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Sonificazione: una sinfonia di molecole

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In uno studio pubblicato sull’archivio di preprint ChemRxiv, i ricercatori dell’università del Michigan e del Tennessee hanno tradotto in musica la struttura delle molecole organiche attraverso un metodo già noto da alcuni decenni, chiamato sonificazione, ottenendo una libreria di suoni. 

Crediti immagine: Terry Vlisidis/Unsplash

Tempo di lettura: 5 mins

Immaginate una molecola. È molto probabile che la prima cosa che vi venga in mente sia la rappresentazione classica della formula di struttura: linee e lettere disposte nello spazio con degli angoli stabiliti, una doppia linea a indicare il legame doppio, tre per il legame triplo, forse qualcuno più esperto immaginerà coni pieni o tratteggiati per stabilire la conformazione tridimensionale. È invece piuttosto improbabile che nel pensare a una molecola ci si figuri invece delle note, se non addirittura una melodia intera.

Eppure, ricercatori dell’università del Michigan e del Tennessee hanno pensato proprio a come poter tradurre in musica la struttura delle molecole organiche attraverso un metodo già noto da alcuni decenni, chiamato sonificazione. Il loro studio, pubblicato sull’archivio di preprint ChemRxiv, presenta una serie di molecole biologiche e piccole molecole organiche archiviate sotto forma di melodia tramite un lavoro di programmazione che si basa sul metodo SELFIES.

La sonificazione

Il metodo della sonificazione non è un’invenzione recente. I primi tentativi risalgono, infatti, agli anni 50 del Novecento con Pollack e Ficks, che per primi hanno cercato di investigare in modo quantitativo lo stimolo uditivo. Il loro lavoro ancora non intendeva avere applicazioni pratiche, ma voleva in qualche modo creare una mappatura di dati ordinari basata su parametri di suono, come ad esempio frequenza e intensità del tono o l’intensità del rumore.

Durante gli anni 60 e 70, ci sono stati altri studi teorici sulla possibilità di trasformare dati in suoni e soprattutto con lo sviluppo dei computer e quindi dell’immagazzinamento di grandi quantità di dati, la tecnica della sonificazione sembrava aver acquistato una certa appetibilità. In tal senso, uno dei primi tentativi veri e propri fu condotto da Morrison e Lunney, che elaborarono un metodo per rappresentare dati analitici ottenuti tramite spettri infrarossi in suoni. In una delle loro rappresentazioni, il passo di un tono è proporzionale alla posizione del picco della frequenza dell'infrarosso che rappresenta. Questi picchi vengono prima riprodotti in sequenza secondo un ordine di altezza decrescente, con durate delle note proporzionali all’ intensità del picco infrarosso rappresentato, producendo un arpeggio che man mano scende di intensità. Quindi gli stessi dati vengono riprodotti in sequenza in ordine decrescente di intensità di picco a parità di durata delle note. Infine, un accordo (di solito molto dissonante) si forma suonando tutte le note con picchi con uguale intensità. Morrison e Lunney trovarono informalmente che corrispondenze identiche provenivano da una serie di spettri prodotti da circa dodici composti organici.

Con il progredire della tecnologia informatica, sempre maggiori tentativi sono stati portati avanti per convertire dati in suoni e con la quantità di dati che è ormai diventata sempre più grande, questa tecnica può rivelarsi davvero molto utile. Il principale vantaggio della sonificazione consiste infatti nella facilità con cui può essere interpretata la musica tanto dall’essere umano quanto dalle intelligenze artificiali. In presenza di un gran numero di dati, risulta difficile per l’operatore umano riuscire a identificare pattern, differenze o similitudini, mentre la messa a punto di algoritmi che li analizzino richiede spesso grandi capacità di calcolo. Programmi basati sull’elaborazione musicale, invece, sono spesso di più semplice utilizzo e richiedono capacità di calcolo inferiore.

Per esempio, si è rivelato molto utile nell’ambito dello studio del genoma umano: si tratta, infatti, di una grandissima quantità di dati relativi alle varie basi azotate e al modo in cui sono disposte per formare i geni. Non sorprende, quindi, che la sonificazione del DNA sia proprio una delle più diffuse. Nel 2018 la ricercatrice Maria Mannone ha pubblicato un'interessante trattazione matematica su come trasformare in musica il DNA in cui è presente anche il vero e proprio spartito prodotto attraverso questa tecnica. Insomma, è possibile “suonare” il DNA nel vero senso della parola.

Anche SARS-CoV-2 non è passato immune e nel 2020 ricercatori del MIT hanno trasformato in musica la proteina spike del virus; in questo modo è più facile per gli scienziati individuare possibili siti in cui eventuali farmaci o anticorpi possono legarsi, semplicemente cercando sequenze musicali specifiche che corrispondono a questi siti. Questo, affermano i ricercatori, è più veloce e intuitivo rispetto ai metodi convenzionali utilizzati per studiare le proteine, inoltre, confrontando la sequenza musicale della proteina spike con un ampio database di altre proteine sonificate, un giorno potrebbe essere possibile trovarne una che possa attaccarsi allo spike, impedendo al virus di infettare una cellula.

Database musicali di molecole organiche

Nonostante la sonificazione sia un metodo usato in moltissime branche della scienza, dalla biologia alla vulcanologia, non era ancora stata utilizzata nell’ambito della chimica combinatoria e computazionale, alla base della ricerca di nuovi farmaci. Il primissimo passo nella ricerca farmaceutica parte, infatti, dalle librerie composte da decine o centinaia di molecole organiche note. Queste vengono classificate partendo dalla loro formula di struttura tramite algoritmi di programmazione diversi, come per esempio il SELFIES.

I ricercatori che hanno proposto lo studio con cui questo articolo si è aperto, hanno utilizzato il metodo SELFIES per trasformare molecole organiche in melodie musicali ottenendo in questo modo una libreria di suoni. Molecole molto semplici possono essere combinate fra loro ottenendo molecole più complesse in cui è possibile riconoscere le note di ciascun gruppo costituente semplicemente ascoltando (è persino possibile ascoltarne alcune sul loro canale YouTube). 

In questo modo si riesce a massimizzare l’interazione fra l’operatore umano e il database, raggruppando più facilmente le molecole in gruppi e sottogruppi. Inoltre, rende più facile l’identificazione di molecole potenzialmente utili a fine farmaceutico in base a quanto la loro melodia somigli al sito di interesse biologico, come per esempio una proteina. Un altro aspetto interessante, secondo gli autori, è rappresentato dalla possibilità di riuscire a creare nuove molecole, bypassando i tradizionali metodi della chimica combinatoria, manipolando invece la musica tramite una intelligenza artificiale di più semplice programmazione. Così facendo è possibile, aggiungendo o cambiando delle note, sintetizzare molecole partendo da altre già esistenti o, addirittura, “suonarne” di completamente nuove attraverso una performance musicale. Una prospettiva sicuramente interessante e che apre non solo a una diversa concezione della chimica farmaceutica, ma anche a una possibile sinergia fra scienza e arte.

 


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