L’Istituto Mario Negri di Bergamo
in collaborazione con l’ASL e con gli Ospedali Riuniti di Bergamo ha lanciato recentemente un progetto di screening per le malattie renali che vede i
medici di assistenza primaria quali protagonisti della ricerca.
Nei prossimi mesi, i medici
proporranno ai loro pazienti che sono a rischio per malattie renali, di
raccogliere un campione di urina in cui sarà misurata la quantità di albumina.
L’albuminuria (questo è il termine preciso) è un segnale molto sensibile della
presenza di un danno ai reni. Lo scopo di questa ricerca è presto detto.
La malattia renale cronica è un
rilevante problema di salute pubblica, anche se ancora in gran parte
sottovalutato. Le malattie che colpiscono i reni lo fanno spesso in modo
subdolo, senza dare grandi segni di sé. La conseguenza è che esse progrediscono
più o meno lentamente verso lo stadio finale, quello in cui si rende necessario
sostituire la funzione del rene con la dialisi o il trapianto. E’ frequente che una persona non sappia di avere
una malattia renale, e che se ne accorga quando ormai non si può più evitare la
dialisi. Eppure oggi abbiamo a disposizione cure efficaci che sono in grado, se
iniziate precocemente nel corso della malattia, di arrestare e anche far
regredire la malattia stessa. Parliamo soprattutto degli inibitori dell’enzima
di conversione dell’angiotensina, i cosiddetti ACE inibitori. Sono farmaci nati
per curare l’ipertensione arteriosa, ma ormai da tanti anni sappiamo che sono
anche in grado di proteggere il rene. Lo fanno anche riducendo la pressione
arteriosa (che è un fattore che deteriora la funzione renale), ma soprattutto
riducendo la perdita renale di proteine, in particolare di albumina
(albuminuria). Le ricerche hanno infatti dimostrato da anni che l’albuminuria
non è solo un indicatore che vi è un danno al rene, ma che essa funge da
amplificatore del danno: più è alta l’albuminuria più rapida è la perdita della
funzione del rene.
Oltre ai pazienti che hanno una
malattia renale cosiddetta primitiva, cioè che non dipende da altre condizioni
cliniche, c’è un numero ancora più vasto di persone che hanno una alterazione
della funzione renale causata da diabete e da ipertensione. Queste due condizioni possono ad un certo punto danneggiare il rene: quando
questo avviene non solo il pericolo di andare dialisi diventa molto concreto,
ma aumenta moltissimo anche il rischio di morire prima del previsto per infarto
o ictus cerebrale. Molti studi infatti hanno stabilito
che la malattia renale cronica è un fattore di rischio formidabile per malattie
dell’apparato cardiovascolare, e che intervenire su di essa è altrettanto
importante quanto correggere gli altri fattori di rischio tradizionali, come
colesterolo, fumo, obesità. Nel mondo ci sono almeno 2 milioni
di persone che devono ricorrere alla dialisi, perché la loro malattia renale
cronica è arrivata allo stadio detto terminale, e sono centinaia di
milioni quelle che hanno una malattia in
uno stadio più precoce. E’ il fenomeno dell’iceberg: la massa sommersa dei pazienti
con una malattia renale cronica nelle fasi iniziale o avanzata è enormemente
più vasta di quella emersa dei pazienti in fase terminale. Abbiamo dei dati
impressionanti che vengono dagli Stati Uniti. Per ogni paziente in dialisi ci
sono circa 200 pazienti che hanno una insufficienza renale moderata o grave, e
almeno 5000 che hanno una malattia renale in fase iniziale. Ebbene, tra quelli
con insufficienza renale moderata o grave la probabilità di arrivare allo
stadio finale è dello 0,2% per anno. La maggior parte muore per malattie del
cuore prima di arrivare allo stadio finale della malattia renale cronica.
E’ noto da tempo che i pazienti in
dialisi hanno un rischio di mortalità cardiovascolare da 20 a 30 volte maggiore
della popolazione generale. Oggi sappiano che anche quelli che hanno una
malattia renale in una fase più precoce sono esposti ad un rischio elevato (da
8 a 10 volte quello della popolazione) ad eventi come angina, infarto,
scompenso cardiaco, ictus, arteriopatia periferica.
