Il libro di Francesca Buoninconti, edito da Codice Edizioni, trasporta i lettori in un affascinante viaggio alla scoperta della comunicazione animale, un campo recente della biologia, ancora pieno di misteri da scoprire.
Elefanti africani -Photo by Bisakha Datta on Unsplash
Danze spettacolari e colorate, canti melodiosi, percussioni, suoni che viaggiano profondi a centinaia di chilometri di distanza per comunicare amorose intenzioni, effetti speciali fatti di colori cangianti e scintillanti, e ancora odori, tracce, luci… Il nuovo libro di Francesca Buoninconti, naturalista e giornalista scientifica, ci trascina in un lungo e appassionato viaggio nell’universo della comunicazione animale, in cui scopriamo che letteralmente ogni animale, dai minuscoli insetti alle gigantesche megattere, ha un ricco repertorio per comunicare. «L’idea del libro è nata sia perché la comunicazione animale è un tema che mi ha sempre incuriosito, sia perché mancava in Italia un testo su questo argomento che non fosse universitario» dice Buoninconti. Esperimento riuscito, dato che il libro è un compendio ricco di approfondimenti, e curiosità scientifiche, narrate con una prosa accattivante.
Parlando di comunicazione, probabilmente gli animali a cui viene più spontaneo pensare sono gli uccelli, i cui canti più o meno aggraziati ci fanno compagnia dalle campagne alle città. Alcuni, come gli storni e gli usignoli, hanno repertori vasti che possono ampliare nel corso della vita, specializzandosi in canti “più alla moda”. Altre specie sono dei maestri nell’imitazione, come gli uccelli lira, il cui canto si compone di strofe “plagiate” da altre specie. Senza andare troppo lontano anche le nostre ghiandaie si dilettano nell’imitazione di altre specie. Animali dotati di capacità musicali simili, anche se vivono in tutt’altro ambiente, sono i cetacei, canterini dei mari, in particolare le megattere, in cui i maschi si esibiscono in concerti composti da diversi canti, articolati in strofe, che durano anche 20 minuti. E a proposito di giganti, anche gli elefanti sfoggiano un ricco repertorio sonoro. E pensare che fino agli anni Ottanta si credeva che i pachidermi fossero in grado di produrre un unico verso, lo “strombazzante” barrito, mentre in realtà emettono una serie di articolati suoni bassi e infrasuoni: ruggiti, abbai, grugniti, e, soprattutto, dei borbottii, i rumble. Si tratta di infrasuoni estremamente bassi, intorno ai 12 Hz, che coprono distanze incredibili: nelle ore notturne, quando le alte temperature e l’umidità della savana offrono una tregua, possono essere uditi a 10 chilometri di distanza su un’area di 300 chilometri quadrati. Gli elefanti quindi comunicano con questi suoni nelle ore notturne, lo fanno per salutarsi, per corteggiarsi, per riunire il gruppo prima di intraprendere un viaggio alla ricerca di fonti d’acqua. Se già stupisce la capacità sonora degli elefanti, sicuramente è inaspettata la loquacità dei loricati, ovvero coccodrilli, alligatori e simili, che invece nella nostra immaginazione sono pressoché muti. «Si tratta di un falso mito che ci portiamo dietro fin da bambini, legato alla celebre canzone Il coccodrillo come fa? del Piccolo coro dell’Antoniano» dice Buoninconti. «In realtà sono dei gran chiacchieroni: il verso in inglese si chiama bellow, non c’è una traduzione in italiano, è una sorta di muggito in si bemolle che viene emesso nel periodo del corteggiamento, e fanno dei veri e propri cori, associati a delle danze a pelo d’acqua e in immersione».
E anche tante specie di uccelli si esibiscono in danze più o meno complesse. Gli amanti dei documentari si saranno probabilmente imbattuti nei corteggiamenti degli uccelli del paradiso, in cui esibiscono i colori sgargianti del loro piumaggio attraverso danze e movenze al nostro occhio eccentriche e persino buffe. Sicuramente meno conosciuto è il fatto che esistono ragni che fanno la stessa cosa: i ragni pavone, piccoli abitanti dell’Australia, che hanno addomi coloratissimi e iridescenti sfoggiati in danze di corteggiamento complesse. «I maschi dei ragni pavone si esibiscono in particolari danze in cui scuotono l’addome colorato. Si tratta di movenze caratteristiche di ogni specie, ma ci sono dei tratti in comune a tutto il genere cui appartengono, Maratus, dei passi che ci aiutano a ripercorrere la filogenesi, e questo succede anche negli uccelli» racconta Buoninconti. «Tutti gli anatidi, per esempio, fanno danze di corteggiamento che iniziano sempre con un inchino, poi il maschio schizza la femmina con dell’acqua e fa il preening, cioè alza l’ala e si pulisce il piumaggio con il becco. Queste coreografie condivise sono la traccia di un’evoluzione comune, che serve a veicolare messaggi ben precisi. Pulendo il piumaggio dietro l’ala il maschio mette in evidenza lo specchio alare e la femmina può valutarne i colori e scegliere il partner. La qualità del piumaggio indica infatti la fitness dell’individuo e la qualità della sua dieta, per esempio alcuni colori sono più sgargianti se la dieta è ricca di carotenoidi. La comunicazione animale è parsimoniosa, un segnale codificato e standardizzato che fornisce informazioni a un partner viene quindi conservato. Lo stesso succede nei Maratus: tutti questi ragni hanno una danza di corteggiamento in cui il maschio alza l’addome e usano tutti il terzo paio di zampe, che muovono per aria sventolandole».
