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Quanto fa male l'inquinamento dell'aria, provincia per provincia

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Un’aspettativa di vita ridotta di oltre nove mesi e circa 30.000 morti all’anno: è il tributo che l’inquinamento atmosferico da particolato fine (PM2,5), responsabile del 7% di tutti i decessi naturali (esclusi, cioè, gli incidenti), esige ogni anno in Italia.
Questo è solo uno dei risultati emersi dal complesso lavoro portato avanti dal Progetto VIIAS (Valutazione Integrata dell’Impatto dell’Inquinamento sull’Ambiente e sulla Salute), che ha prodotto la prima mappa dettagliata dell’impatto dell’inquinamento sulla salute in Italia e i cui risultati sono stati presentati durante un convegno al Ministero della Salute il 4 giugno.
Il progetto è stato coordinato dal Dipartimento di Epidemiologia del Servizio Sanitario della Regione Lazio e realizzato nell’ambito delle iniziative del Centro Controllo Malattie (CCM) del Ministero della Salute.
Attraverso il campionamento dei dati relativi all’inquinamento atmosferico su tutto il territorio nazionale e l’utilizzo di raffinati modelli, è stato possibile non solo elaborare una mappa delle esposizioni e degli impatti sanitari con un livello di dettaglio provinciale, ma anche definire diversi scenari previsionali al 2020, in cui si evidenzia come la qualità dell’aria che respiriamo potrebbe cambiare - e come potrebbe di conseguenza migliorare il nostro stato di salute - in relazione alle contromisure adottate.
La presentazione dei risultati ha avuto luogo a pochi giorni di distanza dalla risoluzione sull’inquinamento atmosferico adottata dalla 68a Assemblea Mondiale della Sanità, in cui si invitano i governi a intraprendere misure urgenti.

I costi sanitari

Gli effetti dell’inquinamento atmosferico da particolato fine sono più marcati nel Nord Italia, dove la speranza di vita si riduce di 14 mesi, contro i 6,6 del Centro e i 5,7 del Sud e delle Isole. Particolarmente critica la situazione della Pianura Padana, con la Lombardia in testa con il più alto tasso di mortalità attribuibile al PM2,5: 164 decessi ogni 100.000 residenti (se si considera la sola provincia di Milano il tasso sale a 268, con 5.687 decessi, un numero che corrisponde a oltre la metà del totale regionale di 10.802) . Seguono l’Emilia-Romagna e il Veneto con tassi rispettivamente di 124 e 111. Rischia di più chi vive in città, dove il tasso di mortalità si attesta su 136 decessi ogni 100.000 residenti, contro i 59 delle aree rurali, e i mesi di vita persi salgono a 17.

Mortalità per provincia (clicca per ingrandire)


(E' stata definita una scala di colori per ogni inquinante, ciascuna delle quali va da 0 (colore chiaro) al massimo osservato (colore scuro), rispettivamente 268 per PM 2.5, 234 per NO2 e 14 per O3. Fonte: http://www.viias.it/dataviz/)

A tassi così elevati corrispondono concentrazioni di inquinante altrettanto alte: il progetto VIIAS non si è limitato a raccogliere i dati di concentrazione al suolo, ma li ha rielaborati mettendoli in relazione con la densità di popolazione, in modo da fornire un quadro il più realistico possibile dell’aria che effettivamente respiriamo. Così, se la concentrazione media al suolo di particolato fine in Italia è di 11,4 µg/m3 (dato apparentemente rassicurante, visto che la soglia di allarme imposta dalla normativa europea e accolta dall’ordinamento nazionale è di 25 µg/m3), quella “pesata” sulla popolazione sale a 20,1 µg/m3. 

Anche in questo caso, le differenze tra le varie parti d’Italia sono macroscopiche: al Nord, infatti, la media è di 24,5 µg/m3, al Centro di 17,1 µg/m3 e al Sud e Isole di 16,1 µg/m3. Nelle aree urbane, la media sale a 27,3 µg/m3, mentre nelle zone rurali si ferma a 16,2.
Scendendo al dettaglio regionale si nota, ancora una volta, come sia la Pianura Padana a pesare negativamente sul bilancio, con la Lombardia in maglia nera con una media “pesata” di 30,4 µg/m3 (seguita dal Veneto con 25,4 µg/m3 e dall’Emilia-Romagna con 24,6 µg/m3). La sola provincia di Milano ha una media di quasi 48 µg/m3. Al Centro, la concentrazione più alta si ha nel Lazio (22 µg/m3), mentre al Sud è la Campania la regione in cui si respira peggio (20 µg/m3).

Province che vanno oltre limiti di inquinamento (clicca per ingrandire)


[Sono state messe in evidenza le provincie che superano i limiti di soglia. PM 2.5 = concentrazione media annua non superiore a 25 µg/m3; NO2 = concentrazione media annua non superiore a 40 µg/m3; O3 = concentrazione media massima in un intervallo di 8 ore di 120 µg/m3 (soglia che non può essere superata per più di 25 giorni in un anno).Puntare sul grafico per osservare i singoli valori della concentrazione media annua; allo stato iniziale vengono visualizzati i dati della provincia con la concentrazione media più alta.]

