Crediti immagina: rottonara/Pixabay. Licenza: Pixabay License
A cura di Maurizio Cecconi, Guido Forni, Alberto Mantovani
Si ringraziano: Gianni Bussolati, Univ. Torino; Silvio Garattini, Istituto Farmacologico Mario Negri, MIlano; Jacopo Meldolesi, Univ. Vita-Salute San Raffaele, Milano; Stefano Schiaffino, Univ. Padova; Paolo Vineis, Imperial College, London, UK; Zhigang Tian, The Key Lab. Innate Immun and Chronic Diseases, Chinese Academy of Sciences, Hefei, China, per i suggerimenti nella stesura del documento
Premessa
In questo momento, l’Italia e tutto il mondo si trovano ad affrontare la sfida drammatica del diffondersi dell’infezione di un nuovo coronavirus, il SARS-CoV-2. Di fronte a questa pandemia inaspettata che sta mettendo in difficoltà numerosi, se non tutti, gli aspetti della civiltà umana, la Commissione Salute dell’Accademia Nazionale di Lincei ha ritenuto fosse un suo compito mettere a disposizione della comunità un riepilogo, necessariamente provvisorio, delle attali conoscenze sull’origine, sui meccanismi e sui trattamenti a disposizione e in preparazione per trattare questa nuova pandemia.
Questo documento non intende offrire una revisione completa dello stato dell’arte, ma piuttosto un’istantanea della situazione in un campo in rapidissima evoluzione. L’arrivo di nuove pubblicazioni scientifiche e di articoli riferiscono importanti evoluzioni del campo è continuo. La preparazione di un un Rapport COVID-19 in questo contesto è pertanto un’impresa rischiosa e gli estensori di questo documento sono ben consci dei loro limiti.
Con i limiti della metafora, si può dire che stiamo sperimentando una medicina di guerra ed una ricerca di guerra. Troppo spesso siamo chiamati a rispondere al dramma dei pazienti con approcci empirici. Nonostante questi limiti, una valutazione rigorosa dei dati rimane e diventa sempre più un obbligo assoluto. Trovare un equilibrio tra le emergenze ed il rigore metodologico diventa la sfida centrale1.
Ci si aspetta che, con le note di cautela che abbiamo ricordato, questo Rapporto possa provvisoriamente fornire gli strumenti per comprendere meglio e far fronte alla sfida senza precedenti che stiamo affrontando.
Il virus SARS-CoV-2
Il virus. La malattia da Coronavirus 2019, conosciuta con la sigla COVID-19, è causata dall’infezione da parte del virus SARS-CoV-2, un coronavirus. I coronavirus sono una grande famiglia di virus i quali provocano malattie che vanno dal comune raffreddore invernale a malattie molto più gravi come la Sindrome Respiratoria del Medio Oriente, conosciuta con la sigla MERS, la Sindrome Respiratoria Acuta Grave, la SARS, e la COVID-19 appunto. Il capside del virus SARS-CoV-2 è costituito da quattro proteine strutturali, conosciute come Spike, Envelope, Membrane e Nucleocapsid. La proteina Spike, che forma una specie di corona sulla superficie delle particelle virali, agisce come una vera e propria “ancora” che consente l’attracco, la fusione e l’ingresso della particella virale all’interno delle cellule dell’organismo umano. Una porzione della molecola Spike si lega infatti ai recettori dell’enzima ACE-2 (Angiotensin-Converting Enzyme 2) espressi sulla membrana delle cellule dell’ospite umano2.
L’infezione. La COVID-19 inizia con l’arrivo delle particelle virali SARS-CoV-2 sulle superfici delle mucose respiratorie umane. Le cellule epiteliali che rivestono le mucose ed il muco secreto dalle cellule caliciformi (goblet cells) formano una prima, efficace barriera difensiva. Se il virus riesce a superarla, il rilascio di segnali di pericolo attiva la rapida reazione dell’immunità innata. Non sappiamo ancora se e quante particelle virali SARS-CoV-2 vengano eliminate da questa reazione infiammatoria, tuttavia è ragionevole supporre che l’efficacia maggiore o minore di questa reazione iniziale abbia un’importanza cruciale nel determinare se l’infezione virale sarà più lieve o più massiccia. Una volta che il virus è entrato dentro la cellula, l’RNA virale viene immediatamente tradotto dalla cellula infetta in proteine virali. Successivamente, la cellula infetta muore liberando milioni di nuove particelle virali.
Diffusione dell’infezione. I coronavirus vengono trasmessi tra animali e tra animali e persone umane, cioè i coronavirus sono zoonotici. Negli ultimi vent’anni un coronavirus ha effettuato almeno tre volte il cosiddetto salto di specie passando dal suo ospite naturale alla specie umana: il virus SARS-CoV nel 2003 in Cina; il virus MERS-CoV in Medio Oriente, nel 2015; il virus SARS-CoV-2 a Whuan, di nuovo in Cina, alla fine del 2019. È probabile che, come già accaduto per gli altri coronavirus, anche nel caso del SARS-CoV-2 l’ospite originale fosse il pipistrello. Nel mondo ci sono oltre 1.200 specie di pipistrelli che, nel loro insieme, rappresentano il 20% delle specie di mammiferi della terra, un enorme serbatoio di virus. Si ritiene che per il passaggio di un coronavirus da un pipistrello dall’uomo sia necessario un ospite intermedio. Nel caso del virus della SARS l’ospite è stato lo zibetto, per il virus della MERS è stato il cammello, sconosciuto ma probabile il pangolino per il virus SARS-CoV-2. Il pangolino è una specie in via d’estinzione. Questi animali vengono attivamente cacciati e commercializzati per le loro squame di cheratina, che sono un importante ingrediente della medicina tradizionale cinese, e per la loro carne che, in Cina ed in Vietnam, è considerata una prelibatezza3.
