Non molto tempo fa un collega mi chiedeva quali fossero, a
mio avviso, le scoperte più importanti dell’ultimo anno o due; in astrofisica
naturalmente.
La mia prima reazione è stata di dire che il lasso di tempo da
considerare – uno o due anni – era troppo breve per poter valutare scoperte (al
plurale!) importanti, sia perché di scoperte veramente tali non se ne fanno così
frequentemente, sia perché a volte sono necessari alcuni anni solo per capirne
appieno l’importanza e le implicazioni. È vero, continuiamo a leggere di nuove
stelle e galassie trovate in qualche angolo remoto del cosmo, di nuovi strumenti
e osservazioni che ci mostrano manifestazioni sconosciute o proprietà
inaspettate di qualche oggetto celeste ma queste non credo fossero l’oggetto
della domanda del mio collega.
Gli ho proposto di elencare insieme le scoperte importanti
degli ultimi dieci o vent’anni e valutarne l’impatto. Anziché fare l’elenco, per
non parlare poi di stabilire una graduatoria, ci siamo ritrovati invece a
discutere dei percorsi che nel passato hanno portato alle varie “scoperte”, al
loro ruolo nel condizionare le scelte di ricerca successive, alle condizioni
ambientali che le favorivano, al modo di procedere – organizzato o casuale –
del processo cognitivo. Ne è uscito un quadro vario e abbastanza complesso.
Le “scoperte” sono il sale della ricerca scientifica e sono
momenti chiave nella progressione della conoscenza. A volte sono l’inizio di un
percorso, altre volte lo concludono o ne determinano un cambiamento anche
radicale; possono essere il frutto di lunghe e caparbie ricerche, così come
possono essere gradevoli sorprese, eventi del tutto inaspettati. In alcuni casi
la consapevolezza dell’importanza della scoperta è immediata, in altri può
essere necessario molto tempo prima che tutte le sue implicazioni siano
apprezzate.
Tra le scoperte rilevanti avvenute per caso, dette anche
“serendipite” (v. “le Stelle” n. 111, pp. 14-15), possiamo annoverare l’emissione
radio dal centro della Galassia, la radiazione
cosmica di fondo (CMB), i Gamma Ray
Burst (GRB) trovati dai militari americani e tenuti segreti per diversi
anni. Tra quelle risultanti da anni di caparbie ricerche troviamo la conferma
sperimentale dell’esistenza del neutrino, poi del bosone di Higgs, la
risoluzione del fondo cosmico di radiazione X come sovrapposizione di sorgenti
discrete, il tasso di espansione dell’universo.
Anche la scoperta di cosa sia la materia oscura, quando avverrà, sarà
probabilmente il risultato di lunghe e caparbie ricerche. Ma potrebbe anche
avvenire per caso. In ogni modo sarà un sollievo.
La storia della scoperta di Sagittarius A
Karl Jansky era
un fisico che, all’inizio degli anni ’30
del secolo scorso, lavorava ai laboratori della Bell Telephone, in New Jersey.
Gli era stato assegnato il compito di studiare l’origine di fastidiosi disturbi
che interferivano con le radiotrasmissioni che andavano sempre più a affermandosi
come nuovo sistema di comunicazione.
Jansky costruì un sistema di ricevitori a dipoli orientabili e per mesi si mise
“in ascolto” studiando l’intensità e la direzione di provenienza dei “rumori”
radio. Oltre a sentire i disturbi prodotti dai fulmini associati a temporali
vicini e lontani registrò un segnale periodico che si ripeteva ogni 23h e 56m,
sincrono dunque con il giorno siderale, non con quello solare. Questo permise
di associarne l’origine al sistema delle stelle
fisse e successivamente a capire che aveva origine nel centro della
nostra galassia. Jansky aveva scoperto Sagittarius
A, la prima radiosorgente celeste. Quale impatto ebbe questa scoperta?
Quali conseguenze? Diede origine e impulso ad una “nuova” astronomia – la radioastronomia – che a sua volta
portò a molte altre scoperte, dalle quasar alle pulsar, alle radiogalassie che
emettono jet relativistici di particelle e, più recentemente ai lampi radio
veloci (v. “le Stelle” n. 141, pp. 8-9).
Anche la scoperta della radiazione cosmica di fondo (CMB)
avvenne per caso (e sempre in New Jersey!), in maniera molto simile. Arno Penzias e Robert Wilson, come Jansky, cercavano di eliminare ogni possibile
interferenza dal loro ricevitore, estremamente sensibile e dedicato alla ricezione
di segnali radio che venivano riflessi da satelliti sperimentali per le telecomunicazioni.
Non riuscivano però ad aver ragione di un segnale residuo, costante nel tempo e uguale in tutte le direzioni, che disturbava i loro
esperimenti. Anche loro, dopo ripetute osservazioni, capirono che l’origine del
segnale era astronomica, addirittura extragalattica. Avevano scoperto la
radiazione cosmica di fondo, proveniente direttamente dal Big Bang.
