fbpx I media, sul clima, non parlano di combustibili fossili | Scienza in rete

Quando i giornalisti italiani parlano (poco) di crisi climatica, non dicono che è colpa dei combustibili fossili

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La seconda parte del lavoro dell'Osservatorio di Pavia, commissionato da Greenpeace Italia, sui media italiani e il clima vede un aumento dell'attenzione sulla crisi climatica ancora insufficiente. Complice anche la pubblicità, fornita spesso da aziende inquinanti.

Immagine: rielaborazione da Pixabay

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Marmolada, siccità, ondate di calore e alluvioni di questa estate hanno risvegliato l’animo dei giornalisti, ma senza accenderlo a dovere. Nonostante un aumento, infatti, della copertura mediatica, la crisi climatica resta poco rappresentata nei principali media italiani e, soprattutto, «viene raccontata dai media italiani come se non avesse responsabili», secondo il prosieguo dello studio dell’Osservatorio di Pavia commissionato da Greenpeace Italia (ne avevamo parlato qui). Questo testimonia «l’enorme influenza esercitata dall’industria dei combustibili fossili sul mondo dell’informazione». (Nota: l'Osservatorio si è occupato anche di monitorare la campagna elettorale, si veda questa analisi)

La seconda puntata dello studio prende in esame il periodo fra maggio e agosto 2022, e considera

  • le edizioni cartacee dei quotidiani italiani più diffusi - Corriere della Sera, la Repubblica, Il Sole 24 Ore, Avvenire, La Stampa
  • i telegiornali della sera di Rai, Mediaset e La7
  • un campione di programmi televisivi di approfondimento: Unomattina, Cartabianca, Mattino 5 news/Morning news, Quarta Repubblica, L’Aria che tira, Otto e mezzo/In onda.

Ecco i risultati per i quotidiani: Repubblica e La Stampa sono i due quotidiani «che attestano la minore attenzione alla crisi climatica, sia nel coverage complessivo, sia nel coverage al netto degli articoli con crisi climatica implicita», si legge nelle conclusioni. Il Sole24Ore è in cima alla classifica.

Immagine tratta dal rapporto dell'Osservatorio di Pavia sui quotidiani

La crescita delle notizie nei telegiornali riguardo agli eventi climatici estivi ha fatto salire la crisi climatica al 2,5% delle notizie, troppo poco ancora: «il TG1 è il telegiornale che ha dedicato più attenzione al problema, mentre peggio di tutti ha fatto il TG La7 di Enrico Mentana, che ha trattato di cambiamenti climatici appena una volta a settimana». Questo conferma quanto già detto in occasione del recente report a Scienza in rete da Giancarlo Sturloni: occupandosi prevalentemente di politica, La7 risente indirettamente della scarsa attenzione da parte della politica verso clima e transizione ecologica.

Immagine tratta dal rapporto dell'Osservatorio di Pavia sui telegiornali

Per quanto riguarda i risultati dei programmi di intrattenimento, il 27% delle puntate monitorate ha dato spazio alla crisi climatica, parecchio di più rispetto a telegiornali e quotidiani. A dominare la classifica è Unomattina di Rai1, pecore nere sono invece – come per i telegiornali – i programmi di La7: L’Aria che tira e Otto e mezzo/In onda. Nella puntata di Otto e mezzo del 7 novembre, per esempio, si è preferito citare solo di traverso l’inizio della COP27 sul clima in Egitto (la cui calendarizzazione è ben nota) e concentrarsi invece sui giochi di potere del nuovo Governo Meloni.

Immagine tratta dal rapporto dell'Osservatorio di Pavia sui programmi televisivi

Durante l’estate la rete Climate Media Center Italia ha scritto una lettera, rilanciata anche dal Domani, che esortava i giornalisti a parlare di crisi climatica. Nel dibattito innescato sui social, alcuni commentatori hanno fatto notare che lo stesso appello sarebbe da rivolgere anche a direttori di giornale ed editori, che spesso non accettano pezzi sul clima da parte di giornalisti soprattutto freelance.

Il motivo per cui direttori ed editori non vogliono che si parli di cambiamenti climatici e transizione ecologica, ci permettiamo di dire, potrebbe dipendere – oltre che da una generale carenza di cultura scientifica e climatica – da sponsor e finanziatori che esercitano una moral suasion più o meno consapevole con la pubblicità. Ecco infatti i risultati dell’Osservatorio proprio sulla pubblicità dei principali settori inquinanti (automotive, compagnie aeree, crociere, energia) ospitata nei principali quotidiani.

Elaborazione dei dati dell’Osservatorio di Pavia

Il Sole24Ore pecca di ospitare quasi 5 pubblicità di aziende inquinanti a settimana, contro la media di 3. Nel comunicato stampa relativo ai rapporti si legge che «l’influenza del mondo economico sulla stampa emerge anche esaminando il modo in cui i principali quotidiani italiani raccontano la crisi climatica. Negli articoli dedicati al riscaldamento del pianeta, infatti, le aziende si confermano il soggetto che ha più voce in assoluto (16,3%), superando gli esperti (15,3%), i politici (12,8%) e le associazioni ambientaliste (12,2%)».

Come dice Giancarlo Sturloni, responsabile della comunicazione di Greenpeace Italia, «si conferma inoltre un problema strutturale l’influenza che le aziende del gas e del petrolio esercitano sulla stampa italiana, pericolosamente dipendente da inserzioni pubblicitarie infarcite di greenwashing che inquinano l’informazione e impediscono all’opinione pubblica di conoscere la verità sull’emergenza climatica. Lo dimostra anche il fatto che le fonti fossili e le aziende del gas e del petrolio sono citate raramente tra le cause del riscaldamento globale, pur essendone i principali responsabili: nel racconto dei media, la crisi climatica resta in gran parte un delitto senza colpevoli».

Il risultato probabilmente più grave del rapporto, infatti, è a nostro avviso la quasi totale assenza del messaggio chiave: l’innalzamento delle temperature dovuto all’aumento della concentrazione di CO2 in atmosfera è colpa dei combustibili fossili e, quindi, delle aziende che fanno parte della filiera del petrolio, del carbone e del gas naturale.

Di seguito le percentuali disarmanti su quanto i combustibili fossili (non) siano descritti come la causa principale della crisi climatica.

Immagine tratta dal rapporto dell'Osservatorio di Pavia sui quotidiani

Il Sole24ore, nonostante parli più degli altri di crisi climatica, evita di parlare delle cause come invece tenta di fare La Stampa. La televisione si accoda, con i programmi di approfondimento che performano un po’ meglio dei telegiornali, ma senza eccellere né arrivare alla sufficienza.

Immagine tratta dal rapporto dell'Osservatorio di Pavia sui telegiornali

Immagine tratta dal rapporto dell'Osservatorio di Pavia sui programmi televisivi

Parlare delle cause degli attuali sconvolgimenti climatici non è un mero esercizio accademico, ma serve per identificare al meglio i settori economici che devono essere convertiti per una totale decarbonizzazione, soprattutto in queste settimane di COP27. È noto che le grandi industrie fossili – sul modello delle industrie del tabacco – hanno da sempre oscurato le conseguenze sulla biosfera della loro attività produttiva. Ora si inizia a vedere come il benessere costruito innegabilmente con i combustibili fossili si stia disgregando per i suoi “effetti collaterali”. Non è forse giunto il momento di cambiare idea e di considerare il fatto che la crisi climatica è dannosa in primo luogo per l’economia?

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