Durante l’autunno 2019, varie polmoniti ad eziologia sconosciuta sono state diagnosticate in persone collegate al mercato del pesce e di animali vivi della città di Wuhan, nella provincia di Hubei in Cina. Dal liquido del lavaggio bronco-alveolare di questi pazienti è stata isolata la nuova variante del virus (il SARS-CoV-2). Il genoma del virus è stato rapidamente sequenziato dagli scienziati cinesi che hanno resa pubblica la sequenza del virus4.
L’epidemia ha continuato a diffondersi ed il 30 gennaio 2020 è stata dichiarata emergenza di sanità pubblica di interesse internazionale5.
Il 20 febbraio un paziente di 35 anni, senza particolari ragioni per essere stato infettato dal SARS-CoV-2 è stato trovato positivo al virus mentre era già degente in un’unità di terapia intensiva nell’Ospedale di Codogno, Lodi. Il giorno seguente, a Codogno sono stati trovati altri 36 casi di pazienti positivi senza che fosse possibile stabilire un evidente collegamento con il caso precedente. L’individuazione di questo gruppo di persone infette ha segnato l’inizio del più grande focolaio di SARS-CoV-2 al di fuori della Cina.
Nelle settimane successive focolai d’infezione sono stati individuati nella maggior parte dei Paesi occidentali. L’11 marzo 2020, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha modificato lo stato dell’infezione da SARS-CoV-2 portandolo da epidemia a pandemia.
Per cercare di limitare la diffusione dell’infezione, prima la Cina, poi la Corea del Sud, l’Italia e, progressivamente molti altri paesi del mondo hanno imposto dei limiti allo spostamento delle persone ed hanno chiuso i confini6. Ha così preso origine la più grande quarantena della storia dell’umanità.
Al momento attuale, l’epicentro di questa pandemia sembra essere in Europa. Sia il numero di persone contagiate con sintomi della malattia sia quello delle persone decedute a causa della COVID-19 sono in aumento in tutti i Paesi europei. La stima della diffusione della COVID-19 è resa difficile sia dalla rapida diffusione dell’infezione sia a causa dei diversi metodi con cui i vari paesi rilevano la malattia. Tuttavia, pur con queste incertezze, è innegabile che l’Italia sia stata colpita dalla COVID-19 con particolare intensità.
Strategie per il contenimento dell’infezione
Il 23 gennaio 2020, con qualche ritardo rispetto all’iniziale diffusione della COVID-19, il governo cinese ha isolato e bloccato i movimenti di decine di milioni di persone nella provincia di Hubei. Agli abitanti di quest’area è stato vietato di lavorare, andare a scuola e ogni forma di aggregazione mentre tutti i negozi erano chiusi con l’eccezione di quelli che vendevano cibo o medicine. In conseguenza di questo blocco, i nuovi casi hanno iniziato a rallentare. Il 19 marzo 2020, per la prima volta, non sono stati segnalati nuovi casi di COVID-19 nella provincia di Hubei.
Sulla base dell’esperienza cinese, attualmente blocchi (cosciuti come lockdown) di vario grado della mobilità delle popolazioni sono in atto in diversi paesi asiatici ed europei, in Inghilterra e negli Stati Uniti.
Lo scopo di questi lockdown è ridurre il numero Rt, cioè ridurre il numero di persone che, nel tempo, vengono contagiate da ogni persona infetta. L’esperienza di Hubei insegna che in questo modo è possibile bloccare, in un tempo relativamente breve, la diffusione del SARS-CoV-27. Un’efficace riduzione dell’infezione è di importanza cruciale per permettere una più efficace assistenza ai pazienti e per una riorganizzazione del sistema sanitario, messo in difficoltà da un inaspettato alto numero di malati.
Come illustreremo più avanti, in una percentuale significativa dei casi la COVID-19 può dare origine ad una sindrome respiratoria acuta molto grave che richiede il ricovero in reparti di terapia intensiva. Nella maggior parte dei Paesi del mondo, il numero di letti nei reparti di terapia intensiva è relativamente basso. Prima dell’arrivo dell’epidemia di COVID-19, in Italia ce ne erano circa 5,000. I dati attuali indicano che circa il 12% dei pazienti di COVID-19 richiede l’ammissione in reperti di terapia intensiva. In pratica, se contemporaneamente 42,000 persone si ammalano gravemente si satura la capacità totale di terapia intensiva del nostro Paese.
Anche se la disponibilità dei letti in unità di terapia intensiva varia da Paese a Paese, nessun sistema sanitario al mondo potrebbe resistere di fronte ad un aumento illimitato di pazienti che necessitano terapia intensiva. Per questo motivo, di fronte al divampare dell’epidemia, non è possibile pensare solo di aumentare il numero di letti in terapia intensiva ma diviene assolutamente necessario mettere in atto misure in grado di contenere il diffondersi dell’infezione, evitando così di mettere il sistema sanitario di fronte ad un carico che non può più essere gestito.
