Chi ha detto che la ricerca non paga. Che non sia così lo
dimostra il progetto Human Genome, lanciato dagli USA nel 1999 e costato un po’
meno di 4 miliardi di dollari in 10 anni ma che, a tutt’oggi, ha fruttato 796
miliardi di dollari in attività economiche ed ha generato 310.000 posti di
lavoro.
Ora è la volta del progetto di mappatura dell’attività del
cervello (Brain Activity Mapping Project) per il quale Obama intende spendere poco
più di 3 miliardi di dollari in 10 anni e il cui annuncio ufficiale è atteso
per questo mese (Marzo 2013). Il Brain Activity Mapping Project è l’omologo
americano dell’europeo Human Brain Project, che sarà finanziato con 1.2
miliardi di dollari in 10 anni.
Al di là del tema comune, il cervello, i due progetti sono
però molto diversi sia come approccio metodologico che come finalità. L’Human Brain
Project intende costruire, utilizzando gli strumenti dell’ICT (Information
Communication Technology) un cervello artificiale capace di riprodurre alcune
capacità tipiche del cervello umano. Tuttavia, è noto che uno stesso risultato
può essere ottenuto attraverso algoritmi del tutto diversi. Perciò, il fatto di
riprodurre in silico certe proprietà
operative proprie del cervello umano non ci assicura che ciò avvenga attraverso
gli stessi processi computazionali utilizzati dall’uomo.
A differenza
dell’Human Brain Project, il Brain Activity Mapping Project intende conoscere i processi neurali così come essi avvengono in
natura, attraverso uno studio dell’attività funzionale di tutti gli elementi
che costituiscono il cervello. Questo processo di conoscenza procederà per
fasi, partendo dal sistema nervoso di organismi semplici, come il Caenorhabditis
elegans, un verme, la Drosophila melanogaster, il moscerino della frutta, il
pesce zebra, fino ad arrivare ai primati e all’uomo, passando per il topo di
laboratorio e altri mammiferi più semplici.
Il metodo su cui dovrebbe basarsi questo studio è quello che
è stato, dalla nascita delle Neuroscienze, il metodo principe per lo studio
della funzione del sistema nervoso, la registrazione dell’attività funzionale
dei neuroni. Ciò che cambia, in questo caso, è la scala dello studio, non più basato,
come è attualmente, sulla registrazione di un campione di pochi neuroni
rappresentativi, ma sulla registrazione contemporanea dell’attività di tutti i
neuroni che compongono un circuito. Il cervello umano possiede circa 90
miliardi di neuroni, cellule che, a differenza di quelle di altri organi (il
fegato, i muscoli, le mucose etc etc) mostrano un’estrema eterogeneità e
specializzazione e sono tra loro connesse attraverso specializzazioni di
membrana (es. le sinapsi), che ne amplificano ulteriormente la complessità.
Con queste premesse, il progetto del Brain Activity Mapping non
si basa su nuove ipotesi di lavoro (hypothesis-driven) ma sullo svilupo di
nuove e rivoluzionarie metodologie (methodology-driven). Se si vuol trovare un
concetto informatore del Brain Activity Mapping Project, l’unico è quello che
la metodologia di studio del cervello deve adeguarsi alla sua complessità.
Il progetto comporterà infatti lo sviluppo di metodi di registrazione
che dovranno essere dotati di un potere di risoluzione spazio-temporale
adeguato alle caratteristiche dell’attività dei singoli neuroni e allo stesso
tempo capaci di registrare contemporaneamente da centinaia di migliaia di essi.
Non c’è dubbio che la sfida lanciata dal progetto è estremamente ambiziosa ed
il risultato non scontato a priori. Per questo motivo il progetto ha trovato
vari oppositori prima ancora di vedere la luce, anche tra i neuroscienziati. Gli argomenti sono
vari. Il più serio è che i metodi capaci di registrare da popolazioni
costituite da migliaia di neuroni non possiedono la risoluzione spazio-temporale
adeguata per registrare l’attività dei singoli neuroni che le compongono. D’altra parte, i metodi che permettono la
registrazione dell’attività di singoli neuroni, compresi quelli che utilizzano
metodi ottici, sono di natura invasiva e perciò possiedono dei limiti alla loro
applicabilità all’uomo. Infine si è obbiettato che la registrazione da una così
enorme moltitudine di neuroni comporterebbe grossi problemi di immagazzinamento
(storage) dei dati. Per esempio, lo storage dell’attività di 10 milioni di
neuroni l’anno avrebbe bisogno di uno spazio di 30 petabyte. Il superaccelleratore
(LHC) di Ginevra genera ogni anno dati che occupano circa 10 petabyte. Lo storage dei dati generati dalla registrazione
dell’attività dei 90 miliardi di neuroni del cervello umano occuperebbe uno
spazio di 300.000 petabyte all’anno.
In via di principio, il progetto Brain Activity Mapping dovrebbe dare un grosso impulso alle Neuroscienze. Tuttavia, non necessariamente questi grossi progetti hanno riflessi positivi sulla ricerca in generale. Per esempio, il fatto che l’LHC abbia confermato per filo e per segno il Modello Standard ha finito per desertificare un’area della fisica teorica molto feconda, quella dell’elaborazione di modelli alternativi a quello Standard. Il progetto Brain Activity Mapping, a sua volta, potrebbe risucchiare le risorse disponibili per le Neuroscienze, già ridotte a causa dei tagli alla spesa pubblica.