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Un problematico buco nero

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Un buco nero stellare dalla massa tre volte superiore al limite teorico previsto: la scoperta è stata recentemente pubblicata da Nature, e ora gli astronomi stanno cercando di stabilire gli scenari che spiegherebbero questo dato. Come scrive Claudio Elidoro in quest'articolo, "si preannunciano tempi di intenso lavoro non solo per gli astrofisici che si occupano di evoluzione stellare, ma anche per quelli che proveranno a spremere altri dati da quel problematico sistema".
Nell'immagine: raffigurazione pittorica del sistema stellare costituito dalla giovane stella blu LB-1 in orbita intorno al buco nero. La presenza del buco nero è stata dedotta proprio dal regolarissimo moto orbitale della stella. Crediti: Jingchuan Yu

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A 13 mila anni luce di distanza dalla Terra è stato scoperto un buco nero stellare la cui massa ammonterebbe a circa 70 masse solari, un valore che pone seri problemi agli astrofisici. Alla luce delle attuali teorie evolutive stellari, infatti, questo valore è almeno tre volte più grande del previsto, il che rende piuttosto complicato riuscire a spiegare la formazione del buco nero. L’annuncio della scoperta è stato pubblicato nei giorni scorsi sulla rivista Nature dal team di Jifeng Liu (Accademia Cinese delle Scienze – Beijing).

Orbitando intorno al nulla

Secondo gli attuali modelli evolutivi stellari, lo stadio finale di una stella di grande massa (almeno 40 masse solari) vede la formazione di un buco nero. Tali modelli prevedono anche un tetto alla massa di questi buchi neri di origine stellare, fissando la loro stazza massima in circa 25 masse solari. Gli astronomi stimano che nella Via Lattea vi siano 100 milioni di questi oggetti celesti, ma la loro individuazione non è affatto facile.

Poiché, per sua stessa natura, da un buco nero non fuoriesce nessuna radiazione – fatta eccezione per la radiazione ipotizzata da Stephen Hawking nel 1974 e per il momento non ancora rilevata – l’individuazione di questi oggetti è generalmente legata alla scoperta della radiazione X emessa dal gas a elevatissima temperatura che è in procinto di varcare l’orizzonte degli eventi. Tale gas viene sottratto a una stella compagna in orbita intorno al buco nero. Siamo cioè in presenza di sistemi stellari binari il cui studio ha sempre confermato che la massa del buco nero è inferiore a 30 masse solari.

Peccato che non sempre la fortuna sia dalla nostra parte. Se, infatti, il buco nero non sta accumulando gas, non è possibile rilevare l’emissione X che ci rivela la sua presenza. L’unica strategia che ci rimane è raccogliere indizi sull’influenza gravitazionale che, grazie alla sua massa, un buco nero esercita su una stella compagna. Semplificando, si tratta di individuare stelle che, apparentemente senza avere nessuna compagna stellare, presentino periodiche variazioni della loro velocità rispetto alla Terra imputabili a un percorso orbitale.

Dal 2016 il team di astronomi coordinato da Jifeng Liu (Accademia Cinese delle Scienze) ha tenuto sotto controllo 3000 stelle utilizzando il telescopio LAMOST (Large Sky Area Multi-Object Fiber Spectroscopic Telescope) in servizio presso l'osservatorio cinese di Xinglonge e ha raccolto una serie di 26 misure da ciascuna di esse. La situazione più promettente era quella di LB-1, una giovane stella di tipo B nella costellazione dei Gemelli: la periodica variazione della sua velocità radiale – il suo moto celeste in avvicinamento e allontanamento da noi – apparentemente senza l’intervento di una stella compagna richiedeva un supplemento di indagine. Tra il dicembre 2017 e l’aprile dell’anno seguente, dunque, sono state effettuate osservazioni spettroscopiche a risoluzione più elevata utilizzando le strumentazioni del GranTeCan (Gran Telescopio Canarias) e del telescopio Keck. Grazie ai nuovi dati gli astronomi hanno potuto definire con precisione non solo il moto di LB-1, ma anche le caratteristiche di quel sistema. I risultati di questo corale lavoro di ricerca sono stati pubblicati lo scorso 27 novembre sulla rivista Nature.

Buco nero esagerato

Puntualmente, ogni 79 giorni, il moto radiale della stella si ripresentava identico, ma nei paraggi di LB-1 non vi era nessuna traccia di una possibile compagna; l’unica spiegazione era che questa elusiva compagna fosse una stella di neutroni o un buco nero stellare. Poiché i dati spettroscopici indicavano che, come minimo, quell’oggetto doveva avere una massa di oltre 6 masse solari, l’unica spiegazione possibile era che l’oscuro compagno fosse un buco nero. LB-1, dunque, stava inanellando le sue orbite con estrema regolarità mantenendosi a 225 milioni di chilometri dal buco nero, più o meno la distanza che separa Marte dal Sole.

