In una intervista del 1999 rilasciata alla rivista .eco, il chimico e ambientalista Enzo Tiezzi (1938-2010) affermava: “La conoscenza scientifica non può essere "fredda": occorre un uso combinato di ragione e passione, di intuito e di emozione, di logica e di sentire”. Come non sentirsi coinvolti da questo ragionamento specialmente adesso che la natura ci offre il meglio di sé? Anche i primi filosofi naturali che, trascurando altri oggetti di studio più “utili”, s’interessarono ai fiori e alla rugiada erano mossi, probabilmente, da passione ed emozione. Verso la fine del secolo XVII, quando la chimica stava per divenire una scienza moderna, l'interesse per i fiori si tradusse in esperimenti sistematici per cercare di carpire il segreto dei loro colori. Si ricordano quelli del fisico Nehemiah Grew (Coventry c.1628-Londra 1711) che iniziò a studiare l’anatomia vegetale nel 1664 e pubblicò un trattato sull’argomento in due parti (1672, 1682). Riferì esperimenti sui colori dei fiori, l’estrazione per infusione e l’effetto di diversi reagenti sugli stessi. Ne classificò anche i sapori e le cause. Ben presto ci si accorse che il colore degli infusi variava con l’acidità. Così, nel 1720, E.F. Geoffroy scoprì che l’infuso di rose si colorava in rosso con gli acidi e in verde con le basi e ciò spianò la strada all’uso degli infusi di fiori come indicatori acido-base. Un esempio illustre è quello fornito da Antoine Laurent Lavoisier (1743-1794) il quale negli esperimenti descritti negli Opuscules ricorse più volte allo sciroppo di violette come indicatore dell’acidità e, citando Priestley, ricorda che aveva utilizzato un germoglio di menta acquatica e delle rose rosse per studiare le proprietà dell’aria fissa (CO2). Oltre ai fiori, alcuni si occuparono anche della rugiada, per confrontarne le proprietà con la pioggia e l’acqua comune a scopo medicamentoso. Nel celebre trattato del farmacista Nicolas Lemery (1645-1715), pubblicato la prima volta nel 1675, con numerose riedizioni e versioni in varie lingue, italiano compreso, a proposito della rugiada si legge: “La pioggia, e ruggiada sono imbevute dello spirito dell’aria, che le rendono penetranti; per il che vediamo, ch’apportano maggior profitto alle piante ch’innaffiano, che non fa l’acqua comune. Sopr’il tutto la ruggiada contien molto di quello spirito universale, ch’è acido, per esser stato condensato dal fresco della notte, e precipitato coll’umidità sparsa per l’aria. La pioggia, e ruggiada sono aperitive, à causa di quegl’acidi volatili, che tirano dall’aria, e questi aperitivi sono tanto migliori quanti che sono innocenti e naturali…”
Il chimico e naturalista piemontese Caro Ludovico Morozzo
(Torino, 1743 – Collegno, 1804) fu tra i primi italiani a compiere una serie di
esperimenti sistematici anche sui fiori e sulla rugiada.
Cominciò con l'esaminare l'influenza della luce sulle
sostanze coloranti presenti nei fiori. Si sapeva già che la luce era necessaria
allo sviluppo delle piante, anche a quelle di alto fusto, ma per avere conferma
che il buio impediva ai fiori di assumere le loro tinte naturali, Morozzo fece
numerosi esperimenti. Prese delle viole rosse e, una volta in boccio, le
trasferì al buio. Vide che i petali diventavano giallognoli e che l'intera
pianta ne soffriva. Altre prove confermarono che la luce diretta era
indispensabile ai fiori. Passò poi a studiare l'effetto del gas solforoso (SO2). Vide che tutti i fiori azzurri o violacei
(giacinti, primavere, violette) scolorivano, mentre resistevano i fiori gialli
(viole, rose, narcisi, ginestre) e quelli color porpora. Notò anzi che
facendoli seccare in atmosfera di questo gas spesso mantenevano inalterata la
tinta vivace che possedevano al momento in cui erano stati recisi. Trovò anche
che i fiori rossi (rose, papaveri, tulipani, garofani ed altri) impallidivano
per l'azione del gas solforoso ma, esposti all'aria, riprendevano il colore
primitivo, con maggior intensità presso l'estremità dei petali. Le parti verdi,
poi, sbiadivano leggermente. Come molti chimici del tempo, Morozzo studiava
l'azione del fuoco sulle sostanze e così fece coi coloranti dei fiori. Chissà
perché, si convinse che resistessero
alla combustione e, supponendo di ritrovarli nelle ceneri, le fece fondere con
ingredienti vetrificabili con l’obiettivo di ottenere vetri colorati. Morozzo
fu attirato anche dal fenomeno della rugiada e volle studiare i gas che in essa
erano disciolti. Per raccoglierne a sufficienza, stendeva panni e spugne
sull'erba alta e poi, quando erano inzuppati, li spremeva e raccoglieva in
liquido in fiaschi di vetro. Morozzo non si occupò solo di fiori e rugiada ma
di questo, eventualmente, si parlerà un’altra volta.