fbpx Vaccino anti SARS-Cov-2. Ripensiamo alla sperimentazione animale in Italia o preferiamo utilizzare esseri umani? | Scienza in rete

Vaccino anti SARS-Cov-2: l'importanza della sperimentazione animale

Primary tabs

Crediti immagine: HeungSoon/Pixabay. Licenza: Pixabay License

Tempo di lettura: 7 mins

Gli autori hanno steso questo articolo su suggerimento e in accordo con la Federazione Italiana Scienze della Vita (FISV) e con il suo Presidente, Gennaro Ciliberto.

In questi terribili tempi di COVID-19 molte pretese dell’anti-scienza e della follia umana basata sull’arroganza dell’ignoranza di ciò che è bene per sé, per i propri cari e per l’intera popolazione sono state spazzate via. Si è capito, o si sta capendo, che uno non vale uno, e che servono esperti. Si è capito, o si sta capendo, che la scienza non è un nemico elitario, ma un necessario amico che può salvare la vita di tutti i giorni. Si è capito, o si sta capendo, che – in questo particolare frangente – se si avesse un vaccino per contrastare il virus SARS-CoV-2 che causa la COVID-19 sarebbe cosa bella e buona. Certo, una parte è ancora riottosa ad accettare che uno non vale uno, che la scienza salva vite umane e che le radicali posizioni anti-vax sono pericolose per tutti. Ma di conoscitivamente ciechi e stoltamente dogmatici – anche a costo di essere auto-nocivi – la storia è sempre stata folta e sempre lo sarà. Tuttavia, non è su questi che si deve contare, quanto su coloro che sanno o che capiscono il valore della conoscenza, in particolare conoscenza scientifica, e ancora più biomedica. Ed è a questi che ora ci si deve rivolgere per ripensare l’autolesionista e ottusa politica italiana rispetto alla sperimentazione animale.

Si vogliono i vaccini. Pare una cosa buona e giusta. Ma come si controlla la validità di quelli che la ricerca sta proponendo? Come è noto, prima di iniziare a somministrarli, bisogna sperimentarli. E su chi? Direttamente su umani sani? Scelti come? Su volontari non pagati? Su volontari pagati? Certamente saremmo piuttosto refrattari – almeno lo speriamo – a provarli su esseri umani costretti con la violenza, con l’inganno, o per via che sono portatori di una qualche fragilità socio-culturale (minoranze, carcerati, senza tetto, indigenti…).

Una via alternativa alla sperimentazione su umani è la sperimentazione animale, che si voglia o che non si voglia. Un esempio viene dall’Università di Pittsburgh dove un’equipe di scienziati, fra cui l’italiano Andrea Gambotto, ha messo a punto un vaccino sperimentale, il “PittCoVacc”, Ebbene, l’FDA, l’agenzia americana del farmaco, approverà a giorni gli studi sull’uomo sulla base dei risultati che i ricercatori hanno ottenuto nei topi, ossia su animali modello.

E qui sta l’autolesionista e ottusa situazione italiana, dovuta a scelte parlamentari non tra le più felici. Cerchiamo di capirla e cerchiamo di porvi rimedio, se abbiamo sufficiente saggezza e sufficiente capacità di farlo.

Innanzi tutto, si devono aver ben presente tre aspetti fondamentali che delineano icasticamente la triste condizione in cui ci troviamo:

  • in Italia, la sperimentazione animale, a causa della legislazione che si ha e che alcuni stanno spingendo per fini elettoralistici, è a rischio, e con essa la ricerca biomedica che si giova della prima;
  • l’Italia è sull’orlo della procedura di infrazione europea, perché limita eccessivamente la sperimentazione animale, così come intesa nella normativa comunitaria;
  • la sperimentazione animale è necessaria per provare l’efficacia di possibili vaccini (anti SARS-CoV-2) e se in Italia non sarà possibile, l’Italia sarà semplicemente tagliata fuori dalla ricerca (a meno che non si decida di utilizzare, come detto sopra, esseri umani)

Il nostro paese potrebbe concorrere positivamente alla ricerca sui vaccini, in special modo anti SARS-CoV-2, grazie alla capacità e alla creatività dei suoi ricercatori e dei suoi centri di ricerca. E potrebbe farlo se vi fosse l’accoglimento delle indicazioni europee sulla sperimentazione animale. Ma – e qui si comincia a delineare il triste contesto - il nostro Parlamento non le ha ancora recepite pienamente. Tuttavia, andiamo con ordine.

È notizia di questi giorni che si sono approvati i primi protocolli italiani di sperimentazione pre-clinica su animali per lo studio della sicurezza e dell’efficacia di potenziali vaccini. Bene, si dirà. Però bisogna ricordare che la direttiva europea del 2010 è stata recepita dal Parlamento Italiano, nel 2014, solo con considerevoli restrizioni. Tra l’altro, si tenga conto che così facendo l’Italia è andata contro l’articolo 2 della normativa stessa (che tra l’altro aveva cooperato a stendere!) che ne raccomanda l’implementazione senza modifiche. Insomma, da un lato accettiamo il tavolo comune e, dall’altro, poi ci piace fare quello che crediamo meglio sulla spinta di bisogni populisti.

