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Terremoto dell'Aquila: più attenzione ai precursori

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Tra le sfide lanciate dal terremoto di Abruzzo alla comunità scientifica, ha non trascurabile importanza quella riguardante i precursori sismici a breve termine, cioè quei fenomeni che talvolta sono seguiti, nella stessa zona e entro un breve intervallo di tempo Δt, da un forte terremoto. A proposito di questi fenomeni precursori è nata una polemica nel corso della quale sono state dette e scritte cose inesatte e fuorvianti nei riguardi delle possibili future strategie della Protezione civile e della comunità scientifica. Mi prendo dunque la libertà di presentare alcune osservazioni utili, a mio giudizio, per mettere un po’ d’ordine nel dibattito in corso sui precursori a breve termine.

Nel caso dell’evento del terremoto del 6 aprile scorso a L'Aquila, si è molto discusso del precursore costituito dalle cosiddette scosse premonitrici. A questo precursore mi riferirò, anche perché esso possiede alcune prerogative non possedute da altri fenomeni studiati come possibili precursori. E’ generalmente riconosciuto che una scossa di magnitudo medio-bassa può essere seguita, dopo poche ore o pochi giorni, da un forte terremoto. Ma il guaio è che non esistono oggi affidabili modelli di calcolo della probabilità che ciò avvenga, e che non si tratti di un falso allarme. E allora? Allora ecco la mia prima osservazione. In un Paese ad alta sismicità e di antica civiltà come l’Italia, l’ente preposto alla sorveglianza sismica potrebbe (o forse dovrebbe ) predisporre un programma per l’analisi statistica dei numerosissimi dati del catalogo, capace di ottenere una ragionevole stima della probabilità di falso allarme delle scosse premonitrici.

Il nostro gruppo ha eseguito da tempo delle prove in alcune zone italiane (Garfagnana, Friuli e Irpinia) trovando in tutti e tre i casi che le scosse premonitrici hanno una probabilità di falso allarme dell’ordine del 98%. Per brevità chiamiamo T il forte terremoto e F il fenomeno precursore. Dunque, nelle zone considerate, la probabilità di TF (cioè del terremoto nel Δt successivo all’occorrenza di F) è dell’ordine del 2%.

Provo, in via ipotetica, a mettermi nei panni di una persona che abbia la responsabilità di decidere se proclamare lo stato di allerta oppure no. Se dichiaro l’allerta ho un’alta probabilità (98%) di causare un disagio inutile, mentre se non dichiaro l’allerta ho una piccola probabilità (2%) di provocare un danno gravissimo: lasciar morire delle persone. Causare un disagio inutile ha un costo sociale formato da diverse voci, quali il costo vivo della organizzazione dei provvedimenti di prevenzione, il disturbo delle attività produttive e l’influenza negativa sulla credibilità del sistema di allarme: troppo frequenti “al lupo, al lupo” senza l’arrivo del lupo vanificano il sistema di allarme.

Come decisore, mi sento in grave imbarazzo perché il 2% di probabilità che nei prossimi giorni (diciamo nella prossima settimana ) si verifichi un forte terremoto, pur essendo piccola in assoluto, è 200 volte più grande della probabilità-base di un simile terremoto, in una settimana scelta a caso. Ed è del resto questa l’origine dei comportamenti popolari di prevenzione, come andare a dormire all’aperto.

Che fare? Va da sé che dovranno essere considerati tutti gli altri eventuali elementi a favore o contro la decisione di dare l’allerta, per esempio gli studi sull’andamento a lungo termine dell’hazard nella zona, oppure notizie circa il livello di resistenza ai sismi degli edifici presenti nella zona. Ma una volta completata l’analisi, va bene dare solo all’esperto (o gruppo di esperti ) la responsabilità della decisione?

Autorevoli studiosi di psicologia sociale sostengono in generale che anche i cittadini non specialisti dovrebbero essere coinvolti nel processo decisionale. A loro dovrebbe essere fornita l’informazione scientifica disponibile discutendo i possibili provvedimenti di prevenzione. Nel caso delle scosse premonitrici, in particolare, il contributo dei cittadini può essere determinante sotto molti aspetti. Nessuno meglio di loro, per esempio, è in grado di valutare il costo sociale di un eventuale falso allarme. Si dovrebbe in sostanza tendere a un iter decisionale compreso da tutti e il più possibile condiviso.

E’ importante infine osservare che tutto il processo decisionale (dalle premesse scientifiche agli sviluppi dell’analisi) è aperto alla critica metodologica; mentre non ha senso, a posteriori, e cioè a seconda che il terremoto sia avvenuto oppure no, dire che gli avvenimenti reali dimostrano che la decisione presa era quella “giusta” (o quella “sbagliata”). Infatti in una impostazione probabilistica, il risultato di un singolo esperimento non può validare alcunché. La critica metodologica è utile per migliorare le modalità di formazione della decisione. Per quanto riguarda l’iter decisionale seguito dal decisore nel caso dell’Abruzzo, una critica metodologica dettagliata, firmata da me e da Elisa Guagenti, è apparsa sul numero di settembre della Rivista di Ingegneria sismica.

A mo’ di conclusione si potrebbe dire: le scosse premonitrici hanno in passato salvato molte vite umane grazie a una tramandata conoscenza popolare e a una intuitiva analisi costi-benefici. La comunità scientifica è chiamata a suggerire sempre migliori metodi di interpretazione di questo provvidenziale precursore, così da salvare, statisticamente, un sempre maggior numero di vite umane.

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