fbpx Sogni da “Recovery Fund” | Scienza in rete

Sogni da “Recovery Fund”

Primary tabs

Tempo di lettura: 8 mins

Diversi documenti della Unione Europea sollecitano i governi a considerare come dalla crisi economica e sociale dovuta alla pandemia si possa uscire anche sfruttando le “opportunità” che la crisi ci ha fornito. Questo lo spirito del “Recovery Fund”, in gran parte “prestiti” da restituire con il supplemento della piccola “donazione”. L’utilizzo dei fondi implica cambiamenti sostanziali e una capacità di innovazione e di ritorno in termini di investimenti e di rilancio della economia; in caso contrario, si tratta di un nuovo debito che lasciamo ai giovani e alle generazioni future. Una sfida non facile, dunque, perché ci si attende progetti intervento, che cambiano la realtà, creano occupazione, richiamano investimenti, sono sostenibili (come l’European Green Deal prevede), non progetti di sola ricerca.

Con la promessa del denaro è partita la elaborazione di centinaia di progetti che si contendono l’accesso ai fondi. La realtà, purtroppo, è quella descritta da Tito Boeri qualche giorno fa a Piazza Pulita “Credo ci sia stato un errore nella gestione delle linee guida per il Recovery Fund: il governo ha perso un sacco di tempo e ha disegnato il tutto come un concorso tra le diverse amministrazioni, spingendole a fare progetti il più possibile immaginifici. È stata una gara a chi la sparava più grossa”. Improvvisazioni e assalti alla diligenza, quindi, con pesanti conseguenze sulla reale possibilità di accedere ai finanziamenti in un contesto dell’Unione Europea in cui tutte le operazioni concernenti il “Recovery Fund” saranno sorvegliate senza indulgenza dai governi dei paesi inizialmente ostili all’iniziativa. Il sistema complesso e articolato che in Italia si occupa da anni di ambiente e salute, sia nelle sedi istituzionali di ambito sanitario e ambientale sia nel mondo della ricerca scientifica ed epidemiologica, ha visto con sorpresa e una certa diffidenza i titoli altisonanti di progetti da “un miliardo e mezzo”.

E allora vediamo quali sono i pilastri di possibili progetti da Recovery Fund secondo la logica dell’European Green Deal.

Quali problemi ambientali

Le esposizioni ambientali che costituiscono un danno rilevante per la salute in Italia ed in Europa sono ben note. Centinaia di ricerche scientifiche e rapporti istituzionali, ivi compresi i rapporti della European Environmental Agency (EEA, 2020), testimoniano l’importanza dei fattori ambientali sulla salute in Europa. L'inquinamento dell'aria, in particolare per l’uso di combustibili fossili, è il principale fattore ambientale responsabile di un numero elevato di decessi e di malati ogni anno nella UE. Il rumore è il secondo più importante fattore ambientale responsabile di una quota parte della cardiopatia ischemica. Gli impatti del cambiamento climatico sulla salute sono complessi: immediati, come gli eventi meteorologici estremi (ondate di calore, estremi di freddo e inondazioni) e di lungo periodo come la diffusione di malattie da vettori, di origine idrica e alimentare. I cambiamenti climatici rappresentano una minaccia per le infrastrutture, il cibo, la biodiversità e di conseguenza la produttività agricola. Sono tutti fattori di rischio ben noti in Italia, con le particolarità nazionali relative a specifiche aree del Paese (per esempio la Pianura Padana), i siti contaminati, gli impianti industriali, le situazioni urbane particolarmente compromesse. Proprio l’organizzazione delle città e dei luoghi di vita è un fattore di rischio molteplice a causa di modalità di trasporto inquinanti, rumorose, che non favoriscono la attività fisica, che si accompagna al mancato sviluppo di aree verdi.

Un settore di particolare importanza per l’intervento è quello della agricoltura e degli allevamenti per il loro contributo al riscaldamento globale e all’inquinamento, per l’uso di pesticidi con conseguente impatto negativo sugli insetti impollinatori e sulla biodiversità, per l’aumento della antibiotico-resistenza a causa dell’uso massivo di antibiotici nella sanità animale. Connesso all’agricoltura è il tema della produzione di cibo che contribuisce in modo importante al sovraccarico planetario. L’allevamento di animali ha proporzioni gigantesche: una quota molto importante della superficie terrestre è oggi usata per l’allevamento. Il consumo eccessivo di carne ha un impatto negativo sulla salute, e la produzione ha un forte impatto ambientale dal momento che fino al 25% dei gas serra è dovuto alla produzione del cibo nelle sue diverse componenti (leggi qui).