Se il lockdown è in grado di ridurre il diffondersi dell’infezione, che cosa ci si deve aspettare nel momento in cui il blocco viene tolto o ridotto? Il rimbalzo dei nuovi casi che possono nascere dalle nuove vie di contagio potrebbe richiedere l’imposizione di un blocco successivo o addirittura di una serie di blocchi realizzati con un andamento periodico.
Il costo sociale, politico ed economico di un lockdown prolungato ed eventualmente ripetuto è straordinariamente elevato ed attiva problemi sociali complessi7,8. La prospettiva di misure di blocco meno drastiche che riducano, o per usare un termine più tecnico, mitighino anche se non blocchino la probabilità di passaggio dell’infezione da una persona all’altra, sono state inizialmente adottate in Inghilterra e sono attualmente in atto in numerosi altri Paesi7,8.
A questo proposito, per certi versi appare interessante l’approccio altamente tecnologico adottato dalla Corea del Sud per circoscrivere la diffusione dell’infezione. Utilizzando varie forme di tecnologia digitale e un gran numero di tamponi per accertare l’infezione, è stato possibile individuare le persone contagiate, identificando per mettere in quarantena le persone che ne erano venute a contatto. In questo modo è stato possibile, per ora, limitare la diffusione della COVID-19 senza dover chiudere intere città. Anche se nuovi focolai d’infezione potrebbero ancora emergere, l’esperienza della Corea del Sud suggerisce che il grado di preparazione (la preparedness) del Paese associato ad approcci tecnologici possono giocare un ruolo molto importante nel controllo della diffusione delle infezioni9, 10.
In conclusione, attualmente sembra possibile delineare tre scenari per il contenimento della COVID-19: il lockdown o blocco completo, la mitigazione della probabilità dei contatti ed una combinazione dei due scenari associata a risvolti altamente tecnologici. Il lockdown è la strategia di contenimento oggi in atto in Italia ed in molti altri Paesi europei. La mitigazione, che consiste in interventi più lievi di contenimento, è stata inizialmente attuata in Inghilterra ed è ancora in atto in certi Paesi, europei e non. La diversità del tipo d’intervento è scelta in diretta relazione con l’intensità dell’infezione presente in una particolare popolazione.
Ci si può aspettare che, con l’attenuarsi della drammaticità della situazione del nord Italia, potranno venir imposti periodi successivi di lockdown e di mitigazione in modo di andare incontro alle necessità delle società e, allo stesso tempo, controllarle le possibili ondate successive dell’epidemia.
L’immunità
Immunità innata. L’immunità innata è una prima, efficace linea di difesa contro i microbi. Le evidenze a disposizione indicano che essa è in grado di bloccare oltre il 90% delle invasioni dei microbi. Per ora, le informazioni sul ruolo dell’immunità innata nel controllo dell’infezione da parte del virus SARS-CoV-2 sono scarse: dopo l’infezione il numero dei linfociti diminuisce (si ha una linfopenia) mentre aumenta il numero dei neutrofili. In genere si assiste ad un aumento delle linfochine che promuovono l’infiammazione (per esempio dell’IL-6, del TNF e delle chemochine). Mentre i virus SARS-CoV e MERS-CoV (responsabili della SARS e della MERS) infettano i macrofagi e i linfociti, questo non sembra il caso del virus SARS-CoV-2, che invece sopprime la produzione degli interferoni, una famiglia di citochine che regola numerosi aspetti della reazione immunitaria11. Questi dati, come riportato più sotto, permettono di comprendere meglio il quadro clinico della COVID-19.
Immunità adattativa. Anche in questo caso, le conoscenze sono ancora scarse e basate principalmente su quanto si è imparato studiando la SARS e la MERS12. Come comunemente avviene durante le infezioni virali, la reazione protettiva sembra essere basata sull’azione dei linfociti T helper1 che orchestrano una complessa reazione immunitaria13.
Dal sangue dei pazienti di SARS, di MERS e di COVID-19 sono stati isolati anticorpi contro il virus SARS-CoV-2, anticorpi che sono in grado di neutralizzarne la capacità infettiva12. I coronavirus, però, sono virus estremamente efficaci nel sopprimere vari meccanismi protettivi della risposta immunitaria14. Sopprimono la produzione degli interferoni e bloccano la presentazione degli antigeni da parte delle glicoproteine del complesso maggiore di istocompatibilità (HLA) di Classe I e di Classe II.
Una questione che assume un’estrema importanza per le conseguenze nella terapia e nella prevenzione della COVID-19 sia nella messa in atto di differenti misure di lockdown, è stabilire se nelle persone infettate dal virus SARS-CoV-2 si instaura una memoria immunitaria protettiva e per quanto tempo questa memoria è in grado di proteggere da una successiva infezione. I dati a disposizione suggeriscono che le infezioni da coronavirus, incluse quelle da SARS-CoV-2, inducono una memoria protettiva. Ralph Baric ha recentemente affermato che sia la risposta immunitaria che la resistenza all’infezione dovrebbero durare almeno 6-12 mesi15. L’estrema necessità di più dati sull’immunità verso la COVID-19 è più che evidente.