E pensare che Aristotele considerava gli animali esseri non senzienti perché privi di “logos”, ovvero di parola e, quindi, di ragione. E in tempi più recenti, Cartesio li assimilava a oggetti meccanici, perché privi di linguaggio e quindi incapaci di sentimenti. E di anima, per Sant’Agostino. Perdendosi tra le pagine di Senti chi parla, ricche di esempi, la certezza antropocentrica di essere gli unici esseri senzienti, privilegiati detentori della capacità di provare sensazioni ed esprimerle, si sfalda inevitabilmente. «Gli animali hanno molto in comune con noi in fatto di comunicazione. Alcuni, ad esempio, hanno delle vere e proprie velleità artistiche, o ci sono specie che mentono con intenzione, e in molti casi c’è un processo intenzionale di apprendimento» racconta Buoninconti. «Gli uccelli hanno un parallelismo perfetto con la nostra specie. Appena nati, i pulcini sono silenziosi, se si escludono i richiami per i genitori, le cosiddette begging calls, essenzialmente sono in ascolto. In seguito iniziano a emettere qualche suono, e imparano a “cantare” attraverso prove e tentativi. Un altro esempio di trasmissione culturale è quello dei dialetti, anche gli animali hanno cioè variazioni regionali: vale per i segnali sonori, con esempi tra gli uccelli, i cetacei e anche gli ululati dl lupo, ma anche per quelli luminosi come per le lucciole».
L’etologia, lo studio del comportamento animale, è una disciplina relativamente giovane, risalente al secondo dopoguerra, premiata dal Nobel nel 1973, nelle figure di Konrad Lorenz, Nikolaas Timbergen e Karl von Frisch. In particolare a von Frisch si deve lo studio della comunicazione delle api e la loro danza a otto che indica alle compagne dove andare in cerca di cibo per il loro alveare. La consapevolezza che gli animali comunicano è giovane, ed è in continua evoluzione l’interpretazione dei loro segnali, un tempo relegati alla mera risposta agli stimoli di natura istintiva. «Il confine tra noi e gli altri animali si fa sempre più sottile. Il libro parte da Aristotele che sosteneva che gli uccelli cantano per allietare noi umani, ma poi nel corso della nostra storia abbiamo visto che non è proprio così. Ci siamo sempre creduti superiori e abbiamo misurato il mondo come lo misuriamo coi nostri sensi trascurando la possibilità per altri viventi di usarne altri. Tutto questo finché non è caduto il primo pregiudizio, cioè che a comunicare fossero solo gli uccelli perché più “evoluti” o i mammiferi “più vicini a noi”: quando si è scoperto il ricco repertorio comunicativo degli invertebrati, così diversi da noi e che sentono e vedono il mondo in modo in modi completamente distanti dai nostri» conclude Francesca Buoninconti.
Così polpi, seppie e calamari cambiano colori rapidissimamente per scambiarsi informazioni, o i pirosomidi, piccolissimi esserini gelatinosi che formano lo zooplancton, comunicano tra loro nelle immense colonie che formano attraverso giochi di luce emessi grazie alla bioluminescenza conferita da batteri simbionti. Se si è piccoli e numerosi serve muoversi in modo coordinato, sfruttando le correnti e orientando delle ciglia. E i lampi di luce blu-verde consentono questa coordinazione. Parlando di bioluminescenza non si può non citare quelle che noi volgarmente indichiamo come lucciole, che appartengono a un nutrito gruppo di coleotteri, i Lampiridi, accomunati dalla capacità di emettere segnali luminosi (bioluminescenza) ritmati, che servono a scambiarsi informazioni. Le specie nostrane emettono luce chiara, ma ci sono specie che si illuminano di blu, di verde o di giallo, e la comunicazione si basa sul numero di impulsi luminosi al secondo, che differisce da specie a specie, ma anche tra popolazioni. Un affascinante scintillio che avvolge di magia le serate estive, e che è minacciato un po’ ovunque da perdita di habitat, pesticidi, inquinamento luminoso, nonché dall’eccessiva presenza di turisti umani che ambiscono a portare a casa una foto o quanto meno un ricordo delle lucine sospese prodotte da questi intriganti insetti. In effetti anche in fatto di comunicazione animale la presenza umana si fa sentire, come un segnale di disturbo che limita la possibilità di scambio tra le altre specie. Così l’inquinamento acustico, sia sulla terra ferma che sotto i mari rende sempre più complicata la comunicazione per le specie animali che sono abituate ad affidare i messaggi alla propria voce. Le megattere decidono di non cantare più quando passano i traghetti, e si chiudono in un mutismo prolungato durante le prospezioni sismiche. Cantare in contesti rumorosi richiede un maggiore dispendio energetico, non gestibile da tutte le specie. Il rumore limita la possibilità di captare i messaggi e interpretarli. E, poiché c’è una componente culturale nel canto, l’inquinamento acustico ha un effetto sull’apprendimento e la trasmissione, con una conseguente diminuzione dei dialetti. Insomma, come commenta nel libro Francesca Buoninconti «potremmo dire in sostanza, che perdiamo pezzi del paesaggio sonoro. Ogni luogo ne ha uno: è la colonna sonora composta dai suoni prodotti da tutte le specie che abitano quell’ambiente, uomo compreso, e dai suoni e dai rumori ambientali. L’estinzione di una specie modifica questa colonna sonora». Un altro prezzo che paghiamo nell’Era da noi dominata: quello di cancellare un repertorio comunicativo prima ancora di averlo compreso.