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La preparazione del documento per Rio+20

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 “Il futuro che vogliamo” è il titolo scelto per la prima bozza di 20 pagine del documento base pensato per far partire i negoziati, in previsione del summit Rio+20, sviluppata dall’Ufficio di presidenza del Comitato preparatorio della UNCSD, il cosiddetto zero draft.

 La bozza zero è stata presentata il 10 gennaio 2012, con lo scopo di sintetizzare le posizioni di tutti gli Stati membri e dei partner che saranno protagonisti a Rio de Janeiro il prossimo giugno. La sua prima stesura è il risultato dell'elaborazione delle submission  ricevute dal Segretariato UNCSD, oltre ai commenti già espressi durante la Seconda Riunione Intersessionale della UNCSD del 15 e 16 Dicembre 2011Si tratta di un totale di 677 documenti, dei quali 100 sono stati inviati dagli Stati membri, cinque dai Gruppi politici di Stati riconosciuti dalle Nazioni Unite, cinque frutto delle Riunioni Regionali delle Nazioni Unite, 74 da Istituzioni delle Nazioni Unite o Internazionali, 493 da rappresentanze dei “Grandi Gruppi” (vale a dire affari e industria, ragazzi e giovani, contadini, popolazioni indigene, donne, lavoratori e organizzazioni sindacali) oltre ai gruppi e alle organizzazioni in rappresentanza della società civile. Per l’Italia, la scelta ufficiale è stata quella di partecipare al negoziato europeo per la preparazione del testo e di non inviare un testo aggiuntivo specifico. 

Altro importante obiettivo della bozza zero dovrebbe essere una valutazione, più oggettiva possibile, della realizzazione o meno dell’Agenda 21 – il riferimento di Rio 92 -  e della sua adeguatezza per la gestione dei nuovi obiettivi di sviluppo sostenibile del Pianeta. 

Come è organizzata la bozza zero

Lo Zero Draft si compone di 5 parti, suddivise in 128 paragrafi.

Dopo la premessa/impostazione (I), viene presentato l’indirizzo politico introduttivo - il Political Committment (II) - che affronta il riconoscimento dei diritti universali come prerequisito indispensabile per lo sviluppo sostenibile. In particolare, si sottolinea il nesso tra le crisi globali, individuando nella messa a punto di un modello economico a basso consumo di risorse e a bassa intensità di carbonio, lo strumento per favorire il passaggio ad un’economia verde più inclusiva. 

Nella sezione dedicata alla Green economy (III) viene anche ricordato che “servono regole certe e vincolanti per il settore privato ed un ruolo attivo degli investimenti e delle politiche pubbliche volte a tutelare i beni comuni e promuovere l’innovazione”. Ma, almeno in questa prima stesura del documento, non viene descritto in modo più chiaro quello che sarà il tema principale della Conferenza, con una scelta di definizione di riferimento per l'economia verde tendenzialmente generalista: “Sottolineiamo che l'economia verde non è intesa come una rigida serie di regole, ma piuttosto come un quadro decisionale che promuove una considerazione integrata dei tre pilastri dello sviluppo sostenibile in tutti i settori pertinenti del processo decisionale pubblico e privato

La sezione Institutional framework (IV) evidenzia la necessità di una riforma complessiva del sistema ONU. Le proposte principali che vengono segnalate sono:

  • la creazione di un Consiglio per lo Sviluppo sostenibile, da affiancare all’attuale Consiglio Economico e Sociale – ECOSOC;
  • il rafforzamento del ruolo dell’ECOSOC nel processo di integrazione dei riferimenti dello sviluppo sostenibile, anche attraverso l’ utilizzo dell’ECOSOC per il monitoraggio dell’attuazione degli accordi;
  • il rafforzamento dell’attuale Programma per l’Ambiente (UNEP) e la conversione in un’agenzia specializzata (UNEO);

Nel Quadro d’Azione e Seguiti (V) viene riconosciuta la necessità di puntare l’attenzione su una serie di settori chiave prioritari, “settoriali e intersettoriali”: sicurezza alimentare, acqua, energia, oceani, foreste e biodiversità, rifiuti, tra le altre.

