L’università pubblica italiana sta di fronte a un baratro. Per l’anno prossimo è previsto un taglio del 15 per cento nei bilanci: sarà molto difficile pagare gli stipendi ai dipendenti e le spese fisse e del tutto impossibile assumere giovani al posto dei tanti professori che andranno in pensione. Nonostante che il numero dei docenti non sia adeguato agli standard europei e sia insufficiente per una buona didattica, il governo è intenzionato a ridurre il numero d’insegnanti universitari tagliando brutalmente i fondi. Già negli scorsi anni i tagli sul bilancio (che arrivavano a sfiorare complessivamente quasi il 10 per cento, tenendo conto dell’inflazione) avevano provocato gravi disagi alle Università, che erano state costrette a raschiare il fondo del barile, e il previsto taglio ulteriore del 15 per cento avrebbe effetti devastanti.
E' impossibile trovare esempi recenti in altri paesi in crisi di un simile riduzione improvvisa (da 7 miliardi a 6 miliardi di Euro) nei fondi assegnati dallo stato alle università. E' una politica in controtendenza con il resto del mondo, che, al contrario dell’Italia, investe nell’università, nella ricerca e sviluppo per superare la crisi. Ed è anche una politica autolesionista, che bloccando per anni il turnover nelle università costringe molti giovani all’emigrazione, impoverendo il paese delle sue risorse più valide, che non sarà possibile sostituire. Tremonti aveva già tentato di fare forti tagli sui bilanci degli anni scorsi, ma grazie al movimento dell’Onda, era stato costretto a rimandare. Adesso, nonostante che la situazione sia più grave che nel 2008, non c’è un movimento studentesco forte e il governo può tranquillamente distruggere la scuola pubblica e la cultura.
Ma le disgrazie non vengono mai da sole. Sta per essere portata in Aula alla Camera la cosiddetta riforma Gelmini, un insieme di norme tra le più disparate che vanno dall’esenzione da tasse per le donazioni fatte alle università al riconoscimento delle medaglie alle Olimpiadi come credito formativo (lo Scudetto invece non vale). Tutta la legge ha come filo conduttore l’entrata sia dei privati, sia del ministero dell’Economia nel governo dell’Università (il Ministero dell’economia è citato ben 23 volte nella legge). Alcune norme hanno impatto fortemente negativo sulle Università e le poche norme che avrebbero un possibile impatto positivo sono sterilizzate dalla mancanza dei fondi che servirebbero per applicarle. A volte la coda del diavolo si nasconde nei dettagli: in un emendamento approvato in commissione è stato levato l’obbligo da parte delle università di bandire borse di studio per almeno il 50 percento dei posti di dottorato esistenti. Il risultato certo, date le future ristrettezze economiche, sarà la quasi completa sparizione delle borse per il dottorato, che nel quadro desolante del mancato sostegno al diritto allo studio, era l’unico strumento che permetteva agli studenti di arrivare a conseguire il dottorato senza pesare troppo sulle famiglie. Forse più qui, che in altri ambiti, si vede la vera natura della Destra al governo.
Articolo pubblicato su Il Manifesto, 14/10/2010