Se consideriamo brevemente tale recepimento italiano, ci rendiamo conto quanto esso sia più limitante delle indicazioni europee, impedendo così ai ricercatori italiani di essere competitivi rispetto ai colleghi di altri paesi. Per esempio, si prevede il divieto di utilizzare animali per gli xenotrapianti, ossia per il trapianto di organi da una specie all’altra.

Sfortunatamente, circa 700mila valvole cardiache salva-vita di origine suina e bovina sono state trapiantate finora nei pazienti, dopo sperimentazioni su primati non umani. Che si fa? Smettiamo la ricerca e consigliamo ai nostri concittadini con cardiopatie severe di andare dove la ricerca con gli xenotrapianti è permessa?

Oppure prevede il divieto di utilizzare animali per le ricerche sulle sostanze d’abuso, per gli studi sui disturbi del comportamento alimentare - come anoressia e bulimia -, e per quasi tutti gli studi di nuovi farmaci che, passando la barriera ematoencefalica, potrebbero essere considerati sostanze d’abuso. Che facciamo? Trascuriamo i circa due milioni di persone che hanno problemi di tossicodipendenza, facciamo finta che non esistano disturbi alimentari, o sosteniamo che non siamo interessati alla ricerca di farmaci che possono oltrepassare la barriera ematoencefalica?

Il divertente, se non fosse reale, è che la nostra normativa prevederebbe anche il divieto di allevamento di primati, di cani e di gatti destinati alla ricerca. Però non vieta ai ricercatori italiani di acquistarli all’estero, con un aggravio non indifferente non solo dei costi della sperimentazione ma anche dello stress per gli animali che devono subire lunghi trasferimenti. Da ultimo, ha senso rammentare che il numero di primati non umani impiegato nella ricerca è molto esiguo, appena lo 0,09%, (dati aggiornati al 2017) ma che alcune ricerche possono essere condotte solo con essi. Per esempio, grazie a queste sperimentazioni è stato possibile sviluppare il vaccino anti Ebola e diverse terapie antiretrovirali che oggi offrono ai malati di Aids una speranza e una qualità di vita eccellente. E queste sono le stesse terapie che oggi si stanno utilizzando in via sperimentale sui malati in terapia intensiva da SARS-CoV-2 e che stanno dando una speranza a tanti malati e alle loro famiglie. Che facciamo? Tralasciamo la possibilità di salvare oggi e in un futuro queste tipologie di malati?

In realtà, e anche questo è paradossale, fino a oggi la comunità scientifica (e la FISV ha dato il suo contributo) è riuscita a fare valere la sua opinione e per questo il Parlamento Italiano, dal 2014, ha inserito ogni volta nel Decreto Milleproroghe una deroga a questi divieti. Ovvero abbiamo una legge più restrittiva di quella europea, ma – fortunatamente – grazie alla deroga annuale riusciamo a fare ricerca a livello europeo!

L’ultima deroga porta la data di gennaio 2020 ed è valida solo fino a dicembre 2020. Il primo gennaio 2021, quindi, se non verrà fatto nulla, i ricercatori si troveranno in uno scenario in cui gli esperimenti previsti non potranno essere più fatti, mentre i loro collaboratori europei potranno continuare a sperimentare secondo la direttiva europea da noi disattesa. Ed ecco il motivo della pratica europea di infrazione.

Per questo noi e la FISV ci auguriamo che questo triste momento possa farci riflettere su un paio di questioni estremamente rilevanti, ossia che

  • i ricercatori non sono avversari da combattere o da avversare con paccottiglia new-age che di controllato e riproducibile non ha nulla
  • la sperimentazione animale è utile anche per lo sviluppo di un vaccino salvavita contro il SARS-CoV-2 e la malattia che deriva da questa infezione, vale a dire COVID-19 

Ovvero ci auguriamo che i nostri parlamentari, o almeno quelli che abbiano capito la lezione sull’utilità della scienza e della ricerca, abbiano il coraggio di stralciare dal Decreto Legislativo n. 26 del 4 marzo 2014 gli emendamenti immotivati che cancellano i ricercatori italiani dalla comunità internazionale, o che li confinano ai bordi. E se non hanno questo coraggio, che almeno dicano a chiare lettere che, in alternativa all’insignificanza cui si relegherebbe molta ricerca biomedica italiana, propongono la sperimentazione su umani e si dichiarano essere i primi volontari per questa possibilità.

 


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Generazione ansiosa perché troppo online?

bambini e bambine con smartphone in mano

La Generazione ansiosa. Come i social hanno rovinato i nostri figli (Rizzoli, 2024), di Jonathan Haidt, è un saggio dal titolo esplicativo. Dedicato alla Gen Z, la prima ad aver sperimentato pubertà e adolescenza completamente sullo smartphone, indaga su una solida base scientifica i danni che questi strumenti possono portare a ragazzi e ragazze. Ma sul tema altre voci si sono espresse con pareri discordi.

TikTok e Instagram sono sempre più popolati da persone giovanissime, questo è ormai un dato di fatto. Sebbene la legge Children’s Online Privacy Protection Act (COPPA) del 1998 stabilisca i tredici anni come età minima per accettare le condizioni delle aziende, fornire i propri dati e creare un account personale, risulta comunque molto semplice eludere questi controlli, poiché non è prevista alcuna verifica effettiva.