E’ in questa sezione che è inserita la voce Scienza&Tecnologia. Viene riconosciuta l’importanza della cultura scientifica e della capacità di produrre tecnologia e innovazione dei Paesi per promuovere lo sviluppo sostenibile, facendo in sostanza riferimento agli impegni contenuti nell’Agenda 21 della Conferenza di Rio 1992. Ma al di là della conferma di voler proseguire su obiettivi già individuati in passato, molte sono le perplessità sorte, da parte di diversi attori e osservatori del processo che sta portando a Rio+20, in merito a forma e contenuti della bozza zero.

Una premessa che non convince

Le prime reazioni alla presentazione del documento sono state di generale delusione, anche dalle associazioni italiane impegnate in temi di sostenibilità e ambiente – come il Wwf Italia, che ha visto nel documento un “eccesso di diplomazia”. La lista indistinta di temi, specie nella sezione V, sembra, ad esempio, non affrontare una riflessione precisa sul sistema e sul modello di sviluppo. Termini chiave come  crescita, mercato, beni comuni, sono stati in qualche modo esclusi.

Tra le volontà espresse nelle submission raccolte per la bozza zero, quella di non ridurre un tema chiave per la conferenza come la green economy in un’unica definizione che potesse accontentare le esigenze di tutti i Paesi coinvolti ha suscitato la preoccupazione soprattutto dei Paesi più piccoli. La possibilità, infatti, che permanga un riferimento alla green economy tale da imporre nuovi standard qualitativi, mette in allarme i futuri protagonisti del mercato verde per le possibili limitazioni alle loro esportazioni e gli innalzamenti di nuove barriere doganali.  

Un altro punto discusso è il ruolo che possono avere città e autorità locali, attribuendo loro compiti e obiettivi specifici, mentre invece è stato largamente sottovalutato non dedicando al tema un paragrafo dedicato. Nella parte finale, inoltre, che dovrebbe in qualche modo definire gli strumenti per l’attuazione dei principi enunciati, non è indicato un ruolo specifico del settore privato e delle istituzioni finanziarie per l’individuazione di risorse previste lo sviluppo sostenibile nei Paesi in Via di Sviluppo.

Perfezionare la bozza, prima della conferenza

Tre sono le conferenze preparatorie programmate per discutere forma e contenuti del documento. Il primo ciclo di riunioni informali organizzate dall’Onu si è tenuto a New York dal 19 al 27 marzo scorso, portando a 200 il numero di pagine del contenuto iniziale del draft.

Ma oltre ad un aumento sostanziale della lunghezza non si sono, in realtà, registrati cambiamenti significativi nel senso generale del documento, rimasto ancora, a detta di molti, un mero esercizio di diplomazia. I primi giorni di consultazione si sono chiusi con una Lettera della Società civile al Segretario Generale Ban, per denunciare l'esclusione dei major groups della società civile dal processo negoziale formale dello Zero Draft di Rio+20, non permettendo così di presentare revisioni o fare dichiarazioni.

Sebbene si tratti del primo iter di un processo difficile e delicato, lo spettro di esperienze congressuali passate – il bilancio di quanto degli impegni presi in vent’anni non entusiasma gli ambientalisti – ha pesato molto anche nella seconda fase di negoziazione, che si è tenuta dal 23 aprile al 4 maggio, sempre a New York.  Il ripetersi degli inevitabili tempi diplomatici e burocratici si è accompagnato però ad uno snellimento di alcuni documenti – come la III sezione dedicata alla green economy – e un maggiore coinvolgimento della società civile. In questa seconda tornata di incontri, si è trovato un accordo solo su un quarto del progetto negoziale nelle riunioni presso la sede delle Nazioni Unite, con una dispersione di istanze relative ai temi chiave per il futuro del Pianeta: acqua, energia, cibo.

Ci sono pochi giorni di tempo per cercare di stabilire un consenso allargato sul progetto. La terza e ultima convocazione, prima di Rio, è per il 29 maggio. Mentre gli osservatori aspettano che  la zero draft diventi un po’ più ambiziosa nelle intenzioni, almeno.


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