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Topi avatar di tumori umani: a che punto siamo?

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Illustrazione tratta da Campions Oncology.

Tempo di lettura: 5 mins

L'analisi di oltre 1.000 modelli murini del cancro ne ha messo in discussione la capacità di predire la risposta dei pazienti alla terapia. È ciò che emerge da uno studio, recentemente pubblicato sulla rivista Nature Genetics, che ha osservato e catalogato le modificazioni genetiche che si verificano nei tumori umani dopo l’innesto nel topo ospite. Nello specifico i ricercatori hanno studiato modelli murini chiamati "xenotrapianti derivati dal paziente" (PDX) che vengono utilizzati sia nella ricerca di base per lo studio del tumore, sia come “avatar” dei singoli pazienti, cioè come modelli personalizzati per ricreare nell’animale le stesse condizioni patologiche presenti nell’individuo malato.

I ricercatori usano questi topi per testare una serie di chemioterapie contro il tumore di una persona e modellare perfettamente il trattamento specifico per il cancro del paziente. Ma i dati emersi nella recente pubblicazione di Nature Genetics, realizzati dai genetisti del Broad Institute di Harvard e del MIT a Cambridge, Massachusetts, suggeriscono che il trapianto di cellule tumorali umane in un topo possa alterare l'evoluzione delle cellule, modificando il genoma del tumore in modi che potrebbero influenzare la risposta ai chemioterapici. Secondo i ricercatori la patologia che si svilupperebbe nel topo PDX riflette per la maggior parte l’andamento del tumore nel paziente, tuttavia è osservabile un eccezionale rimodellamento del genoma del tumore. In particolare gli studiosi hanno osservato un rapido accumulo di alterazioni nel numero di copie dei cromosomi durante la trasformazione del PDX, spesso causato della selezione dei cloni tumorali minori preesistenti. Tuttavia, le particolari modifiche del numero di copie acquisite dal modello PDX differiscono da quelle acquisite durante l'evoluzione tumorale nei pazienti.

Nessun modello animale è perfetto e i ricercatori hanno da tempo riconosciuto che i PDX hanno le loro limitazioni. Ad esempio, per evitare che l’ospite scateni una risposta immunitaria diretta contro il tumore, gli innesti vengono tipicamente eseguiti in topi che non dispongono di un sistema immunitario funzionale. Ciò compromette la capacità degli scienziati di studiare le interazioni tra le cellule immunitarie e il tumore – un settore verso il quale la comunità scientifica nutre un crescente interesse dato il successo degli immunoterapici contro il cancro. Inoltre i modelli murini PDX possono anche richiedere mesi per essere generati, pregiudicandone l'utilizzo per per quei pazienti che hanno bisogno di decisioni immediate in merito alla terapia da somministrare.

Ricerche precedenti avevano stabilito che i modelli PDX erano riproduzioni ragionevolmente fedeli dei tumori umani e che soprattutto offrivano ai ricercatori la possibilità di esplorare l'interazione del tumore con il suo ambiente, cosa che non è affatto possibile negli studi in vitro realizzati mettendo le cellule in coltura nelle piastre di Petri. Per questo motivo  il National Cancer Institute statunitense ha sviluppato una libreria di oltre 100 modelli PDX rendendoli disponibili ai ricercatori, mentre gli scienziati europei hanno fondato EurOPDX, un consorzio che vanta più di 1.500 modelli per oltre 30 tipi di tumore. Una società, la Champions Oncology di Hackensack nel New Jersey, crea e controlla gli avatar murini per i singoli pazienti e per le aziende farmaceutiche da utilizzare nella ricerca.

Nell'ultimo studio, i genetisti hanno esaminato come il DNA dei modelli murini PDX cambia nel tempo analizzando i dati provenienti da cellule tumorali impiantate in un topo, lasciate crescere fino a costituire la massa tumorale e poi raccolte e reimpiantate in un altro topo – talvolta per cicli multipli. Nei loro esperimenti i ricercatori hanno studiato le alterazioni nel numero di copie di un determinato gene nelle cellule di oltre 1.000 campioni PDX rappresentativi di 24 diverse tipologie di cancro, spesso estrapolando l’informazione relativa al numero di copie del gene dai dati di espressione genica. L'analisi suggerisce che i tumori impiantati nei topi si modificano assumendo assetti genomici non comunemente visibili nell'uomo. Ad esempio, i tumori cerebrali umani chiamati glioblastomi tendono a guadagnare copie extra del cromosoma 7; mentre i corrispettivi modelli murini PDX tendono a perdere quelle copie nel tempo.

Alcune di queste alterazioni genetiche sono state associate anche a differenze nelle modalità di risposta ai farmaci contro il cancro adottate dai PDX. Ciò non significa che i modelli PDX non siano affidabili o che debbano essere abbandonati: negli studi di ricerca di base i genetisti si avvalgono di molti modelli PDX differenti per identificare i rapporti tra la genetica del cancro e la sensibilità ai farmaci. La preoccupazione maggiore riguarda l’utilizzo dei modelli PDX come avatar per predire i risultati nei singoli pazienti, soprattutto solleva alcuni dubbi sull’interpretazione dei risultati. Nel suo articolo, recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Annals of Oncology, l’oncologo David Sidransky della Johns Hopkins University School of Medicine di Baltimora, nel Maryland, confronta i risultati clinici di 92 pazienti affetti da diversi tipi di tumori solidi con la risposta osservata nei rispettivi avatar. L’analisi dimostra che i modelli PDX replicano accuratamente i risultati clinici dei pazienti, anche se i pazienti subiscono diversi cicli di terapia aggiuntivi nel tempo, indicando la capacità di questi modelli di guidare correttamente l’oncologo nella scelta dei trattamenti che hanno maggior probabilità di determinare un beneficio clinico. L'integrazione dei modelli PDX con una piattaforma preclinica per la valutazione dell'efficacia del farmaco potrebbe consentire una maggiore percentuale di successo nello snodo cruciale dei benefici clinici. Lo studio mostra infatti un'associazione dell'87% tra la risposta ai farmaci osservata nell’essere umano e nel suo corrispettivo murino: l'analisi genetica del team di Harvard potrebbe offrire indizi sulle mancate corrispondenze nel restante 13% dei modelli PDX.

Nel frattempo i ricercatori stanno sempre più affinando le tecniche per la produzione di modelli murini PDX corrispondenti al tumore umano, ad esempio innestandolo nella posizione analoga dell’avatar murino – come nel trapianto di cellule tumorali del pancreas umano in un pancreas di topo – piuttosto che eseguire un semplice innesto sottocutaneo, in modo da ricreare un ambiente più simile a quello del tumore originale. A questo scopo i ricercatori utilizzano anche topi che sono stati umanizzati in vario grado, ad esempio introducendo alcune caratteristiche del sistema immunitario umano o di varianti umane di proteine che interagiscono con il tumore.

Fonti
1. Ben-David U et al. Nature Genetics http://dx.doi.org/10.1038/ng.3967 (2017);
2. Izumchenko E et al. Annals of Oncology 28, 2595-2605 https://doi.org/10.1093/annonc/mdx416 (2017)A

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