Aspetti clinici
L’infezione da SARS-CoV-2 si manifesta con una gran varietà di sintomi: può essere totalmente asintomatica oppure presentarsi con sintomi gravi. In Italia, il Paese che mentre si scrive ha la più elevata incidenza giornaliera di nuovi casi, circa il 67% dei pazienti di COVID-19 presenta sintomi lievi mentre circa il 30% presenta sintomi che richiedono il ricovero in ospedale. I sintomi più comuni sono febbre, tosse e dispnea. Una piccola percentuale di casi riporta sintomi gastrointestinali prima della comparsa dei sintomi respiratori16.
I primi rapporti che sono arrivati dalla Cina indicavano che solo il 5% delle persone infette aveva bisogno del ricovero in un’unità di terapia intensiva, mentre meno del 3% aveva necessità di un respiratore per la ventilazione meccanica15. Invece, i dati più recenti che derivano dalla Lombardia mettono in evidenza un tasso più alto di ricoveri in unità di terapia intensiva, dell’ordine del 12% di tutti i casi di COVID-19, molto di più quelli ospedalizzati17.
Il tasso di mortalità per ogni caso di COVID-19 (il Case Fatility Rate) varia nei vari Paesi del mondo. In Italia il tasso di mortalità è stimato al momento dell’8,5%, ma esso varia significativamente tra le fasce d’età. Fino a 29 anni non si ha quasi nessun decesso mentre tra le persone di oltre novant’anni la mortalità varia dallo 0,3 al 24,1%. La probabilità di avere una malattia con decorso più grave e di morire è più alta nei pazienti che hanno anche altre patologie17.
Diagnosi: virus e anticorpi
Tamponi. La pietra miliare nei test diagnostici è costituita dai saggi basati sulla PCR (Polymerase Chain Reaction) che permettono di rilevare la presenza dell’RNA del virus SARS-CoV-2 nei tamponi nasali. Il test attualmente utilizzato deve essere eseguito da personale specializzato e richiede circa 4 ore. Questo test soffre di gravi limitazioni, ad esempio, in pazienti avanzati, i tamponi nasali possono essere negativi mentre i lavaggi broncoalveolari sono positivi e la frequenza dei falsi 7 negativi in pazienti asintomatici può essere più alta18. Inoltre, al momento della stesura di questo documento, i tamponi che inattivano il virus non sono più disponibili, almeno in Lombardia. Un test di un’ora (DiaSorin, Italia), sempre basato sulla PCR è stato appena approvato dalla Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti e ciò potrebbe migliorare la potenzialità diagnostica19. Sempre negli Stati Uniti, la FDA ha approvato dei “test a casa”: i tamponi vengono spediti a casa insieme a istruzioni dettagliate. Successivamente il tampone viene rispedito ad un laboratorio diagnostico per l’analisi20.
Anticorpi. L’individuazione degli anticorpi presenti nel siero è una tecnica di estrema importanza, sia per la diagnosi individuale sia per gli studi epidemiologici. Al momento in cui si scrive i test diagnostici disponibili commercialmente basati sugli anticorpi non sono stati ancora validati e messi in paragone con i test basati sulla PCR. Tuttavia, il recente documento di un’istituzione accademia suggerisce che test basati sulla presenza di anticorpi contro il SARS-CoV-2 potranno presto fornire dati molto interessanti21. La messa a punto di test validati ed affidabili che rilevino la presenza di anticorpi anti SARS-CoV-2 sarà presto di fondamentale importanza sia per la diagnosi, sia per le stime epidemiologiche della diffusione dell’infezione e sia per valutare la persistenza della memoria immunitaria. Questo tipo di analisi fornirà anche le informazioni essenziali sulle persone che possono tornare al lavoro, pressoché senza pericolo, quando i lockdown vengono attenuati o eliminati.
Terapia
Introduzione. In condizioni non controllate, una gamma molto varia di farmaci è stata somministrata ai pazienti di COVID-19. Questi vanno dai farmaci anti-retrovirali e anti-virali ai preparati della medicina tradizionale cinese. Una discussione dettagliata di tutti i composti e delle strategie terapeutiche adottate va oltre lo scopo di questo rapporto. Però, come affermato nell'Introduzione, mentre comprendiamo la drammaticità della sfida costituita da una medicina di emergenza, non possiamo non essere di accordo con l’editoriale dell’autorevole New England Journal of Medicine sul fatto che “... studi clinici di alta qualità, avviati rapidamente, possono essere realizzati anche in situazioni di epidemia e anche nelle circostanze così difficili come quelle che sono state riscontrate a Wuhan” e con l’editoriale del Journal of American Medical Association che chiede l’attivazione di studi clinici rigorosi1,22.
Proprio perché l’efficacia di vari farmaci è stata molto spesso proclamata senza che siano stati fatti seri studi clinici, recentemente l'OMS ha annunciato l’attivazione di un ampio studio globale, chiamato SOLIDARITY, progettato proprio per stabilire se qualcuno dei farmaci fino ad ora somministrati ai pazienti di COVID-19 sia davvero efficace. Si tratta di uno sforzo senza precedenti, che coinvolge molte migliaia di pazienti in una dozzina di Paesi, volto ad ottenere finalmente solide certezze cliniche 23.
