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La riscoperta della Canapa

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E’ stata usata per secoli nella produzione di tessuti, carta, cordame e vele durante l’espansione delle Repubbliche Marinare. Fino alla metà degli anni ’50 era una delle coltivazioni più diffuse a livello internazionale, solo in Italia si contavano circa 100.000 ettari utilizzati per la sua coltivazione, con città nate attorno alla sua filiera. Oltre ad essere una fibra tessile di importanza storica, la canapa sta tornando a essere utilizzata come materia prima estremamente versatile e a basso impatto ambientale, per realizzare materiali eco compatibili in settori potenzialmente strategici. Un fermento che ha ragione d’essere, se si dà uno sguardo alle sue proprietà.

Durante tutto il suo ciclo di vita, dalla canapa si possono realizzare prodotti per diverse applicazioni: i derivati tipici delle foglie, ad esempio, sono le tisane, un tipo di birra, oli essenziali per profumi e aromatizzanti; con i semi si ottengono oli e farine per alimenti. A tavola, è l’assenza di glutine a rendere attraente le farine di canapa. I prodotti alimentari derivati in genere sono utili per il mix di proteine che contengono, simili a quelle della soja e del bianco d’uovo – sono i vegetariani i più interessati a un loro consumo. Gli acidi grassi si presentano con un contenuto sia di omega 3 che omega 6, condizioni potenzialmente ideali, secondo i nutrizionisti, per abbassare i livelli di colesterolo e trigliceridi nel sangue e prevenire le malattie del cuore. La farmaceutica, inoltre, può contare sulla canapa per curare il glaucoma e gli attacchi di asma.

Ma sono la fibra di canapa e il canapulo – la parte centrale dello stelo – che consentono di azzardare la definizione di “materiale innovativo”, per una materia prima tutt’altro che sconosciuta. Oltre all’ovvia possibilità di estrarre cellulosa per carta e tessuti come in passato - ma qui si è al limite dell’eco-gadget - la frazione legnosa della canapa, combinata con la calce, è facilmente utilizzabile per ricavare mattoni in grado di assorbire fino a 14 litri di acqua in un’ora e rilasciare l’umidità in condizioni di clima troppo secco. Risultato? Abitazioni più fresche e un risparmio potenziale di circa il 40% del consumo energetico necessario per riscaldare la casa. Senza dimenticare la non trascurabile  capacità di ingabbiare la CO2, assorbita durante il suo ciclo di vita. Mattoni, pannelli, intonaci, cappotti isolanti e fonoassorbenti di canapa per coibentare tetti e pareti esterne ed interne: se è necessario ripensare l’edilizia in termini di eco compatibilità, risulta difficile ignorare questo contributo, peraltro forte anche nella sostenibilità ambientale. La canapa, infatti, è una tra le più importanti risorse di biomassa sul pianeta, considerando che se ne possono produrre 10 tonnellate per acro in pochi mesi. Attrezzature già disponibili e la modifica delle macchine utilizzate normalmente per il fieno potrebbero alleggerire il processo di raccolta e ridurne il volume, facilitando la “cubatura” e abbassando i costi di trasporto verso gli impianti di processazione per farne del biocombustibile. Dove altri tipi di materiale biomassa hanno fallito, dalla componente fibrosa della canapa si possono sintetizzare nuovi materiali plastici, mescolandola con delle resine, con una resistenza allo sforzo comparabile a quella dei materiali lignei per costruzione, flessibili, idrorepellenti e resistenti ai raggi UV. Diverse case automobilistiche lanciano, già da tempo, segnali di interesse per farne dei componenti per auto.

La difficoltà di passare da filiere di produzione di tipo familiare a un livello più industriale e la sua stretta parentela con la cannabis sono state la cause prime della totale assenza di questo prodotto negli ultimi decenni, almeno in Italia, dopo i divieti del ‘57. Ma già dalla fine degli anni ’90 qualcosa si è mosso a favore di un suo reinserimento. Secondo il CRA (Consiglio per la Ricerca e Sperimentazione in Agricoltura) ci sono motivi per sperare in una posizione di leadership del nostro Paese per la produzione di canapa in Europa: non c’è la necessità di utilizzare additivi chimici (concimi, pesticidi) e grossi apporti idrici nella sua coltivazione; resiste  bene all’attacco dei patogeni, senza usare pesticidi e fitofarmaci. Le condizioni stabilite nel ’98 per regolarne la produzione – tenore di THC (uno dei principi attivi della cannabis) inferiore allo 0,2%, tra le altre – sembrano essere però un ostacolo, visti i rallentamenti dovuti ai maggiori controlli. “Il vero problema è la mancanza degli impianti di prima trasformazione e, attualmente, gli ettari coltivati sono meno di 200'' – così ha recentemente dichiarato il coordimento di Assocanapa.

Farne un’industria, in buona sostanza, andando certo oltre i facili entusiasmi di una eco-moda.  C’è chi ci prova, come CanaPuglia, una start up della regione più rinnovabile d’Italia.


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