Anche in
questo caso la scoperta (fortuita, ma prevista da alcuni fisici tra cui Gamow, Dicke, Alpher e Herman)
aprì un filone estremamente proficuo
di cosmologia osservativa e contribuì al definitivo superamento del modello
dello Stato Stazionario a favore di quello del Big Bang. Una scoperta che
valeva un cambio di paradigma!
Per più di quarant’anni la CMB è stata studiata con sempre
maggior precisione (con i satelliti COBE, WMAP, Planck, e numerosi esperimenti
su pallone o da terra) rivelandosi una fonte unica e insostituibile di
informazioni fondamentali sulla nascita dell’universo.
Cosa favorisce il successo di una ricerca? Organizzazione o fantasia?
La scoperta del neutrino e del bosone di Higgs sono invece
il risultato di ricerche mirate, condotte per decenni con apparecchiature
estremamente costose e sempre più complesse. Sono stati necessari un reattore nucleare
nel primo caso e il più potente acceleratore di particelle sino a ora costruito
nel secondo. E se per LHC la scoperta del bosone di Higgs rappresenta la
conclusione di una lunga ricerca, il suo recente upgrade permetterà di raggiunge
energie di collisione inesplorate, probabilmente foriere di nuove scoperte e
dunque di un nuovo inizio. Anche per scoprire l’origine del fondo di radiazione
X (CXB) ci sono voluti decenni e
molta determinazione. La convinzione di Riccardo
Giacconi che il CXB fosse dovuto alla sovraimpressione di una moltitudine
di sorgenti discrete estremamente deboli ha giocato un ruolo determinante per
lo sviluppo dell’astronomia X. In particolare ha orientato verso lo sviluppo di
telescopi X e rivelatori di sempre maggior risoluzione angolare, che fossero
quindi in grado di rivelare l’esistenza e determinare le proprietà delle sorgenti discrete responsabili del fondo
di uso. Le splendide immagini che il telescopio
Chandra continuamente ci fornisce sono un risultato di questo sviluppo.
Qualche anno prima della messa in orbita del Telescopio
Spaziale Hubble (HST), su suggerimento dell’allora direttore dello Space
Telescope Science Institute, furono formati quattro gruppi di lavoro per
valutare l’opportunità di riservare una consistente frazione del tempo di
osservazione del telescopio per progetti particolarmente importanti, da
completare nei primi anni di vita dell’osservatorio, nel caso HST cessasse di
funzionare anticipatamente: i cosiddetti Key Projects. Facevo parte di uno dei
quattro gruppi di lavoro, quello presieduto da John Bahcall che era fortemente favorevole all’idea dei Key
Projects, convinto dell’importanza di “organizzare” la ricerca scientica per
ottimizzarne le probabilità di successo. Ma non tutti la pensavano come lui.
Un convinto oppositore dell’“organizzazione” della ricerca era, ad esempio, Donald Osterbrock – altro grande
astronomo – che riteneva invece che (troppa) organizzazione tarpasse le ali
alla fantasia e facilitasse solamente la ricerca “ortodossa” di grandi gruppi
consociati, a discapito di quella individuale e potenzialmente più innovativa.
Come è meglio che proceda la ricerca? Cosa ne favorisce il successo (di cui le
scoperte importanti sono uno degli indicatori)?
Con la saggezza di chi mette in due cesti separati le uova
da portare al mercato, vien da dire che è bene mantenere e garantire entrambi
gli approcci. Se ne perseguissimo uno solo, rinunceremmo alle potenzialità e
alle opportunità o erte dall’altro. Senza la Big Science, inevitabilmente organizzata,
non sarebbero possibili le grandi, costose e complesse strumentazioni
indispensabili per spingere oltre, con sforzi coordinati e congiunti, gli
estremi della conoscenza. Ricerca spaziale, acceleratori di particelle,
supercalcolo, mega-telescopi dal radio ai raggi gamma trascendono le possibilità
dei singoli o dei piccoli gruppi di ricerca.
Tuttavia, la Big Science penalizza
la cosiddetta “high risk – high yield research”, la ricerca cioè ad alto
rischio (di non trovare nulla) ma ad alto ritorno (se trova qualcosa) e più in
generale quanto esula dai filoni
canonici. Chi investe molto, solitamente vuole ragionevoli “garanzie” di
successo e ciò vale anche per la ricerca. Fortunatamente vi sono però ancora
molti spazi per contributi individuali (soprattutto teorici, ma non solo) ed
è importante che la grande strumentazione sia accessibile, su base
competitiva, pure ai piccoli gruppi di ricerca. Anche per favorire quelle
scoperte casuali, serendipite, che nate da un contesto fortuito spesso
determinano le successive scelte di ricerca e indirizzano lo sviluppo futuro
della Big Science. La scienza si ottimizza con la diversità: di approccio,
metodo, strumentazione, e garantendo la libertà di inseguire le proprie
curiosità.
Tratto da Le Stelle n° 146