Sebbene la preoccupazione maggiore di chi si occupa di
malattia renale cronica sia ovviamente la salvaguardia della salute dei
cittadini, non si può prescindere – oggi più che mai – dal fare anche
considerazioni di tipo economico. La dialisi e il trapianto sono terapie il cui
costo è estremamente elevato, in continua crescita, fuori dalla portata dei
paesi poveri, e forse ben presto insostenibile anche per gli altri paesi
inclusi i paesi ricchi. Individuare tempestivamente le persone malate, e
mettere in atto mezzi di prevenzione della perdita progressiva della funzione
renale, oltre che un dovere sanitario è anche un dovere – per così dire –
civico. Dunque viene naturale porsi il
problema di come individuare precocemente le persone che hanno un malattia
renale cronica, per poterle curare in tempo: il problema cioè di chi e come
sottoporre ad uno screening della
malattia renale.
Su questo argomento i ricercatori stanno dedicando notevoli energie. In sé è per sé i mezzi per individuare i pazienti affetti da malattia renale sono relativamente semplici: si fa un prelievo di sangue per misurare la creatinina, e/o si raccoglie un po’ di urina per misurare la perdita di albumina nelle urine (l’albuminuria). Con un esame o con l’altro (talvolta con entrambi) si è in grado di individuare la presenza di malattia renale, e di suggerire alla persona di andare a fondo del problema, Sia che si scelga un metodo o l’altro, ciò che i ricercatori stanno discutendo con passione è se debba sottoporre allo screening l’intera popolazione o solo dei soggetti che si ritengono a maggior rischio. I soggetti a maggior rischio sono i diabetici, e gli ipertesi, in primo luogo, ma anche le persone obese, e quelle che hanno qualche familiare che ha già una malattia renale. Un esempio di come si può condurre uno screening di massa è fornito dal progetto PREVEND (Prevention of Renal and Vascular Endstage Disease). Nel 1997 ricercatori dell’Università di Groningen, in Olanda, hanno invitato tutti gli abitanti della città (che conta circa 190 mila abitanti) di età compresa tra i 28 e i 75 anni (sani o malati che fossero) ad inviare per posta un campione di urine del mattino ai ricercatori, su cui questi avrebbero misurato l’albuminuria. Gli invitati erano 85 mila circa, hanno risposto quasi la metà, un grande successo. In questo gruppo sono stati individuati circa 10 mila persone che avevano una albuminuria maggiore di 10 mg/L, il valore stabilito come discriminante tra normale e patologico. Da quel momento, queste persone hanno costituito quella che i ricercatori hanno chiamato la coorte PREVEND, cioè una popolazione da seguire nel tempo per osservare l’evoluzione dello stato di salute tanto del rene che del cuore.
Recentemente il dottor Tonelli, nefrologo ed epidemiologo canadese, insieme a dei suoi colleghi ha studiato il problema dello screening della malattia renale dal punto di vista del rapporto costo (materiale) verso efficacia (di individuazione dei pazienti affetti da malattia renale). La conclusione dei ricercatori canadesi è che sottoporre tutti indiscriminatamente ad esami per scoprire se hanno una malattia renale non ha un rapporto costo/efficacia positivo, mentre lo screening di gruppi selezionati di persone come diabetici avrebbe lo stesso grado di “convenienza” che hanno altri tipi di screening che sono garantiti dalla sanità pubblica. Questa conclusione dei ricercatori canadesi è molto interessante ma non mette fine al dibattito. E alla ricerca.
Il progetto lanciato ora in provincia di Bergamo si pone l’obiettivo di fare chiarezza in questo campo. Saranno sottoposti allo screening per la malattia renale cronica soggetti in età matura (tra i 50 e i 70 anni), che hanno avuto un parente con malattie renali o cardiovascolari, o che possono essere a rischio perché obesi o fumatori o ipertesi. Il progetto nasce dalla collaborazione dell’Istituto Mario Negri, con l’ASL e con gli Ospedali Riuniti di Bergamo, sotto l’egida e con il contributo della Regione Lombardia che ha permesso le realizzazione di questo progetto. I protagonisti della ricerca saranno i medici di assistenza primaria del distretto di Bergamo, che consiglieranno di eseguire un dosaggio dell’albuminuria ai loro assistiti che rispondono ai requisiti per partecipare allo studio. Le urine saranno raccolte in centri organizzati dall’ASL, e inviate agli Ospedali Riuniti per il dosaggio. I risultati saranno da un lato comunicati ai medici perché provvedano ad informarne i pazienti, e a prendere le misure necessarie (lo screening è un segnale di attenzione: la natura del problema va poi chiarita con appropriate indagini), dall’altro ai ricercatori del Mario Negri per le elaborazioni statistiche.
Si tratta di un esempio di integrazione concreta tra diversi protagonisti della realtà sanitaria della Provincia di Bergamo, che può fungere da esempio per altre realtà o essere replicato nella stessa realtà per altri problemi di salute pubblica.