Una ragazza di 21 anni - Silvia - viene da noi per insufficienza renale. Ha diverse cisti ma solo nel rene sinistro, il destro è normale, non ci sono cisti nel fegato, e nemmeno familiarità per malattia renale policistica. La ragazza ha una sorella identica, "sta bene?" chiediamo. "Benissimo" dice la mamma, "Carla ha avuto un problema da piccola ma di tutt'altro genere, i suoi reni sono perfetti". Chiediamo di vedere anche Carla, è cieca da un occhio, facciamo qualche esame, anche lei ha insufficienza renale per quanto lieve, di cosa si tratta? Qui non basta un dottore, per quanto bravo serve qualcuno che sappia mettere insieme i pezzi di un puzzle un po’ complesso. “E' certamente una malattia rara ...”. Sì è proprio così: si chiama renal-coloboma syndrome, in letteratura ne sono stati descritti 65 casi. Questi ammalati hanno ipoplasia del rene e alterazioni del nervo ottico. Per la metà di loro è stata descritta una mutazione nel gene pax-2 che codifica per un fattore di trascrizione che ha un ruolo determinante nello sviluppo del sistema nervoso centrale e del sistema escretorio.
Lo studio del DNA delle due gemelle rivela proprio una mutazione di pax-2 nuova, mai descritta in letteratura. Adesso la diagnosi è sicura ma senza conoscenze di genetica non ci si sarebbe potuti arrivare (e infatti non c'erano arrivati tanti che avevano visto le gemelle per tanti anni). Sono identiche le due gemelle cioè hanno lo stesso DNA e la stessa mutazione in pax-2, ma adesso che lo sanno, i genitori vorrebbero sapere perché una è cieca da un occhio fin dalla nascita e l'altra no, "non sarà che ci saranno problemi agli occhi anche per Silvia un giorno o l'altro?" E perché Silvia aveva una o due cisti renali viste già in utero e Carla no? Silvia adesso ha una insufficienza renale molto avanzata, presto servirà la dialisi, anche Carla ha insufficienza renale, lieve per adesso "ma la malattia progredirà?" ci chiede la mamma, "un giorno o l'altro avrà bisogno di dialisi anche lei?"
Cosa si inventa un dottore anche bravo con questa mamma, cosa le risponde? E sono domande molto semplici che farebbe chiunque di noi al suo medico. Per rispondere bisogna almeno sapere che ci sono dei topi dove i ricercatori hanno silenziato il gene per pax -2. Questi topi - tutti uguali con lo stesso DNA proprio come Silvia e Carla - hanno manifestazioni di malattia molto variabile. Questi animali hanno reni ipoplasici, proteine nelle urine e anormalità del nervo ottico e della retina. Per capire di più della malattia di Silvia e Carla bisognerà utilizzare questi topi e studiare se la presentazione di malattia, così diversa tra le gemelle, non possa dipendere da un mosaicismo delle cellule somatiche che porta a un’espressione diversa dell’allele mutato nel rene o negli occhi o se non sia un problema di regolazione dell’espressione genica sostenuta per esempio da fenomeni di metilazione diversi che possono determinare localizzazioni diverse della malattia nelle due gemelle e severità diversa di espressione clinica.
Si dirà che queste sono malattie rare o rarissime e che le conoscenze sui geni implicati e sulla loro regolazione e sui modelli animali non servono alla pratica clinica di tutti i giorni. Ma non è così. Presto queste conoscenze serviranno per diagnosticare e curare tutto, malattie rare e malattie comuni, si capirà che le malattie più comuni dipendono da complesse combinazioni di polimorfismi rari (vuol dire che a malattie apparentemente simili possono corrispondere alterazioni genetiche molto diverse e che anche le cure potrebbero essere diverse). Non ci saranno più infarto, diabete e tumori ma tanti ammalati con tante forme diverse di infarto, diabete e tumori che potrebbero aver bisogno di cure completamente diverse. Trials clinici controllati e la cosiddetta medicina basata sull'evidenza che hanno uniformato le decisioni dei medici per i passati 30 anni serviranno sempre meno e allora si dovrà cambiare la formazione dei medici.
“Science for physicians” titola Science in un editoriale di questi giorni dedicato proprio alla formazione dei medici. Ma quanta scienza ci dev'essere nelle scuole di medicina? E' sempre stato controverso. Dal 1910 negli Stati Uniti si usa come criterio quello raccomandato dal rapporto Flexner: almeno due anni della scuola di medicina andrebbero dedicati a discipline fondamentali. Ma c'è persino chi pensa che per imparare la clinica questo non serva affatto. Molly Cooke che è professore di medicina presso la UCSF (la University of California di S. Francisco) ha studiato il problema per quattro anni confrontando quello che si fa in diverse Università degli Stati Uniti. Dai risultati dei suoi studi emerge che la scienza dovrebbe essere parte integrante dell’educazione dei medici, sempre durante gli anni di formazione (che includono scuola di medicina , internato e “residency”, che insieme fanno dieci anni) ma anche dopo per tutto il tempo di quella che ormai tutti chiamano educazione permanente. Serve per curare gli ammalati - ormai per farlo non si può più prescindere dalla medicina molecolare, dalla genetica e da tutto quello che viene dalle nuove tecnologie - ma c'è un'altra ragione forse ancora più importante.
Per fare il medico ci vuole curiosità, dedizione e voglia di studiare sempre, l'abitudine alla scienza aiuta a coltivare queste virtù. “Presto si potrà sequenziare il genoma di ciascuno di noi, che impatto avranno queste conoscenze nella pratica medica?” si chiede Molly Cooke. I nuovi curricula dovranno essere pensati per insegnare ai futuri medici non solo la scienza che c'è dietro alle scoperte più recenti, ma per dar loro anche gli strumenti per capire come ci si è arrivati a certe conoscenze, perché ci possano arrivare anche loro. Senza aver paura di enfatizzare quello che non si sa.
Questo negli Stati Uniti. E da noi? Siamo forse vicini a un'altra riforma dell'Università che forse si farà e forse no. Che secondo qualcuno è "tecnicamente la migliore vista da decenni" e che altri (di quelli che scrivono sulla Scienzainrete) invece vedono come "un insieme di norme tra le più disparate che avranno un impatto negativo sull'Università e le poche norme che avrebbero un possibile impatto positivo sono sterilizzate dalla mancanza dei fondi che servirebbero per applicarli”. Questa riforma parla soprattutto di docenti, di ricercatori, di precari, di tagli ai bilanci, di contributi dei privati. Tutte cose importantissime. Ma di cosa si dovrà insegnare nelle scuole di medicina e se ci debba essere anche da noi “scienza per i medici” e quanta e come e se c’è da noi qualcuno che eventualmente la saprebbe insegnare nella legge di riforma c’è poco o nulla.