I trattamenti essenziali: il supporto respiratorio e l’insufficienza d'organo. Attualmente non esistono terapie specifiche per la COVID-19. La terapia di supporto è ciò che può far guadagnare tempo al paziente per ricuperare le funzioni di base. Nel contesto di una grave ed acuta 8 insufficienza respiratoria, la terapia di supporto potrebbe voler dire ventilazione meccanica invasiva e / o non invasiva (sotto forma di ossigeno ad alto flusso, pressione positiva e continua sulle vie aeree o ventilazione non invasiva). I pazienti che richiedono una ventilazione meccanica invasiva di solito sono molto malati e hanno bisogno delle risorse delle unità di terapie intensiva, sia in termini di assistenza infermieristica che di tempo e tecnologie medicali. Molti di questi pazienti sviluppano una forma di insufficienza respiratoria acuta definita come ARDS (Acute Respiratory Distress Syndrome).
Uno dei cardini del trattamento dell'ARDS è la cosiddetta "strategia polmonare protettiva". Questa modalità di trattamento consiste nell'utilizzare le pressioni più basse e ridurre i volumi della ventilazione necessaria per ossigenare il sangue, in modo da evitare che sia proprio la ventilazione a causare un danno al polmone. Nei casi più gravi di ARDS, l’ossigenazione extracorporea a membrana (Extra Corporeal Membrane Oxygenation, ECMO) può essere utilizzata per sostituire temporaneamente la lo scambio gassoso dei polmoni malati. In alcuni casi, il paziente viene messo in posizione prona per sfruttare l'effetto della gravità sul flusso di sangue verso le parti dei polmoni che sono meglio aerate.
Pur concentrando l’attenzione sulla protezione dei polmoni e lasciando loro il tempo di guarire, è necessario prestare particolare attenzione anche a sostenere gli altri organi. Farmaci vasopressori devono essere utilizzati per mantenere un'adeguata perfusione sanguigna, i fluidi organici devono essere attentamente titolati per evitare sia l'ipovolemia che l’ipervolemia. Nel caso si sviluppasse una lesione renale acuta può essere necessaria una terapia dialitica sostitutiva.
Benchè al momento non vi siano prove convincenti sull’efficacia di nessun altro farmaco sui pazienti di COVID-19 con insufficienza respiratoria acuta, sono stati sviluppati vari protocolli clinici basati su farmaci anti-virali, clorochina, farmaci anti-infiammatori, solo per citarne qualcuno. Si riporta il razionale e le evidenze cliniche di alcuni di questi trattamenti.
Farmaci antivirali
- Lopinavir / ritonavir. La combinazione di questi due farmaci, comunemente utilizzata per il trattamento dell’infezione da HIV, è stata frequentemente somministrata ai pazienti di COVID-19. Tuttavia, un recente studio randomizzato su pazienti in stadio avanzato non ha messo in evidenza alcun beneficio24. A questo punto ulteriori studi clinici basati su un alto numero di pazienti sono necessari per valutare se questa combinazione è efficace nelle fasi più precoci della malattia
- Remdesivir. Questo farmaco dimostra una potente attività anti-virale sia in saggi in vitro sia in un modello animale di MERS. La sua efficacia sui pazienti di COVID-19 è in corso di valutazione25
- Clorochina e idrossiclorochina. Queste due sostanze sono dotate di attività antivirale e hanno la capacità di sopprimere la reazione infiammatoria (vedi più sotto). Il loro potenziale nel trattamento della COVID-19 deve ancora essere stabilito
- Gli interferoni. Il razionale che sta alla base dell’utilizzazione degli interferoni, sia per via sistemica che per aerosol, è già stato menzionato al punto 3. In precedenza, gli interferoni 9 sono stati utilizzati in casi di Ebola e SARS27. Sarà interessante valutarne il potenziale curativo in sottogruppi di pazienti di COVID-19 selezionati sulla base delle citochine in circolo e dei profili immunitari
I quattro farmaci che sembrano essere più promettenti e che saranno inclusi nell’ampio studio globale dell’OMS (SOLIDARITY, vedi sopra) sono il remdesivir, la clorochina e l’Idrossiclorochina, i lopinavir e gli stessi in combinazione con l’interferone-beta23.
Inibitori dell’infiammazione. Numerose evidenze sperimentali e cliniche mettono in evidenza che una risposta immunitaria non ben controllata o un’eccessiva infiammazione possono amplificare il danno dei tessuti, dimostrata nei pazienti di SARS, potrebbe essere vera anche nei pazienti di COVID-19. Gli alti livelli di citochine pro-infiammatorie (ad esempio di IL-6, di TNF, di IL-1 e di chemochine) e il significato prognostico che hanno gli alti livelli di IL-6 nei pazienti infetti da coronavirus giustificano appieno le strategie terapeutiche volte a limitare la risposta infiammatoria28. Per inibire risposte infiammatorie eccessive vengono utilizzati anticorpi monoclonali contro l’IL- 6, contro il recettore dell’IL-6 (tocilizumab), contro l’IL-1 (ad esempio il canakinumab) e viene anche utilizzato un antagonista del recettore dell’IL-1 (anakinra). Alternativamente si interferisce con le funzioni del Complemento o si utilizzano inibitori delle vie di segnalazione dei recettori delle citochine (JAK1,2) come ad esempio il baricitinib. Va ricordato che la clorochina, proposta come farmaco anti-virale, ha anche proprietà immunosoppressive e anti-infiammatorie. A questo proposito, l’ipotesi che l’uso della clorochina come farmaco antimalarico sia alla base dell’apparente maggior resistenza dell’Africa alla diffusione della COVID-19 non tiene conto del fatto che, da lungo tempo, questo farmaco non è quasi più usato per trattare la malaria.
