In alcune terribili malattie neurologiche perdere completamente o quasi la capacità di muoversi e di parlare, pur mantenendo la capacità di percepire il mondo esterno. Il cervello pienamente cosciente di questi pazienti funziona come se fosse incarcerato in un corpo che non può controllare. Esempi di queste malattie sono la sclerosi laterale amiotrofica, nella quale degenerano i neuroni che fanno contrarre i muscoli, e la sindrome “locked-in”, causata da lesioni del tronco dell’encefalo che lasciano intatte le funzioni corticali superiori ma bloccano i comandi motori. In entrambe le condizioni alcuni pazienti possono eseguire minimi movimenti residui che permettono di comunicare con segnali concordati o tramite l’operazione di protesi meccaniche od elettroniche. Il giornalista francese Jean-Dominique Bauby riuscì a scrivere un libro sulla sua esperienza di paziente affetto da sindrome locked-in utilizzando l’unico movimento a lui possibile, la chiusura o apertura della palpebra sinistra, per comporre parole scegliendo le lettere che gli venivano presentate da una collaboratrice. Un altro caso di sindrome locked.in, molto pubblicizzato recentemente sulla stampa internazionale, è quello del paziente belga Rom Houben, erroneamente ritenuto in stato vegetativo persistente, cioè totalmente privo di coscienza, che solo dopo più di vent’anni ha potuto dimostrare di poter comunicare tramite un computer e di essere sempre stato in contatto con l’ambiente.
Anche le conoscenze sullo stato vegetativo persistente stanno per essere profondamente rivedute. In questo stato per varie cause (traumi, infezioni, avvelenamenti, disturbi circolatori) la corteccia cerebrale perde la capacità di sostenere la coscienza e la comunicazione con l’ambiente, mentre i centri sottocorticali nell’ipotalamo e nel tronco encefalico, relativamente integri, mantengono le funzioni vitali e l’alternanza fra una veglia ad occhi aperti senza contenuti di coscienza e un sonno ad occhi chiusi senza sogni. Clinicamente è difficile distinguere lo stato vegetativo dallo stato di minima coscienza, nel quale compaiono saltuariamente barlumi di comunicazione e di rapporto con l’ambiente. Un recente lavoro pubblicato da un gruppo anglo-belga nella rivista New England Journal of Medicine ha utilizzato come mezzo di comunicazione con pazienti in stato vegetativo o di minima coscienza quadri di attività cerebrale generati volontariamente, su comando verbale, dai pazienti stessi. Quando soggetti con sistema nervoso integro immaginano di giocare al tennis o di camminare nella propria città o casa le regioni cerebrali che si attivano nelle due condizioni, visualizzabili con la risonanza magnetica funzionale, sono nettamente diverse nelle due condizioni. In 5 pazienti su 54, 2 in stato vegetativo e 3 in stato di minima coscienza, la richiesta di immaginare le due condizioni produceva le stesse attivazioni cerebrali riscontrate nei soggetti con cervello intatto, a dimostrazione che quei pazienti comprendevano l’istruzione ed eseguivano correttamente il compito mentale. Inoltre, dopo aver concordato un codice di comunicazione per il quale il tennis significava sì e il percorso significava no, i pazienti rispondevano correttamente a domande personali che richiedevano come risposta un sì od un no.
Sembrerebbe quindi possibile esaminare lo stato di coscienza di una persona utilizzando le sue attività cerebrali anziché il comportamento e la comunicazione verbale. Questa possibilità suscita numerose domande filosofiche, giuridiche ed etiche. E’ giustificato attribuire la coscienza ad un cervello anziché ad una persona? Se è possibile chiedere ad un paziente di rispondere sì o no con il suo cervello ad una domanda neutra, è lecito chiedergli anche se vuole continuare a vivere in quelle condizioni? E quale valore legalmente vincolante può avere una risposta positiva o negativa data in condizioni nelle quali è legittimo sospettare una non piena capacità di intendere e di volere in un cerebroleso? In attesa che le ricerche procedano, e soprattutto che si arricchiscano le statistiche sulle probabilità di un recupero di una piena coscienza dopo stati vegetativi prolungati, sembra opportuno che il pubblico venga correttamente informato sulla tragicità di vivere nella incapacità di controllare il proprio corpo, senza coscienza o ancora peggio con qualche consapevolezza delle proprie condizioni. Una informazione approfondita può aiutare una persona in salute fisica e mentale di decidere a priori, secondo i principi della Costituzione, di non accettare trattamenti che prolunghino la vita nello stato vegetativo persistente o nello stato di minima coscienza senza concrete possibilità di un decente recupero funzionale.