La sorpresa più inaspettata, però, è venuta quando si è valutata la natura di un’emissione dell’idrogeno proveniente dal sistema e già rilevata anche dal telescopio cinese. Non solo è stato possibile identificare la sorgente di quell’emissione nel disco di accrescimento del buco nero, ma si è anche potuto ricostruire al meglio la geometria del sistema e determinare la massa del componente invisibile. È stato in questo modo che gli astronomi si sono trovati in presenza di un buco nero caratterizzato dalla stazza davvero esagerata di 68 masse solari. Ricordiamo che si sta parlando di un buco nero stellare, dunque di un oggetto che, per i modelli teorici, al massimo dovrebbe essere di 25 masse solari; il buco nero di LB-1 risulterebbe pertanto quasi tre volte più massiccio dei limiti teorici. Se, da un lato, vi è la soddisfazione di aver aggiunto un altro membro allo sparuto drappello (un paio di dozzine di elementi) di buchi neri stellari della Via Lattea, dall’altro emerge l’impellente necessità di dover inserire un buco nero così massiccio nel quadro delle attuali teorie evolutive.

Proprio un anno fa, la collaborazione LIGO/Virgo annunciava di aver individuato le onde gravitazionali generate da quattro nuovi eventi che vedevano il coinvolgimento di buchi neri stellari. Con le ultime aggiunte, il catalogo di LIGO/Virgo conta ormai 10 fusioni di coppie di buchi neri stellari e una fusione di una stella di neutroni e un buco nero. Tale serie di eventi conferma dunque che nella Via Lattea vi sono buchi neri con massa di alcune decine di masse solari, ma le condizioni nelle quali si ritiene possano formarsi simili oggetti sono piuttosto differenti da quelle rilevate nel sistema di LB-1.

Grazie a LIGO e Virgo si è scoperta una nuova popolazione di buchi neri con masse maggiori rispetto ai buchi neri individuati grazie alla radiazione X (in viola). Nel diagramma sono inoltre indicate le masse delle dieci fusioni binarie di buchi neri rilevate da LIGO/Virgo (in blu), le stelle di neutroni con masse note (in giallo) e le masse componenti della fusione binaria di stelle di neutroni GW170817 (in arancione), individuata dai rilevatori gravitazionali il 17 agosto 2017. Crediti: LIGO-Virgo / Northwestern University / Frank Elavsky

È vero che, come l’osservazione delle onde gravitazionali ci mostra, un buco nero può nascere dalla fusione di due buchi neri di massa minore, ma le caratteristiche di LB-1 rendono la cosa piuttosto complicata. Sappiamo infatti che quella stella ha al massimo un’età di 35 milioni di anni e ipotizzare che in questo breve lasso di tempo un sistema triplo abbia visto due esplosioni di supernova, la fusione dei due resti collassati in un unico buco nero e la regolarizzazione dell’orbita di LB-1 risulta davvero molto problematico.

Altri possibili scenari

Un altro intrigante scenario ipotizzato dai ricercatori è che, a parziale modifica del precedente, quel massiccio buco nero sia in realtà una coppia di buchi neri distinti in orbita reciproca molto stretta. La stella, dunque, sarebbe il terzo elemento di un sistema triplo. In entrambi questi scenari, però, resterebbe ancora una enorme grana da risolvere, cioè giustificare come sia stato possibile ottenere due buchi neri stellari ciascuno dei quali ammonta a circa 35 masse solari.

Non meno problematico lo scenario che prevede che la stella sia stata catturata a seguito del passaggio ravvicinato nei pressi di un buco nero preesistente. A vietarlo, come confermano i ricercatori nel loro studio, sono semplici considerazioni di carattere dinamico. L’orbita descritta da un oggetto catturato non è mai circolare, ma può diventare tale solo con il passare del tempo. Liu e collaboratori evidenziano però come per regolarizzare l’orbita di LB-1 potrebbe essere necessario un tempo paragonabile all’attuale età dell’Universo, dunque di gran lunga superiore all’età della stella.

Davvero notevole, insomma, la sfida che gli astrofisici si trovano a dover affrontare con il sistema LB-1. Una possibile via d’uscita, sottolineata nello studio, è che la stella blu stia attraversando un periodo di notevole instabilità e questo abbia pesantemente influenzato le valutazioni degli astronomi portandoli a sovrastimare dimensioni e luminosità della stella e, come diretta conseguenza, anche le dimensioni del buco nero. Se fosse così, la stella potrebbe essere più vicina e si potrebbe in tal modo comprendere come mai le misure astrometriche del satellite Gaia indicassero una distanza di solamente 7000 anni luce, la metà del valore della distanza ottenuta dall’analisi spettrale e dalla luminosità da essa derivata. Tutto da verificare, però, quanto la misurazione di Gaia possa aver risentito del tremolio del moto orbitale di LB-1. Senza contare che i teorici dell’evoluzione stellare si troverebbero a questo punto a dover giustificare la natura di questo rarissimo momento di instabilità in grado di rendere una giovane e calda stella come LB-1 molto meno luminosa di quanto dovrebbe essere.

Comunque la si metta, si preannunciano tempi di intenso lavoro non solo per gli astrofisici che si occupano di evoluzione stellare, ma anche per quelli che proveranno a spremere altri dati da quel problematico sistema.

 


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