Il tocilizumanb, un anticorpo monoclonale umanizzato diretto contro il recettore delle IL-6 è l’unico, tra questa serie di farmaci, per cui siano disponibili numerosi dati clinici. Questo anticorpo è usato, anche se limitatamente, per il trattamento dell’artrite reumatoide e per controllare la “sindrome da rilascio di citochine” che si manifesta nella terapia cellulare CAR-T basata sulla somministrazione di linfociti geneticamente modificati. Al meglio delle nostre conoscenze, il Prof. Haiming Wei, Hefei, Cina, ha portato avanti la prima somministrazione sperimentale di tocilizumanb su un piccolo numero di pazienti di COVID-19, cui ha fatto seguito un uso diffuso di questo farmaco in Cina e la sua inclusione nelle linee guida emesse in Cina il 13/02/202029. È da notare che successivamente nuovi studi con tocilizumanb sono stati avviati in Cina ed in altre parti del mondo, tra cui l’Italia, dove sono svolti sotto l’egida dell’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA).
Anticorpi terapeutici. Il plasma dei pazienti guariti è stato usato come sorgente di anticorpi fin dai primi tempi dell’immunologia. Anche se l’efficacia terapeutica di quest’approccio è ancora da stabilire, in Cina e in altre parti del mondo, tra cui l’Italia, il plasma dei pazienti guariti è stato usato per trattare i malati di COVID-19, come era stato fatto in precedenza con i pazienti affetti da Ebola.
Anticorpi monoclonali umani diretti contro i componenti del virus SARS-CoV-2, ed in particolare contro la proteina Spike, sono in fasi diverse di sviluppo in numerosi laboratori accademici ed 10 industriali 30,31. Benché quest’approccio sia molto interessante, va notato che, sia nel caso del virus della SARS che di altre infezioni virali, gli anticorpi possono, in particolari condizioni, facilitare l’ingresso del virus dentro le cellule (fenomeno conosciuto come ADE, Antibody Dependent Enhancement)32 e causare un danno dei tessuti33. Ribadendo un concetto già più volte espresso, anche nel caso delle terapie basate sugli anticorpi sarà necessario procedere a rigorose valutazioni cliniche della loro efficacia e delle possibili controindicazioni.
Vaccini anti SARS-CoV-2*
Introduzione. La speranza e l’enfasi che i media e le persone comuni stanno ponendo sull’avere al più presto un vaccino che protegga contro la COVID-19 derivano dai grandi trionfi che i vaccini hanno avuto e stanno avendo nel controllo delle malattie infettive12.
Problemi preliminari. Non sempre, però, i vaccini proteggono bene. Abbiamo ancora una lunga lista di gravi malattie infettive verso le quali i vaccini sono solo parzialmente efficaci ed abbiamo una serie di clamorose sconfitte. In effetti, ogni malattia costituisce un problema immunologico a sé: anche oggi, con tutti i dati in nostro possesso, è difficile prevedere quale vaccino possa essere veramente efficace. Questa difficoltà si accentua nel caso della COVID-19, una malattia giovane su cui gli studi in corso nei laboratori di tutto il mondo stanno portando incessantemente nuovi dati. Inoltre, i virus a RNA vanno incontro a frequenti mutazioni, motivo questo per cui è spesso non facile preparare vaccini in grado di proteggere efficacemente verso le malattie causate da virus a RNA.
Domande aperte. Per quanto riguarda la possibilità di avere un efficace vaccino per la COVID-19 è necessario poter rispondere con certezza ad alcune domande essenziali34:
- I pazienti che sono guariti, sono protetti verso una re-infezione?
- Se questa protezione esiste, per quanto tempo persiste ?
- La protezione immunitaria contro l’infezione da parte del virus SARS-CoV-2 si basa principalmente sugli anticorpi anti-virus o sulla reazione dei linfociti T killer?
In molti casi, la guarigione da una malattia virale dipende dall’azione degli anticorpi presenti nei fluidi organici, che neutralizzano le singole particelle virali, combinata con l’attività killer dei linfociti che scovano ed uccidono le cellule dell’organismo infettate dal virus che si stanno trasformando in fabbriche di milioni di nuove particelle virali. Ci sono tuttavia malattie virali la cui guarigione dipende principalmente, se non esclusivamente, dalla risposta anticorpale ed altre in cui, invece, è essenziale l’azione distruttiva dei linfociti T killer. Qual è il caso della COVID-19?
Il ruolo della Coalition for Epidemic Preparedness and Innovations (CEPI). Nel gennaio 2017, durante il World Economic Forum a Davos, è stata istituita la CEPI, un’organizzazione internazionale con sede ad Oslo, che ha lo scopo di promuovere lo sviluppo e lo stoccaggio di vaccini contro quei microbi che si prevede potrebbero causare nuove e spaventose epidemie: una quantità significativa di fondi è stata elargita dalla Bill & Melinda Gates Foundation, dal Welcome Trust e dai governi di numerosi paesi. Le principali compagnie farmaceutiche multinazionali hanno annunciato la loro collaborazione.
