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Il senso dell’autonomia al tempo dell’ISIS

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Il terrorismo internazionale entra prepotentemente nelle nostre abitudini e dichiara guerra ad alcune conquiste di comunità che determinano il senso stesso del nostro stare insieme. Una di queste acquisizioni consiste nello spazio di libera decisione e azione individuale.
Questo concetto di autonomia sembra richiedere un profondo aggiornamento alla luce degli ultimi eventi: è giusto che sia così? La messa a repentaglio della nostra sicurezza quali modifiche può/deve apportare alle nostre conquistate libertà? Quale spazio sociale è oggi compatibile con l'autonomia individuale?
Nessuna di queste domande era prevedibilmente sottointesa nell'organizzazione, partita molto mesi fa, di un Convegno svoltosi lo scorso 20 novembre a Roma nella sede centrale del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Piazzale Aldo Moro ); convegno organizzato dall'Istituto di Scienze e Tecnologie della Cognizione del CNR, con al centro il tema sull'autonomia dei bambini: il ruolo che questa autonomia può svolgere, le necessarie compatibilità urbanistiche e sociali.

E' sembrato un convegno del tutto controcorrente, completamente fuori focus rispetto alle indicazioni di sicurezza e alle politiche che vanno imponendosi dopo i vari attentati e stragi terroristiche degli ultimi mesi, via terra e via aria, in Europa e nel Medio Oriente; dopo la sostanziale e straordinaria chiusura preventiva per diversi giorni dei centri di alcune storiche capitali Europee. Dopo i continui allerta cui assistiamo nei luoghi di maggiore condivisione cittadina.
"La città dei bambini", con questo favolistico titolo si sviluppa da molti anni un progetto dell'ISTC-CNR che promuove le ragioni per reinterpretare le nostre città, ridefinendo il punto di vista progettuale dei nostri luoghi di aggregazione e integrando in esso la dimensione dell'infanzia e dei bambini come dimensione essenziale per uno sviluppo umanamente sostenibile.
Questo convegno di approfondimento dei temi dell'estensione dello spazio di azione e decisione autonome anche ai bambini è sembrato una specie d’improvvisa fuoriuscita dal nostro tempo, un’eclissi dal clima livido e cupo che ne caratterizza la cronaca giornaliera. E la presenza di amministratori di città europee che hanno testimoniato il loro rinnovamento urbanistico proprio ispirandosi esplicitamente al modello "città dei bambini" (una fra tutte Pontevedra in Spagna, ma anche la nuova Giunta di Madrid sta avviando processi riformatori in questa direzione; per non parlare di varie esperienze italiane e del Sud America) ha fornito una sorta di distacco dalla narrazione dell'emergenza, presentando agli spettatori, atterriti dalle cronache spaventevoli dell'attualità, un mondo realisticamente trasformato dal progetto di inclusione e partecipazione attiva dei più piccoli.
Si è trattato di restituire alla discussione pubblica il senso corretto per avanzare ragione e razionalità e dissolvere irrazionalità e paure pericolosamente fuorvianti.
A questo proposito mi pare opportuno indicare quale ruolo fondamentale le istituzioni di progresso del Paese, i centri di ricerca, formazione e sviluppo della conoscenza, possono e devono svolgere.
E in questa chiave vanno sottolineate alcune questioni che permettono di indirizzare una seria riflessione sull'autonomia, sul ruolo che essa può svolgere per la salute delle nostre società, per la loro "reale sicurezza" che non implica solo il riparo dal terrore, ovviamente tutt'altro che trascurabile, ma il compito che un'autonomia diffusa e compatibile può svolgere per mettere una società in condizione di sviluppare al meglio la propria potenziale identità senza stravolgerne i principi cardine.

Deve anzitutto essere chiaro come una riduzione di autonomia individuale significhi di fatto una compressione delle dirette e ampie esperienze che ciascuno può esercitare in prima persona; esperienze fondamentali per la naturale crescita cognitiva degli individui, comparativamente al mondo con cui essi si relazionano e con cui va stabilito il giusto equilibrio.
Questa ridotta capacità esperienziale non può che portare come conseguenza un’inibizione di capacità essenziali quali l'esplorazione, la scoperta, l'indagine: straordinari esercizi della nostra mente in azione. Scriveva De Chirico: "Siamo esploratori pronti per nuove partenze", sottolineando quale facoltà mentale è in grado di far viaggiare realmente le nostre società.
D'altra parte, soggetti privati di adeguato sviluppo cognitivo non possono che far ricadere questo decifit anche sulle loro capacità di relazionarsi con gli altri, offrendo come conseguenza un "loro stessi" più povero, meno creativo, meno esperto: in pratica una conseguenza significativa si avrebbe anche sulla intelligenza sociale/collettiva, risultato del capitale relazionale di una società.
Esercitare al meglio la propria autonomia significa invece ampliare i propri spazi mentali per farli corrispondere alle necessarie esigenze che ambienti mutevoli, inattesi, non noti, non abitudinari ci propongono di volta in volta.
Non si tratta solo di una questione di "problem solving" più efficiente; ossia di individuare soluzioni ottimali a problemi già cognitivamente noti. Né solo di sfruttare il vantaggio - pure notevole - tra quanto viene rappresentato/narrato da altri (i vari possibili mediatori) e quanto si può rilevare nell'esperienza diretta.
C'è una funzione cognitiva ancor più rilevante che l'autonomia ci offre: la possibilità di ricostruire le situazioni del mondo riconducendole a primitive da noi stessi scoperte e/o individuate; ed eventualmente anche di definire nuove regole e sintassi per quelle primitive.

E' un percorso mentale che rinnova continuamente la nostra rappresentazione e concezione del mondo e che permette alle società di evolvere. Ed è lo stesso percorso che offre una vista lunga e rilancia in una direzione di traguardo prospettico partecipato, in cui l'obiettivo di ciascuno si fonda nella contemporanea acquisizione collettiva.
Per questo non è accettabile l'idea di ridurre gli spazi di azione autonoma dei cittadini, relegare i loro movimenti negli anfratti di sicurezza predisposti all'uopo da condizionamenti estranei al naturale sviluppo dell'organismo sociale.
Sarebbe una concessione a chi intende sovvertire il senso positivamente evolutivo delle nostre organizzazioni sociali, essenzialmente basato sulla libertà dei propri componenti.
Significherebbe di fatto rigettare la parte più nobile del nostro fondamento sociale, quello basato sulla libera e autonoma determinazione dei singoli nel rispetto del ruolo e delle prerogative degli altri. In fondo sarebbe proprio quanto il terrorismo auspica di ottenere.
Il terrorismo che violenta i nostri corpi rischia di frantumare così anche il nucleo fondamentale del nostro essere comunità. Di fianco all'ovvia risposta di intelligence e di difesa armata che evidentemente non può essere trascurata, va affermato perciò il principio fondante dello stare insieme e l'idea di ripartire da un modello in cui persino l'autonomia dei più piccoli venga tenuta in conto e valorizzata: è questa la risposta più salutare e persino più sicura per difendere le nostre civiltà.


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