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Una speranza in più per la giornata mondiale dell’AIDS

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Un'infermiera sottopone un neonato al test HIV durante l'Early Infant Treatment Study, Botswana. Credit: Infant treatment study team/Botswana-Harvard AIDS Institute Partnership, CC BY-SA

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Nell’imminenza del 1 dicembre (giornata mondiale dell’AIDS) un articolo pubblicato sull’importante rivista Science Translational Medicine (figlia minore di Science) accende un’altra fiammella di speranza di poter scalfire la roccia apparentemente impenetrabile del serbatoio di cellule infettate da virus infettivo (replication-competent) insensibile alla terapia antiretrovirale di combinazione (cART) in quanto il virus è integrato nel genoma cellulare sotto forma di provirus, il cosiddetto reservoir.

Lo studio, coordinato da Mathias Lichterfeld del Ragon Institute di Boston, suggerisce che, almeno nei neonati infettati, una precoce cART potrebbe ridurre consistentemente il reservoir di cellule portatrici di virus infettante. L’infezione da HIV nei neonati e nei bambini ha caratteristiche in parte diverse rispetto a quella dell’adulto (peraltro molto simili a quelle del modello sperimentale d’infezione di macachi con il SIV, il simian immunodeficiency virus) soprattutto perché non ancora dotati di un sistema immunitario completamente maturo. La novità di questo studio è stato focalizzarsi su un trattamento molto precoce, entro poche ore dal parto. La potenziale importanza di questo approccio era stata sottolineata, qualche anno fa, dalla “Mississippi Baby” che, trattata appunto con la cART al momento del parto, pur essendosi infettata aveva poi controllato spontaneamente l’infezione per diversi anni in assenza di trattamento farmacologico (si legga HIV: il "paziente di Berlino", forse, non è più solo). Il presente studio è stato condotto in Botswana dove una coorte di neonati infettati con HIV-1 è stata seguita per 2 anni dalla nascita ed ha confrontato 9 neonati trattati entro poche ore dalla nascita rispetto a 10 neonati che hanno ricevuto la terapia in tempi diversi durante il primo anno di vita. I potenziali aspetti positivi del trattamento immediato sono multipli, sostengono gli autori, quali una normalizzazione rapida di parametri immunologici sia dell’immunità innata che di quella adattiva (linfociti T in particolare). Ma il dato più importante che emerge dallo studio è la riduzione consistente del “reservoir” sopra definito nei neonati trattati immediatamente dopo il parto.

L’importanza di questo studio, pur limitato nella casistica e focalizzato su una popolazione molto particolare, quali i neonati, consiste nel dimostrare che la roccia del reservoir non è così inattaccabile dai farmaci antiretrovirali come ritenuto finora e potrà servire quindi come esempio per simili approcci in popolazioni adulte a rischio d’infezione con HIV, un virus che non ha mai abbandonato la nostra società nonostante se ne parli, almeno in Italia, quasi solamente in occasione del 1 dicembre.

 

Fonte
Pilar Garcia-Broncano et al. Early antiretroviral therapy in neonates with HIV-1 infection restricts viral reservoir size and induces a distinct innate immune profile. Science Translational Medicine  27 Nov 2019: Vol. 11, Issue 520, eaax7350. DOI: 10.1126/scitranslmed.aax7350 (Link). 

 


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