La UE pone una attenzione particolare alla produzione di cibo con il programma strategico Farm-to-Fork (2020). La premessa è che gli alimenti europei sono riconosciuti come sicuri, nutrienti e di alta qualità e potrebbero diventare lo standard globale per la sostenibilità. La sfida della sostenibilità è grande per nutrire la popolazione mondiale in rapida crescita, disporre di sistemi alimentari sicuri mantenendo la vitalità economica, il benessere sociale e la salute umana.

Molte delle attuali pratiche di produzione e dei modelli di consumo continuano a provocare l'inquinamento dell'aria, dell'acqua e del suolo, contribuiscono alla perdita di biodiversità e al cambiamento climatico, mettono in discussione il benessere degli animali e consumano quantità eccessive di risorse naturali, tra cui acqua ed energia, mentre una parte importante del cibo viene sprecata. Allo stesso tempo, cibo spazzatura contribuisce all'obesità e ad altre malattie non trasmissibili legate alla nutrizione.

Interventi prioritari e co-benefici

A fronte di tali nozioni in gran parte note, quali sono le innovazioni, quali i settori di intervento prioritario? La risposta è semplice e tremendamente complessa al tempo stesso. Occorre una decisa svolta verso l’economia verde (il Green New Deal) con un forte impegno politico dall’alto (top-down) e partecipazione dal basso (bottom-up) (Vineis et al, 2020) e una politica fondata sul concetto di “co-benefici” (Jennings et al, 2019): riduzione dei consumi di carne, riduzione radicale dei combustibili fossili, cambiamento strutturale del trasporto e della organizzazione urbana verso il trasporto attivo (piedi e bicicletta). Sono tutte azioni che contribuiscono a mitigare il cambiamento climatico e a prevenire le malattie croniche. Sono anche le opportunità che la pandemia (e il Recovery Fund) ci offre e che occorre saper cogliere con uno sforzo di integrazione delle competenze e professionalità nel nostro Paese, senza improvvisazioni.

Vediamo l’ esempio dei trasporti. Il tema del trasporto costituisce un tema rilevante per la UE attualmente impegnata ad affrontare il cambiamento climatico e a migliorare la sostenibilità in questo settore. La UE ha introdotto limiti di emissione di CO2 per i veicoli stradali e obiettivi per le infrastrutture di rifornimento alternativo e per l'approvvigionamento di veicoli puliti, sostiene l'elettrificazione dei trasporti e lo sviluppo di carburanti alternativi, cercando al contempo di migliorare la sostenibilità del trasporto aereo e marittimo e sostenendo un maggiore utilizzo delle ferrovie e delle vie navigabili interne. L'UE sostiene da tempo anche la trasformazione della mobilità urbana e gli sforzi per sfruttare la digitalizzazione e l'automazione, in modo da muoversi verso un ambiente urbano più sostenibile e vivibile.

L'imposizione del lockdown ha visto drastiche riduzioni del traffico in tutte le modalità, soprattutto nel trasporto passeggeri. Le emissioni dei trasporti sono diminuite sensibilmente con la riduzione delle attività, anche se sono aumentate non appena sono cessate le restrizioni. La pandemia ha sollevato in modo chiaro l’urgenza di ripensare l'organizzazione dei trasporti, la mobilità urbana e la sfida della congestione e l'affollamento. L'uso dei trasporti pubblici è stato ridotto da quando sono state abolite le restrizioni, poiché le persone giustamente temono di essere esposte al contagio. Tuttavia, la domanda di trasporto è cambiata a causa del lavoro agile da casa.

Molte città hanno incoraggiato l'uso della bicicletta e l'ampliamento delle piste ciclabili e delle zone libere da veicoli, ma con timidezza e senza svolte radicali. La pandemia ha tuttavia suscitato un ampio dibattito sul destino del trasporto, sulla possibilità di co-benefici di salute aumentando l’attività fisica, su come si possano progettare nuovi veicoli “sostenibili” e la mobilità come servizio, in modo da proteggere la salute delle persone e aumentare la fiducia nel trasporto pubblico. Insomma, il tema di una città diversa, con una migliore pianificazione del territorio, del verde pubblico e del suo uso, e dei trasporti (da privato motorizzato a pubblico ed attivo) può portare a città neutre dal punto di vista delle emissioni di gas serra, più vivibili e più sane (Nieuwenhuijsen, 2020).

