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Rilanciamo le università con prestiti agli studenti

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Questo saggio propone l’introduzione in Italia di prestiti condizionati al reddito futuro dei laureati e ne valuta la sostenibilità finanziaria (per leggere l'articolo integrale clicca qui). L’intento della proposta è duplice: (i) aumentare la capacità di scelta degli studenti meritevoli, facilitando in particolare l’investimento in istruzione terziaria di quelli meno abbienti, altrimenti inibiti dall’incertezza di quell’investimento; (ii) convogliare maggiori risorse agli atenei più meritevoli e aumentare la qualità del sistema universitario italiano, grazie alla pressione concorrenziale esercitata dalle scelte degli studenti.

La proposta trae ispirazione da esperienze simili in altri Paesi, che stanno attraendo un’attenzione crescente nel panorama internazionale, anche da parte di chi ha fino a ora utilizzato i più problematici prestiti di tipo tradizionale per finanziare gli studenti universitari. Chi la avversasse sul terreno dell’equità, invocando un’astratta “università gratis per tutti”, dovrebbe fare i conti, oltre che con i vincoli di bilancio, con la profonda iniquità del finanziamento pubblico delle università in Italia: si mostra che esso comporta un trasferimento annuale di quasi 3 miliardi di euro dalle famiglie con reddito inferiore ai 40 mila euro lordi a quelle con reddito superiore.

Non avrebbe migliori argomenti chi avversasse la proposta sul piano dell’efficienza, preferendole lo status quo; il sistema di erogazione del Fondo di finanziamento ordinario (il veicolo principale attraverso cui lo Stato finanzia l’università pubblica), genera incentivi distorti ed è inefficiente per almeno due motivi:
(i) la quota preponderante del finanziamento, anche dopo la riforma Gelmini, dipende dalla spesa storica, in particolare da quella per il personale: questo incentiva a spendere tanto, non a spendere bene;
(ii) anche nella parte “premiale”, almeno fino alla riforma Gelmini, sono stati surrettiziamente introdotti indicatori che hanno ulteriormente rafforzato l’incentivo ad aumentare la quantità, non la qualità della spesa in personale.
Solo la riforma ha iniziato a introdurre, seppure in modo ancora limitato, alcuni importanti indicatori di qualità della ricerca e della didattica, ma si continua a specificare troppo dettagliatamente che cosa gli atenei debbano e possano fare, lasciando poco spazio ai comportamenti virtuosi che si vorrebbero incentivare.

C’è ampio spazio, dunque, e solide giustificazioni, per una salutare iniezione di concorrenza all’università italiana. La chiave di volta è credere nei giovani e metterli nelle condizioni di esercitare una scelta consapevole, che porti maggiori risorse alle università capaci di offrire un servizio migliore.

La nostra proposta configura un’operazione complessa, che richiede numerosi ingredienti.

Il primo ingrediente è un sistema di finanziamenti che i migliori studenti italiani, selezionati in base alla carriera scolastica e mediante un opportuno test nazionale da superare nell’ultimo anno delle superiori, possano utilizzare per pagare le tasse universitarie e il sostentamento necessario per frequentare l’ateneo che ritengono migliore, anche lontano da casa. Il finanziamento non prevede un rimborso fisso e indipendente dal livello di reddito che lo studente avrà una volta laureato, come nel caso di un normale prestito bancario: il rimborso sarà invece una frazione stabilita a priori di quel reddito, e sarà dovuto solo se e quando il reddito superi una soglia minima. Il neolaureato che dovesse inizialmente guadagnare poco o solo saltuariamente, dovrà rimborsare molto poco (o nulla). La proporzionalità tra il rimborso e il reddito a posteriori dello studente rende il finanziamento radicalmente differente da un comune prestito; esso riduce al minimo l’ansia che un debito prefissato potrebbe generare. D’altra parte, per un elementare principio di responsabilità nei confronti di chi eroga il finanziamento, e per evitare fenomeni di “selezione avversa” e di “comportamenti opportunistici”, sarà necessario compensare la variabilità dei rimborsi con la lunghezza del periodo in cui i rimborsi sono dovuti, al fine di garantire che, a parità di finanziamento ricevuto, l’ammontare complessivo rimborsato sia lo stesso: quanto più bassi saranno i rimborsi, tanto più lungo dovrà essere quel periodo; viceversa, chi avrà redditi elevati finirà prima di rimborsare il proprio debito.

