetarie come la perdita di biodiversità (secondo alcune stime, circa il 60% di riduzione delle specie conosciute tra il 1970 ed oggi). Le interazioni tra diversi mutamenti nella biosfera si ripercuotono sulla qualità del nostro microbioma - cui contribuisce anche l’abuso degli antibiotici - e dunque sui rischi di malattia. Un articolo di Cavicchioli e altri su Nature Reviews Microbiology di qualche anno fa ha riassunto molto bene tutti gli impatti del cambiamento climatico sui microrganismi incluso il microbioma, come illustrato nella figura sotto3. La tesi generale dell’articolo è che il cambiamento climatico sottopone a stress l’insieme del capitale naturale, facilitando l’azione degli agenti infettivi nel produrre malattie (Figura). L’accento viene messo sulla natura sistemica dei cambiamenti, che richiede una risposta altrettanto sistemica. Come la mitigazione, anche l’adattamento non può che essere il più possibile coordinato, proattivo e tempestivo anziché frammentario e reattivo. Un tema totalmente trascurato finora è anche quello degli effetti sulla malattia mentale. E’ difficile al momento attuale prevedere come si potranno predisporre modalità di contenimento delle conseguenze psicologiche e mentali del cambiamento climatico in tutte le loro manifestazioni, ma il problema non può essere trascurato.
Immagine da Cavicchioli R et. al, Scientists' warning to humanity: microorganisms and climate change. Nat Rev Microbiol 2019. Licenza: CC BY 4.0 DEED
3. Una strategia lungimirante e coordinata
È evidente che dovremo convivere molto a lungo con un cambiamento climatico ingravescente. L’Italia non brilla per capacità previsionali e pianificatrici. Tuttavia, non solo – come si è detto – prima si agisce e maggiore è l’efficacia, ma talora l’azione può essere inaccettabilmente tardiva. Se pensiamo per esempio all’innalzamento del livello del mare e ai rischi legati alle mareggiate, sarebbe opportuno cessare di costruite abitazioni ma soprattutto strutture pubbliche come gli ospedali lungo la costa. La stessa pianificazione di infrastrutture come strade, ferrovie e aeroporti dovrebbe tener conto con molto anticipo dei fenomeni idrogeologici legati al cambiamento climatico. Insomma è necessario un vero pensiero strategico piuttosto che adattativo e scoordinato: proattivo anziché reattivo. Chissà che non sia anche un’occasione per ripensare l’urbanistica del nostro paese.
Bisogna inoltre ribadire fortemente che le misure di adattamento rischiano di andare in direzione opposta alla mitigazione, non solo per l‘uso di risorse economiche necessariamente limitate, ma perché le misure di adattamento possono incrementare l’uso di cemento e l’abuso del territorio. Si possono immaginare molte soluzioni semplici e innovative per rispondere alle emergenze. L’osservatorio europeo su clima e salute riporta esempi e casi studio come per esempio l’assistenza psicologica in Germania per le vittime di alluvioni; la trasformazione dei cortili scolastici in aree verdi a Parigi per consentire il refrigerio della popolazione vulnerabile durante le ondate di calore; i sistemi di sorveglianza e controllo delle infezioni trasmesse da zanzare in diverse comunità; e tanti atri esempi4.
4. Alcune proposte
1. Alla luce delle considerazioni che precedono un compito prioritario di una iniziativa congiunta di diversi Ministeri (Ambienti, Salute, Infrastrutture) è istituire un sistema di aggiornamento delle prove scientifiche in tempo reale, attraverso rassegne sistematiche analoghe a quelle dell’IPCC (con gradazione per forza elle evidenze), da pubblicare su un apposito sito.
2. Generalizzare le buone pratiche, come le linee guida adottate da alcune Regioni e proposte da Workclimate, per proteggere i lavoratori dagli aumenti di temperature incluse le ondate di calore.
3. Coordinare (possibilmente in un centro nazionale) le attività di modellizzazione e predizione dei rischi, includendo variabili sociali (relative alle diseguaglianze) e indagando le relazioni dose-risposta, prevedendo diversi scenari a seconda della gravità del cambiamento climatico.
4. Coordinare attività di ricerca (per esempio la rete creata per lo studio della biodiversità con i fondi PNRR) per prevedere anticipatamente gli effetti sulla salute e prepararvisi.
5. Potenziare gli studi sulla suscettibilità di diversi settori della popolazione, per esempio tramite l’ISTAT, e l’INAIL in particolare sulla distribuzione della suscettibilità alle ondate di calore in diversi strati socio-economici (inclusi gli immigrati).
6. La collaborazione tra Ministeri attraverso una commissione inter-ministeriale dovrebbe considerare l’impatto climatico delle misure di adattamento. L’esempio più ovvio è la fornitura di aria condizionata nelle abitazioni e nelle strutture per anziani, ma anche l’imbrigliamento di fiumi per prevenire le alluvioni e altri esempi analoghi. Nei casi in cui l’adattamento richiede interventi strutturali si dovrebbe ricorrere a soluzioni nature-based anziché a cemento, acciaio e soluzioni energivore. Per esempio, per contenere gli aumenti di temperatura dovrebbero essere promosse là dove possibile ombreggiature naturali anziché condizionatori d’aria.
Note
1. Watts N et al. Health and climate change: policy responses to protect public health. Lancet Comm, 2015, https://doi.org/10.1016/S0140-6736(15)60854-6
2. Si veda al sito: https://www.worklimate.it/
3. Cavicchioli et al. Scientists' warning to humanity: microorganisms and climate change. Nat Rev Microbiol 2019 Sep;17(9):569-586.
4. Si veda al link: https://climate-adapt.eea.europa.eu/en/observatory