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Splendori e miserie del petrolchimico della Basilicata

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La chiamano il Texas d’Italia. Eppure non ha nulla da condividere con i paesaggi sconfinati del Nord America. La Basilicata è una terra dall’orografia tormentata che alterna montagne coperte di boschi a lande desolate e aride. È in questo paesaggio aspro e antico che Mel Gibson decise di girare la sua Passione di Cristo, ambientata tra Matera e l’abitato abbandonato di Craco vecchia.

Una regione dalla quale i giovani scappano per mancanza di prospettive, povera e spesso dimenticata, nonostante nel suo sottosuolo si celino importanti giacimenti di idrocarburi che, in alcuni luoghi come Tramutola, affiorano naturalmente in superficie. 

Secondo il Ministero dello Sviluppo Economico, nel 2015 in Italia sono stati estratti 5.455 mila tonnellate di olio greggio e 6.877 mila sm3 (standard metri cubi) di gas naturale. Delle 16 concessioni estrattive di petrolio e le 122 di gas, rispettivamente solo 2 e 7 sono in Basilicata. Tuttavia, nello stesso anno in regione sono state estratte 3.767 mila tonnellate di petrolio e 1.526 mila sm3 di gas, pari al 69% e al 22,2% della produzione italiana, quasi tutti nella sola Val d'Agri.

È nei primi decenni del secolo scorso che ha inizio la corsa all’oro nero della Basilicata con l'insediamento di alcuni pozzi nell'alto corso dell'Agri. Una corsa che non ha mai portato il sospirato sviluppo economico: come fecero i coloni europei con Hasinai e Cheerokee, i residenti furono sedotti dalla promessa di prosperità, mentre le compagnie petrolifere allungavano le mani su un territorio dall'importante valore ambientale e agricolo, snaturandolo.

Dopo la Val d’Agri fu la volta della bassa Val Basento, dove fu scoperto un importante giacimento di gas e, in misura minore, di petrolio. Nel 1958, assieme alla messa in esercizio delle estrazioni, Eni costruì in provincia di Matera uno dei maggiori poli petrolchimici del panorama nazionale. Per alcuni decenni l'industria degli idrocarburi si tradusse realmente in lavoro, ma il rapido esaurimento del giacimento e la crisi generale del settore portarono al progressivo smantellamento del polo. 

I posti di lavoro sparirono mentre il danno ambientale rimase, sotto forma di un’lampia fascia di inquinamento che permane tuttora nei 25 kilometri che separano Ferrandina da Pisticci. La zona è stata inserita nel 2002 tra le aree gravemente inquinate soggette a bonifica ambientale (Sito di Interesse Nazionale “Tito e Val Basento”). Qui, la lista dei cosiddetti terreni “No food”, nei quali è vietata l’attività agroalimentare, si allunga di anno in anno.

Negli anni '80 la ricerca di idrocarburi si sposta altrove e compaiono numerosi pozzi esplorativi che punteggiano la regione: ad oggi, su circa il 70% del territorio ricadono richieste di concessioni di ricerca. Nell’alto corso del torrente Sauro, presso l’abitato di Corleto Perticara, viene individuato un nuovo giacimento sfruttabile. Tuttavia, è nell’alta Val d’Agri che si fa la storia: nel sottosuolo del comune di Viggiano le sonde scovano il più ampio giacimento d’Europa sulla terraferma. 

L’attività estrattiva da parte di Eni ha inizio nei primi anni '90. Inizialmente il petrolio viene trasportato alle raffinerie tramite autocisterne, con gravi rischi in caso di incidente stradale. La costruzione dell’oleodotto che collega la zona a Taranto inaugura la fase di sfruttamento intensivo. L’elevato tenore di zolfo e altre impurità presenti nel petrolio lucano minacciano tuttavia di corrodere le tubature, rendendo indispensabile la costruzione del centro di trattamento oli di Viggiano. 

L'impianto è soggetto a normativa Seveso II (cioè a rischio di incidente grave), perché produce gas tossici come anidride solforosa e acido solfidrico, oltre a un’ingente quantità di rifiuti pericolosi da smaltire con opportuni trattamenti. Nel corso degli anni si perforano 42 pozzi e si amplia il centro oli, passando da una a cinque linee di trattamento; i rifiuti sono smaltiti nel Tecnoparco della Val Basento, un impianto industriale sopravvissuto allo smantellamento del petrolchimico. Attualmente i pozzi attivi in Val d'Agri sono 28, di cui uno di reiniezione per smaltire l'acqua di strato estratta insieme al petrolio, e un altro in fase di perforazione.

Lo sfruttamento del giacimento della Val Sauro, posto nella località Tempa Rossa, è inizialmente dato in concessione alla compagnia belga Fina che sarà più tardi inglobata dal colosso francese Total. Nel 1992 viene autorizzata la creazione di una discarica per i fanghi industriali sul crinale montuoso dove sorgono i pozzi; alcuni anni dopo se ne aggiunge una seconda, a breve distanza dalla prima. 

Tra gli abitanti della zona è forte il sospetto che durante la costruzione non furono prese le necessarie precauzioni ambientali. Secondo alcune associazioni ambientaliste locali, le sostanze tossiche potrebbero aver raggiunto per percolazione i prati e i campi coltivati a valle delle discariche, avvelenando i suoli. Dopo numerose proteste e segnalazioni, entrambe le discariche sono poste sotto sequestro dai carabinieri del NOE nel 2010 con l'apertura di un’indagine. La zona non è mai stata bonificata ma, al contrario, è interessata da un progetto di ampliamento per aumentare il numero dei pozzi e costruire un centro oli.

Il giro di affari attorno al progetto di ampliamento è finito dal 2013 nel mirino dell’antimafia: nelle scorse settimane per l’ex sindaco di Corleto è stata emessa l’ordinanza di custodia cautelare, così come per cinque dipendenti dell’Eni nell’altro filone dell’inchiesta che riguarda lo smaltimento dei rifiuti nella Val d'Agri. Il sospetto è che la compagnia petrolifera abbia gestito in maniera illecita il ciclo dei rifuti con la connivenza di funzionari pubblici e dell'ARPA Basilicata. Per questo motivo l’impianto del Tecnoparco e il pozzo di reiniezione sono stati posti sotto sequestro portando all’interruzione delle attività di estrazione. La corsa all’oro nero della Basilicata è sospesa. Almeno per ora.

Davide Michielin e Vincenzo Senzatela

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