Il secondo ingrediente ha una doppia faccia: da un lato, la possibilità per gli atenei di organizzare e offrire corsi di laurea di eccellenza; dall’altro, l’incentivo a farlo. La qualità degli attuali corsi di laurea, infatti, spesso non è tale da garantire ai futuri laureati di acquisire un reddito che giustifichi il tempo e le risorse investite nell’istruzione universitaria. Ma organizzare un corso di laurea di eccellenza costa, mentre nella situazione attuale niente garantisce all’ateneo che lo volesse fare le risorse necessarie. Gli atenei devono dunque avere l’autonomia per aumentare le tasse universitarie (in modo differenziato in relazione al reddito familiare), chiamare i migliori docenti, anche dall’estero, con retribuzioni adeguate, acquistare attrezzature d’avanguardia senza vincoli burocratici. E l’incentivo a farlo sono le risorse addizionali che riusciranno ad attrarre convincendo gli studenti della bontà della nuova offerta formativa. Il valore dei corsi che grazie all’autonomia potranno essere disegnati non sarà legale ma reale: lo certificherà la scelta degli studenti che su di essi scommetteranno. E d’altra parte la scelta degli studenti porterà agli atenei maggiori risorse proprio per realizzare il salto qualitativo necessario.

Il terzo ingrediente è la disponibilità a investire sul futuro dei giovani, ad acquisire una vera e propria “partecipazione azionaria” sul reddito che essi produrranno, con il loro studio e il loro impegno. Per mobilizzare le risorse necessarie a questo scopo si può far leva sull’azione congiunta della Fondazione per il merito (FM), recentemente istituita con il Decreto sviluppo, e della Cassa depositi e prestiti (CDP), che raccoglie e gestisce il risparmio postale. Quest’ultimo può essere convogliato dalla CDP nel finanziamento della FM, la quale offre a garanzia i contributi che le sono conferiti. E la FM a sua volta eroga i prestiti agli studenti, utilizzando i rimborsi che da loro riceverà per rimborsare il finanziamento della CDP. Il finanziamento della CDP sarà un multiplo della garanzia che la FM offre, in relazione al rischio di mancata restituzione. Per il tramite della CDP, dunque, la generazione dei padri investe in quella dei figli e dei nipoti.

L’ultimo ma non meno fondamentale ingrediente della nostra proposta è l’idea che i conferimenti alla FM, da utilizzare a garanzia dei prestiti, provengano dagli atenei (e non generino un’espansione della spesa pubblica). Essi conferirebbero alla FM una parte del loro FFO. L’incentivo a farlo proviene dall’aumento complessivo di risorse che così gli atenei otterrebbero: a fronte del conferimento la FM può ottenere dalla CDP un finanziamento molto più grande, con cui erogare prestiti che verranno utilizzati dagli studenti per iscriversi ai corsi di laurea che ritengono migliori, così che un ateneo con un’offerta formativa credibile può disporre di fondi largamente superiori a quanto conferito. Il prestito può essere utilizzato solo per iscriversi agli atenei che aderiscono alla proposta, per evitare che un ateneo che non partecipa, approfittando dei contributi degli altri, possa intercettare una parte della domanda addizionale indotta dalla disponibilità di prestiti. Le prime università a partecipare avranno quindi un incentivo molto forte, perché la concorrenza per attirare gli studenti destinatari dei prestiti sarà inferiore.