Ambiente e salute nella situazione italiana

La possibilità che le strutture impegnate nella tutela e nella promozione della salute pubblica e dell’ambiente siano realmente in grado di “interferire” con l’elaborazione di politiche non sanitarie è ovviamente non molto elevata. Valgono come esempio le difficoltà nella realizzazione del programma di accordo intersettoriale tra diversi ministeri del 2007 “Guadagnare Salute”. Tante sono le cose da fare oggi. Vi è la necessità di individuare gli snodi decisionali, di definire scenari di ricaduta delle diverse opzioni politiche in termini di impatti economici e sanitari, investire in infrastrutture tecnologiche in grado di far dialogare i sistemi informativi sanitari e ambientali, investire in formazione e aggiornamento degli operatori, creare canali di comunicazioni reali, stabili e non occasionali con i settori dello sviluppo economico, del trasporto, dell’urbanistica, dell’agricoltura e dell’economia. Occorre, cioè, creare la concreta possibilità che le evidenze scientifiche acquisite in materia di integrazione ambiente e salute vengano tradotte in scelte consapevoli nella formulazione delle politiche e dei piani. Ma l’occasione, l’”opportunità”, non può essere persa.

Indispensabile è in ogni caso garantire una integrazione strutturale e funzionale del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) con il Sistema Nazionale della Protezione Ambiente (SNPA). Due sistemi che da tempo cercano a fatica il confronto e il lavoro comune, ma a cui manca un quadro di riferimento istituzionale. Ben due progetti del Ministero della Salute, EpiAmbnet prima e RIAS poi, hanno posto le basi per il lavoro comune, la standardizzazione delle funzioni, gli indicatori e le basi dati nazionali e locali, la formazione degli operatori specie del SSN. Il Ministero della Salute aveva anche promosso una Task Force Ambiente e Salute. Tutto lavoro che può essere ora valorizzato: staremo a vedere.

Abbiamo parlato solo di progetti da “Recovery Fund”, è vero. I progetti sulla riforma della sanità con gli altri soldi, quelli del Mes, li rimandiamo ad altra puntata. Ma siamo pronti: Zingaretti, 22 settembre “Ora Speranza presenti il suo Piano per una nuova sanità e finanziamolo con il Mes”. Insomma, in Italia molte iniziative sembrano spesso slegate tra loro e improvvisate, senza costruire sull’esistente. Speriamo che il Recovery Fund e il Mes siano l’occasione per dare finalmente seguito e mettere in atto strategie e interventi sostenuti da quello che già sappiamo e non diventino l'occasione per peggiorare ulteriormente.


Bibliografia
European Environment Agency. Healthy environment, healthy lives: how the environment influences health and well-being in Europe. EEA report 21. 2019.
Farm-to Fork, 2020.
Jennings N, Fetch D, De Matteis S. Co-benefits of climate change mitigation in the UK: What issues are the UK public concerned about and how can action on climate change help to address them? Grantham Institute Briefing paper No 31 March 2019. https://www.imperial.ac.uk/media/imperial-college/grantham-institute/pub...
Nieuwenhuijsen M. Urban and transport planning pathways to carbon neutral, liveable and healthy cities; A review of the current evidence. Env Int 2020
Vineis P, Carra L, Cingolani R. Prevenire. Einaudi Editore, 2020.

 

Articoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Di latticini, biotecnologie e latte sintetico

La produzione di formaggio è tradizionalmente legata all’allevamento bovino, ma l’uso di batteri geneticamente modificati per produrre caglio ha ridotto in modo significativo la necessità di sacrificare vitelli. Le mucche, però, devono comunque essere ingravidate per la produzione di latte, con conseguente nascita dei vitelli: come si può ovviare? Una risposta è il latte "sintetico" (non propriamente coltivato), che, al di là dei vantaggi etici, ha anche un minor costo ambientale.

Per fare il formaggio ci vuole il latte (e il caglio). Per fare sia il latte che il caglio servono le vacche (e i vitelli). Cioè ci vuole una vitella di razza lattifera, allevata fino a raggiungere l’età riproduttiva, inseminata artificialmente appena possibile con il seme di un toro selezionato e successivamente “forzata”, cioè con periodi brevissimi tra una gravidanza e la successiva e tra una lattazione e l’altra, in modo da produrre più latte possibile per il maggior tempo possibile nell’arco dell’anno.