Non si può dire che “era già tutto previsto” perché come è noto i terremoti non si possono ancora prevedere. Tuttavia era da tempo che i geologi della zona colpita in questi giorni dal sisma facevano notare che l'alto Ferrarese e parte del Modenese erano terre ballerine. Forse addirittura con un grado di rischio superiore di quanto formalizzato dalla Carta del rischio sismico, che nel 2002 ha inserito anche queste strane terre “padane” nel novero delle zone sismiche. Perchè “strane”? Perché contrariamente a quanto si pensava fino a fine degli anni Novanta, anche la Pianura Padana può in realtà essere interessata dai terremoti, poiché soprattutto sotto il'Emilia-Romagna vi è un vero e proprio “Appennino sepolto”, vale a dire una serie di pieghe che da tempo immemorabile si muovono, e una volta o l'altra avrebbero potuto scaricare la loro energia generando terremoti importanti, sopra il V grado della scala Richter, come in effetti è avvenuto nel 1570 a Ferrara e nel 1624 ad Argenta, e ora di nuovo in questi giorni.
La Regione Emilia-Romagna, come le sue Province e gran parte dei Comuni, si sono dotati di un proprio Servizio Geologico, e analogamente i loro strumenti urbanistici prevedono studi geologici per stabilire dove è meglio costruire. Ma è stato solo negli ultimi vent'anni che si è cominciato in Italia a prendere in più attenta considerazione il rischio sismico, grazie alle ricerche svolte dal CNR, dall'INGV, da centri universitari e altri studiosi, e anche lavoro di informazione svolto da vari professionisti, come i geologi della provincia di Ferrara (leggi qui gli atti del convegno che si è svolto nel 1993). Questo ha condotto all'adozione della nuova carta nazionale del rischio sismico.
Tutto bene, quindi. Ma fino a un certo punto. Come spiega il geologo di Italia Nostra Marco Bondesan, già docente dell'Università di Ferrara, “basare le previsioni e le politiche di prevenzione su puri dati statistici che difficilmente risalgono a oltre ottocento anni prima, non fornisce una informazione completa su ciò che potrà succedere. Forse si sarebbe dovuto valutare in modo più attento il grado di sismicità che le pieghe ferraresi – questo Appennino sepolto che di fatto abbiamo sotto i piedi – può comportare”. E' noto inoltre che la nuova Carta sismica nazionale, elaborata già a partire dal 1997 e adottata nel 2003, ha anche risentito di pressioni politiche dei vari sindaci che hanno fatto la spola con Roma per “togliere” il loro comune dalle zone a rischio per i costi che questo avrebbe potuto comportare.
Altro aspetto incredibile è l'edificazione di capannoni industriali che ora – come è successo anche oggi a Mirandola e a Cavezzo – vengono giù come castelli di carte, uccidendo gli operai che vi lavorano.
“Dovevamo sospettare che questa terra prima o poi avrebbe ripreso a ballare” continua Bondesan. “Certo non si poteva sapere quando questo sarebbe successo, e purtroppo la distanza di tempo tra un terremoto e l'altro non si misura con la scala dei tempi umani. Ma il puro criterio statistico che quantifica la probabilità del rischio in base a quanto è successo in un passato relativamente recente non è del tutto soddisfacente. E' come se io valutassi la pericolosità del tracciato di una strada solo in base a quanti incidenti ci sono stati nei vari tratti. Ma se una strada ha una curva assai pericolosa, anche se fino ad oggi gli incidenti sono stati altrove, quella curva io la devo segnalare lo stesso, perché posso ragionevolmente prevedere che prima o poi lì un incidente succederà”.
Non si capisce, del resto, perché comuni di Ferrara e di Ravenna, come quelli colpiti dalle scosse di questi giorni, siano classificate come meno rischiose della zona di Argenta. “Un cosa è ormai certa” spiega Bondesan: “la Pianura Padana non è una zona asismica, come per la più gran parte risultava dalla carta del rischio fino alla fine degli anni Novanta. Di 'asismico' in Italia ci sono solo la Sardegna e una parte della Puglia che poggiano su 'zattere' rigide, che si muovono molto pigramente”.
La situazione di queste zone più colpite dal terremoto è poi complicata dal fatto della cosiddetta “liquefazione delle sabbie” (vedi documento). “Il territorio di Ferrara è composto in prevalenza da argille, limi e sabbie. Qui non ci sono ghiaie, come a Bologna o a Milano, il Po e gli altri fiumi non ne portano. Ed è noto che le sabbie, quando si imbevono d'acqua per via delle falde quasi affioranti, sotto la pressione di un sisma si 'liquefano', appunto. L'acqua, cioè si separa dalla sabbia e viene alla superficie, trascinando limo e sabbia, producendo una destrutturazione del terreno e danneggiando gravemente gli edifici che vi sono costruiti sopra. Non è un caso che le aree più flagellate dal terremoto come San Carlo, Sant'Agostino e Mirabello poggino su una fascia di terreno sabbioso, depositato in oltre trecento anni dal Reno che passava di lì tra la fine del Quattrocento e il 1775.
Ad un terremoto reagiscono meglio l'argilla, o la ghiaia, dove la liquefazione non può avvenire. “Succede esattamente come al bambino che in spiaggia dà un calcio a un secchiello pieno di sabbia imbevuta d'acqua” conclude Bondesan: “l'acqua viene in superficie”. E' quello che sta succedendo in queste ore di angoscia fra Modena e Ferrara. Il bambino ha dato un gran calcio al secchiello della pianura.
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La mappa del rischio sismico.
Il parere di Claudio Chiarabba dell'INGV.