Per determinare quale sia l’ammontare dei prestiti erogabile a fronte della garanzia fornita, e l’ammontare di risorse addizionali che i prestiti possono portare agli atenei, è necessario simulare, dati i parametri che definiscono la proposta e ipotesi ragionevoli sui redditi futuri dei laureati, quale frazione del debito non verrà rimborsata e quindi quante risorse dovranno essere destinate a garantire i prestiti.

I parametri della nostra proposta sono:

  1. finanziamento di 15.000 euro annui, per 5 anni; include tasse universitarie pari a 7.500 (in media, da differenziare per livello di reddito della famiglia);
  2. tasso di interesse reale del 2% con cui capitalizzare il finanziamento e scontare i rimborsi;
  3. prelievo del 10% del reddito post-laurea che supera la soglia di 15.000 euro lordi;
  4. vita media potenzialmente utile per il rimborso pari a 40 anni;
  5. numero massimo di studenti che avrebbero i requisiti per accedere al finanziamento pari a 50 mila l’anno.

Abbiamo ipotizzato due scenari riguardo all’evoluzione possibile dei redditi futuri dei laureati che riceveranno il prestito. Nello scenario di base ipotizziamo che il sistema riesca effettivamente a migliorare la qualità degli atenei frequentati dagli studenti e che conseguentemente questi ultimi possano ottenere, dopo la laurea, redditi simili a quelli che oggi ricevono gli studenti di una delle migliori università italiane. In questo scenario la frazione di mancato rimborso è stimabile nel 12%; quegli atenei che decidessero di conferire una quota del loro FFO al patrimonio della FM vedrebbero un aumento complessivo delle loro risorse pari al doppio della quota conferita. Per erogare 50 mila prestiti per ciascuna coorte di studenti, sarebbe necessaria una garanzia annua di circa 480 milioni. In rapporto all’FFO complessivo si tratterebbe di un conferimento pari al 6.5%, a fronte del quale l’aumento netto annuo delle risorse sarebbe di circa il 13%.

Nel secondo scenario, più pessimista, ipotizziamo che i redditi dei laureati che accedono al prestito non migliorino rispetto a quanto osservato oggi in un’università “media”. D’altro canto, ipotizziamo anche che, in virtù della selezione sul merito che accompagna la concessione dei prestiti, tra i laureati che dovranno rimborsare il finanziamento non siano presenti quelli meno bravi. Il tasso di mancato rimborso sale al 15%. Anche in questo caso, tuttavia, la proposta consente di aumentare le risorse. Ogni ateneo che vi aderisse vedrebbe aumentato del 40% circa il suo conferimento. Per garantire la totalità dei prestiti potenziali sarebbe necessario un conferimento pari all’8% dell’FFO complessivo, a fronte del quale le risorse a disposizione del sistema universitario aumenterebbero di circa l’11%.

Come già detto, si tratta di una costruzione complessa, i cui elementi si sostengono vicendevolmente. Solo atenei in grado di offrire corsi eccellenti riusciranno ad attirare studenti meritevoli, portatori dei fondi necessari per finanziare proprio quell’offerta formativa di qualità. La CDP potrà quindi finanziare con tranquillità la FM, per un multiplo elevato della garanzia da quest’ultima offerta, perché i prestiti andranno in un investimento in capitale umano effettivamente redditizio. Il MIUR potrà concedere senza tema l’autonomia necessaria agli atenei che vogliano partecipare, perché saranno gli studenti stessi, con le loro gambe, a dire se gli atenei si saranno meritati la fiducia e l’autonomia ricevuta. Non ci saranno, a priori, atenei di serie A o B: tutti potranno partecipare a questo gioco a somma positiva, se sapranno sfruttare in modo convincente le risorse a loro offerte. Ma potranno anche andare avanti col vecchio sistema, se preferiscono. E, soprattutto, tutti gli studenti meritevoli, indipendentemente dalla condizione sociale, potranno accedere a questa scommessa comune con l’ateneo prescelto, sapendo che dovranno restituire il prestito solo se la scommessa sarà stata vinta e quindi il loro reddito lo consentirà.

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