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Valorvitis, anche dell'uva non si butta via niente

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La valorizzazione dei sottoprodotti delle filiere agricole è oggi una realtà anche in viticoltura. Questo grazie a Valorvitis, uno dei sedici progetti AGER, un’Associazione di Scopo formata da tredici Fondazioni bancarie che hanno finanziato con 27 milioni di euro una pluriennale attività di ricerca nei comparti ortofrutticolo, cerealicolo, vitivinicolo e zootecnico (Scienza in Rete ne aveva già parlato qui e qui).
I risultati di questo progetto sono stati presentati durante il convegno che si è tenuto lo scorso 16 febbraio all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza.

Secondo recenti stime, l'Italia produrrebbe ogni anno più di un milione di tonnellate di sottoprodotti dei processi di vinificazione, quali raspi, bucce e vinaccioli, cioè i semi contenuti negli acini. Grazie alla loro natura organica però, questi sottoprodotti contengono composti ad altro valore aggiunto, come ad esempio polifenoli, olio e fibre; mediante specifici processi di recupero, questi sottoprodotti potrebbero essere destinati a uso farmaceutico, chimico e addirittura alimentare. Oltre a questo, si tratta di sottoprodotti che sono legati alla vinificazione e la loro produzione si concentra in periodi ristretti, aumentando le difficoltà di una corretta gestione.
E’ su questi presupposti che è nato il progetto Valorvitis, che nei tre anni di ricerca ha studiato la messa a punto di tecnologie efficaci e sostenibili dal punto di vista economico ed ambientale per recuperare e valorizzare questi sottoprodotti. “Abbiamo visto che la cultivar influenza le proprietà fisiche, chimiche e funzionali dei composti estraibili. Per cui prima di tutto c’è differenza se la vinificazione è stata fatta con uve bianche o rosse” – ha dichiarato Giorgia Spigno dell’Università di Piacenza e Responsabile Scientifico del progetto. “E questo perché per ogni cultivar la lavorazione produce residui differenti. Ne sono state saggiate sei ed abbiamo visto che nel caso di Barbera e Nebbiolo per esempio, le vinacce (cioè le bucce ed i vinaccioli) vengono lasciate fermentare, cosa che invece non accade nella lavorazione dei vini bianchi, come Chardonnay, Moscato o Müller-Thurgau, dove le bucce vengono scartate prima della fermentazione: da qui, la differenza nei composti estraibili. Passando ai vinaccioli - continua Spigno - abbiamo visto che è possibile estrarre un olio utilizzabile sia in cucina che in cosmetica perché ricco di polifenoli. Le bucce invece, una volta essiccate, possono essere trasformate in farine più o meno raffinate a seconda dell'impiego a cui saranno destinate. Sono comunque ottimi prodotti dal punto di vista nutritivo perché ricchi di fibre e di antiossidanti e per questo li abbiamo aggiunti durante la lavorazione dei prodotti lattiero caseari, come yogurt e formaggi freschi.
Un altro ambito di ricerca del progetto che tengo ad evidenziare, è stato quello dell'industria dolciaria, che prevede l’impiego di frazioni fibrose recuperate delle bucce per la produzione di gelatine di frutta,  gelato e prodotti da forno. A questi si sono aggiunte le puree di frutta e la passata di pomodoro. Dalle bucce siamo quindi stati in grado di ottenere preziosi estratti, anche questi con elevate proprietà antiossidanti”.

Le applicazioni alimentari derivate dal recupero di fibre dalle bucce d’uva trovano giustificazione in quanto studi “in vivo” hanno dimostrato che queste fibre riducono il rischio di patologie cardiovascolari rispetto all’ingestione di altre fibre prive di antiossidanti.
Il progetto ha anche delle ricadute per le aziende di vinificazione, in quanto si darebbe ai sottoprodotti un valore commerciale in grado di creare valore aggiunto. “Quello che ci interessa – aggiunge Spigno – è che i risultati della nostra ricerca rientrino presto nei piani industriali delle aziende vitivinicole,  a partire da quelle situate nella nostra zona. E questo è possibile grazie ad una normativa che permette alle vinacce un uso diverso rispetto a quello a cui erano destinate fino a qualche anno fa, vale a dire le distillerie per la produzione di alcool. Si risolve così anche il problema dovuto alla quantità di vinacce prodotte, che eccedono i fabbisogni delle distillerie. Esiste comunque un problema in Italia, dovuto al recepimento del Regolamento europeo che dal 2008 autorizza gli utilizzi delle vinacce al di fuori della distillazione. Nella nostra nazione infatti la normativa lascia alle singole Regioni la possibilità di decidere se rilasciare o meno le autorizzazioni per l’utilizzo delle vinacce a fini agroalimentari, creando di fatto una diversità fra i territori. Ma tornando ai risultati, il progetto ha dimostrato anche la possibilità di potere ancora estrarre importanti quantità di composti antiossidanti anche dopo la distillazione. Addirittura sembrerebbe con rese maggiori. E questo consentirebbe ovviamente una doppia valorizzazione”.

Valorvitis è un progetto che ha coinvolto quattro Regioni (Piemonte, Lombardia, Trentino Alto Adige ed Emilia-Romagna) e al quale hanno collaborato, oltre all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza, le Università degli Studi di Milano, di Trento e di Torino e l'Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo.

Per ulteriori informazioni sull’attività di ricerca [email protected]


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