Ed è stata proprio la CEPI che, insieme a numerose altre iniziative pubbliche e private, già durante le primissime fasi dell’epidemia di COVID-19 ha attivato, finanziato e coordinato numerosi progetti per la preparazione di vaccini contro il virus SARS-CoV-2 seguendo strategie concettuali e tecnologiche tra loro molto diversificate. Questa diversificazione è apparsa subito essenziale proprio perché, per molte malattie, ma principalmente nel caso di una malattia nuova come la COVID-19, è difficile prevedere quale sia il tipo di risposta immunitaria, e quindi quale sial il tipo di vaccino, che meglio protegga contro l’infezione35.
Vaccini a RNA. Il 17 marzo 2020, il Dr. Michael Witte ha iniettato ai volontari la prima dose di un vaccino a RNA contro il virus SARS-CoV-2 preparato da Moderna, una società di biotecnologie di Cambridge, MA36 sponsorizzata dalla CEPI. I vaccini a RNA sono stati sviluppati proprio per essere prodotti in brevissimo tempo. L’RNA specifico per una particolare proteina virale viene veicolato dentro le cellule da particelle simili a virus, nei liposomi oppure legato a nanoparticelle. Una volta che l’RNA è penetrato dentro le cellule dell’organismo, queste utilizzano la sua informazione genetica per produrre la proteina verso cui si vuole attivare la reazione immunitaria.
Vaccini a DNA. Altre ditte di biotecnologie, tra cui la TAKIS Biotech, Castel Romano, stanno sperimentando, per ora su animali, vaccini a DNA contro il SARS-CoV-2. Anche i vaccini a DNA si basano sulla possibilità di indurre le cellule del corpo a produrre per un breve tempo le proteine contro cui si vuole indurre la risposta immunitaria. Dati, ormai acquisti da tempo, indicano che i vaccini a DNA stimolano la produzione di anticorpi ma possono anche indurre l’attivazione dei linfociti T killer. Tuttavia, sia i vaccini a RNA che i vaccini a DNA non sono stati ancora specificatamente saggiati sulle persone anziane, la fascia di popolazione che ha il maggior bisogno di un efficace vaccino anti COVID-1937.
Vaccini proteici. Oltre ai vaccini innovativi a RNA e a DNA, più veloci ed economici da mettere a punto, altri laboratori, come quelli della Queesland University in Australia stanno preparando, sotto l’egida della CEPI, vaccini anti COVID-19 utilizzando la tecnica della reverse vaccinology sviluppata da Rino Rappuoli della GSK di Siena. Partendo dalla sequenza dell’RNA del virus SARS-CoV-2 vengono identificate le proteine della superficie virale. Frammenti selezionati di queste proteine, prodotti in laboratorio con la tecnologia del DNA ricombinante, vengono mescolati con i nuovi adiuvanti di origine sintetica che sono in grado di indurre risposte immunitarie ottimali anche negli anziani.
Altri laboratori stanno seguendo strategie ancora più innovative o strategie più tradizionali che richiedono più tempo per essere messe a punto.
Valutazione del vaccino. La somministrazione del nuovo vaccino su un numero limitato di volontari, come sta già avendo luogo con il vaccino sviluppato da Moderna, consente di capire se il vaccino induce una buona risposta anticorpale e/o l’attivazione dei linfociti T killer e se la sua somministrazione causa eventi avversi evidenti. Successivamente, la vera valutazione dell’efficacia 12 del nuovo vaccino si baserà su studi randomizzati e controllati che confronteranno l’incidenza della COVID-19 in gruppi di persone vaccinate e non vaccinate.
Solo l’estensione di queste valutazioni a gruppi progressivamente più numerosi e per periodi più lunghi potrà stabilire se uno, numerosi o nessuno dei nuovi vaccini anti COVID-19 è in grado di prevenire con efficacia e per tempi prolungati l’infezione da parte del virus SARS-CoV-2 e se la sua somministrazione è associata o meno a eventi collaterali importanti.
Cautele connesse ad una valutazione accelerata. È probabile che, a fronte dell’enorme pressione esercitata dall’incombere della pandemia di COVID-19, vengano inizialmente utilizzati indicatori indiretti (surrogate markers) dell’efficacia del vaccino, come la valutazione della quantità di anticorpi o l’intensità della reazione dei linfociti T killer indotti dal vaccino sui volontari per decidere se, inizialmente, il vaccino possa incominciare ad essere utilizzato.
Tanta è l’urgenza del vaccino che, per verificarne l’efficacia, si prospetta anche l’eventualità di vaccinare e di infettare col SARS-CoV-2 volontari informati38. Tuttavia, ancora una volta si ribadisce che anche nel caso della COVID-19, la somministrazione del vaccino deve essere associata ad un rigoroso studio della sua sicurezza. Questo punto assume una particolare importanza proprio perché un vaccino non è un farmaco per persone ammalate che rischiano la vita quanto piuttosto un trattamento che viene somministrato a chi sta bene per prevenire il rischio di ammalarsi38.
La corsa per mettere a punto un vaccino anti COVID-19 non solo è giustificata ma assolutamente necessaria. Tuttavia, nella sua messa a punto deve essere incluso il tempo necessario per valutarne gli effetti collaterali. In alcuni casi, vaccini preparati contro altri coronavirus o virus di altro tipo hanno peggiorato la malattia39 o hanno indotto immunopatologie di tipo T helper240. Queste eventualità devono venire attentamente valutate ed escluse prima che unvaccino appena prodotto venga distribuito per combattere la pandemia e le sue successive comparse.