Il PM2,5 non è tuttavia l’unica minaccia alla salute che arriva dall’aria: il biossido di azoto (NO2), con una concentrazione media di 24,7 µg/m3, è stato causa di circa 23.000 morti nel 2005, anno a cui fa riferimento questa prima tornata di dati. Nel 2010 si è osservata una diminuzione dei decessi attribuibili sia al particolato fine (21.524) sia al NO2 (11.993).  La ragione di questo andamento va ricercata negli effetti della crisi economica iniziata nel 2007 e in una riduzione delle emissioni derivante dal calo della produzione e dei trasporti (la concentrazione media “pesata” in Italia era scesa a 15,8 µg/m3 per il PM2,5 e a 18 µg/m3 per il NO2). Secondo le stime del Progetto VIIAS, nel 2020 si avrà uno scenario peggiore rispetto a quello del 2010, con oltre 28.000 morti a causa del PM2,5 e più di 10.000 per il biossido di azoto.

Gli scenari target

I margini di miglioramento della qualità dell’aria ci sono e, come dimostrano i dati relativi al 2010, sono ampi. Per il 2020 il Progetto VIIAS ha elaborato, oltre a uno scenario di previsione “business as usual”, che tiene conto della normativa e del trend attuali, due scenari target. Il primo ipotizza che in tutta Italia vengano rispettati i limiti che la legge impone alla concentrazione di inquinanti (il presupposto è che in nessun territorio, nemmeno in quelli in cui ciò accade sistematicamente, venga oltrepassato il valore limite di 25 µg/m3 per il particolato e di 40 µg/m3 per il biossido di azoto).
In questo caso si risparmierebbero circa 11.000 morti dovute a PM2,5 e 14.000 a NO2. Il secondo scenario ipotizzato da VIIAS presuppone che, sempre al 2020, le concentrazioni di inquinanti si riducano del 20% in maniera uniforme su tutto il territorio nazionale. In questo caso, i decessi causati dal particolato fine si ridurrebbero a 18.511 e si guadagnerebbero 5,5 mesi di vita rispetto al 2005. Le morti attribuibili a NO2 scenderebbero a 5.247, con un risparmio, quindi, di circa 18.000 vite rispetto all’anno di riferimento 2005.

Mesi di vita persi a causa del PM 2.5

 

Migliorare è possibile, ma è una sfida complessa

Il punto è come raggiungere questi obiettivi. La sfida è complessa e presuppone l’attuazione di politiche di tutela della salubrità dell’aria a più livelli. I veicoli a gasolio sono responsabili del 91% delle emissioni di biossido di azoto e di una parte importante del particolato atmosferico riconducibile al traffico: dati che fanno emergere l’importanza di interventi a favore di una mobilità sostenibile (pedonale, ciclabile, trasporto pubblico ecologico).
Markus Amann, dell’International Institute for Applied System Analysis, che ha aperto i lavori della presentazione dei risultati di VIIAS, ha posto l’accento sullo spostamento che negli ultimi anni si è verificato tra le fonti emissive: a fronte di una riduzione delle emissioni da parte dell’industria, si è assistito a un incremento di quelle derivanti dall’agricoltura e dal riscaldamento domestico, in particolare dalla combustione di biomasse, a partire dalla legna.
In Italia, dove l’uso di biomassa è stato incentivato dall’ordinamento in quanto fonte rinnovabile e a impatto neutro sull’effetto serra, il problema è particolarmente rilevante, soprattutto nelle regioni del Nord. “Per quanto riguarda l’agricoltura, responsabile della maggior parte delle emissioni di ammoniaca, esistono soluzioni tecniche in grado di ridurre sensibilmente l’impatto, a partire dallo stoccaggio coperto dei liquami. Per le biomasse domestiche il discorso è più complesso, ma sicuramente la combustione del pellet è più controllabile e quindi meno impattante. Le tecnologie per risolvere il conflitto tra ‘buono per il clima’ e ‘dannoso per l’inquinamento atmosferico’ esistono. In senso più ampio sono necessarie politiche a tutti i livelli, a partire da quello internazionale, perché per il PM2,5 non ci sono confini e in paesi come l’Olanda, in cui le fonti interne sono limitate, il particolato originato da fonti internazionali ha un peso rilevante”, ha osservato Amann.

Anche interventi di forestazione possono contribuire a ridurre l’incidenza di inquinanti. Per il particolato fine, inoltre, si rendono necessari interventi sul fronte degli impianti di riscaldamento a biomassa, la cui diffusione, incentivata da politiche a favore delle fonti rinnovabili, ha portato a un aumento, soprattutto nel nord Italia, delle emissioni di particolato atmosferico (sia PM10 sia PM2,5) e di idrocarburi policiclici aromatici (IPA).

Per dati e approfondimenti: http://www.viias.it/dataviz

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