Problemi connessi con la produzione. Una volta che il nuovo vaccino sia stato validato, i problemi successivi saranno correlati alla produzione e distribuzione di milioni (miliardi?) di dosi del nuovo vaccino. Dovranno essere affrontati i complessi problemi tecnologici, organizzativi, regolatori ed economici connessi alla sua produzione e distribuzione. Produrre centinaia di milioni di dosi di un vaccino a RNA o DNA potrebbe essere complicato, e ciascuna dose potrebbe risultare costosa in quanto per immunizzare efficacemente e, in particolare per immunizzare efficacemente una persona anziana, potrebbe essere necessaria una quantità relativamente alta di RNA o DNA37.
Da queste considerazioni nasce l’idea che i vaccini anti COVID-19, se efficaci, difficilmente saranno comunemente disponibili prima di un anno o più. Questo lungo intervallo solleva un altro problema: come ci si pone se tra uno o due anni i vaccini anti COVID-19 non fossero più importanti o se venissero utilizzati solo da una piccola popolazione in una particolare area del mondo? Non possiamo prevedere quale sarà l’evoluzione della COVID-19, se la pandemia si esaurirà, se l’infezione persisterà solo in particolari aree, o se periodicamente nel mondo serpeggeranno nuove epidemie.
Altri vaccini e il BCG. Al momento non sono disponibili dati attendibili sull’impatto della vaccinazione anti-influenzale e dei vaccini anti-pneumococco sull’incidenza e progressione clinica della COVID-19. Tuttavia, va sottolineato che si concorda per varie ragioni con il raccomandare la vaccinazione anti-pneumococcica agli anziani, per la sua efficacia contro le infezioni da pneumococco, perchè protegge contro la superinfezione da parte dello pneumococco nel corso delle infezioni virali e perché permette di ridurre la comparsa di batteri resistenti agli antibiotici.
Infine, in qualche modo collegato ai vaccini è da menzionare l’ipotesi che il “vecchio” vaccino anti- tubercolare Bacille Calmette Guerin (il BCG) riduca il rischio di infezione da parte del virus SARS- CoV-2. Per valutare questa ipotesi, un gruppo di ricercatori dei Paesi Bassi sta avviando una sperimentazione clinica su 1,000 operatori sanitari. Studi simili in altri Paesi valuteranno se il vaccino BCG aumenta la resistenza delle persone anziane verso l’infezione da parte del virus SARS- CoV-2 41. L’immunità innata discussa più sopra (Vedi 4, Immunità innata) svolge un ruolo chiave nel controllo delle prime fasi dell’infezione. Pertanto, è interessante che strategie che aumentano l’immunità innata, come avviene in seguito all’inoculo del BCG, siano vagliate dagli epidemiologi e in studi clinici controllati.
8. Preparedness o l’essere preparati
Di fronte all’enorme tragedia di morte e sofferenza provocata dalla pandemia di COVID-19, di fronte al disastro sociale ed economico che sta causando, è inevitabile chiedersi quanto il mondo nel suo complesso e l’Italia in particolare erano o avrebbero dovuto essere preparati.
Secondo il “2019 Global Health Security Index ranking”42, 43, l’Italia non era particolarmente attenta ai problemi posti dalla diffusione delle malattie infettive. È giustificato questo giudizio? In poche settimane oltre 50 medici e 50 infermieri in Italia hanno perso la vita a causa della pandemia e un numero ancor maggiore è stato posto in isolamento perché infetto. E’ una perdita gravissima che non dovremo mai più permetterci.
Certamente si sarebbe potuto fare di più, in numerosi aspetti di cui alcuni molto importanti e relativamente semplici44, 45. D’altra parte, molti altri paesi e gli stessi organismi internazionali si sono mossi in modo poco coordinato, spesso confuso e a volte contraddittorio.
Non bisogna dimenticare, però, che solo pochi mesi or sono l’ipotesi di destinare energie e risorse per essere meglio preparati verso una possibile, ma comunque ipotetica pandemia non avrebbe avuto la forza di superare indifferenza, scetticismo, atteggiamenti anti-scientifici e sospetti di oscuri interessi e corruzione. Come sarebbe stato possibile indurre un paese che ha difficoltà a convincere una quota elevata della sua popolazione dell’importanza delle vaccinazioni basilari dell’infanzia, a destinare una parte significativa delle risorse per essere preparati verso un evento mai visto, come una nuova pandemia? Quasi tutti i paesi del mondo hanno questo tipo di problema che declinano ognuno in modo diverso sulla base della propria cultura46, 47.
Una valutazione di come l’Italia ed il mondo potevano essere meglio preparati e di come si sta reagendo di fronte alla pandemia, potrà essere fatta solo quando la pandemia sarà finita. È comunque probabile che in futuro la preparedness sarà molto più al centro dell’interesse nella politica della salute pubblica43.
La lezione sui pericoli di atteggiamenti anti-scientifici e sugli errori nell’allocazione delle risorse che l’Italia ed il mondo stanno vivendo è complessa e durissima, così dura che oggi non si può avere un’idea chiara del “dopo” che ci sta aspettando.
Referenze
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