Il 28 Agosto sulla prestigiosa rivista Nature l’esperimento Borexino ha pubblicato il suo più recente e anche più eclatante risultato, la rivelazione diretta dei neutrini solari prodotti nella reazione di fusione di due protoni, alla base del funzionamento del Sole. In un certo senso Borexino ha osservato direttamente nel cuore della nostra della nostra stella, in presa diretta, il funzionamento del suo “motore”, dando una risposta netta e inequivocabile al secolare quesito del perché il Sole risplende.
Come funziona Borexino?
Ma prima di spiegare
più in dettaglio cosa ha visto Borexino e le implicazioni di questa sua osservazione,
descriviamone le caratteristiche salienti, illustrando la “carta d’identità” di
questo gigante sotterraneo. Intanto dove è localizzato: Borexino si trova
presso il Laboratorio Nazionale del Gran Sasso dell’Istituto Nazionale di Fisica
Nucleare (INFN), il più importante centro di ricerca mondiale per attività
sperimentali sotterranee.
L’ambiente del Laboratorio, schermato dagli oltre 1400
metri di roccia sovrastante dall’effetto dei raggi che continuamente bombardano
la superficie terrestre provenienti dalle profondità dell’universo, costituisce
un’enclave privilegiata caratterizzata dalla situazione di “silenzio cosmico”
fondamentale per il funzionamento di macchine ultrasensibili come Borexino.
Gli apparati che alla stregua di Borexino sono alla caccia di particelle
elusive e quasi inafferrabili come i neutrini, hanno bisogno di condizioni
ambientali di assoluta “limpidezza”, intesa come assenza di qualunque
interferenza, per poter condurre con successo le proprie investigazioni di
punta, condizioni che solo siti profondi e specializzati come il Laboratorio
del Gran Sasso possono garantire.
Ma la profondità e
il conseguente silenzio cosmico da soli non bastano, ci sono infatti altri “nemici”
diffusissimi che ostacolano questo tipo di ricerche all’estrema frontiera della
conoscenza del mondo che ci circonda: si tratta degli elementi radioattivi
naturalmente presenti nella crosta terrestre e che quindi sono automaticamente incorporati
in qualunque manufatto venga costruito a partire da qualunque materia prima. Mentre,
solitamente, questo tipo di contaminazione non produce nessuna
controindicazione nella vita quotidiana, gli stessi livelli minimali di
radioattività sono assolutamente deleteri nei nostri sensibilissimi apparati
sperimentale. La radioattività naturale, infatti, genera particelle e
radiazioni ionizzanti che hanno la potenzialità di confondere le nostre
sofisticate strumentazioni, dando ad esempio l’illusione di un segnale di neutrino,
quando invece il neutrino non c’è.
Il problema è tanto più
serio proporzionalmente alle dimensioni dell’apparato, in quanto è ovviamente maggiore
la massa che può essere affetta dalla radioattività naturale. Da questo punto
di vista va notato che Borexino ha dimensioni assolutamente ragguardevoli, che
lo connotano come un’autentica macchina gigante di esplorazione, con ben 2500
tonnellate di acqua di schermo, 300 tonnellate di scintillatore e 1000
tonnellate di uno speciale idrocarburo usato come cuscinetto protettivo attorno
al nucleo scintillante.
Le sue grandi dimensioni sono necessarie per garantire
un adeguato tasso di interazione dei neutrini nel rivelatore; accumulando,
infatti una notevole quantità di materiale “bersaglio”, in questo caso le 300
tonnellate di scintillatore liquido, aumenta conseguentemente la probabilità
che alcuni dei neutrini che compongono il flusso enorme che investe la Terra
provenendo dal Sole (ben 60 milioni per cm2 e secondo) si scontrino con uno
degli elettroni dello scintillatore stesso, dando luogo ad un flebile lampo di
luce che di fatto fotografa il singolo neutrino rivelalo.
Ebbene questa grande massa scintillante deve essere purissima in termini di
radioattività residua per evitare la generazione di “falsi positivi”, ovvero di
lampi di luce non dovuti ai neutrini che inevitabilmente confonderebbero
l’apparato. Il raggiungimento di una condizione di pulizia estrema è stata la
grande sfida tecnologa della collaborazione che ha costruito Borexino, che in
questo sforzo ha sviluppato tecniche di purificazione di assoluta avanguardia, le
quali hanno consentito di ottenere nello scintillatore liquido una purezza
radioattiva estrema e mai ottenuta prima in nessun altro ambito, all’incredibile
livello di diecimila miliardi di volte inferiore ai livelli usuali sulla crosta
terrestre.
I risultati di Borexino
Questa macchina straordinaria,
assolutamente unica nel suo genere, ha cominciato a funzionare nel 2007,
iniziando da subito con successo a esplorare le viscere del Sole. Dalla sua
accensione, Borexino è riuscito a rivelare i neutrini di più alta energia provenienti
dalle reazioni successive a quella base di fusione protone-protone, gettando un
primo sguardo tramite essi, ma in maniera indiretta, al meccanismo di funzionamento
delle nostra stella. La limitazione incontrata nell’arco di quelle prime misure
era che i residui contaminanti radioattivi, benché assolutamente esigui, erano però
ancora ad un livello tale da mascherare i neutrini molto più copiosi, ma
energeticamente più flebili e quindi più difficili da osservare, della reazione
base.
Questo ostacolo è stato
superato grazie a un immane sforzo di purificazione che è stato condotto sullo
scintillatore dalla metà del 2010 fino alla fine del 2011, che ha poi portato all’attuale
livello massimo di pulizia, tale da consentire finalmente di osservare con
nitidezza il flusso principale dei neutrini solari da protone-protone, e di misurare
quindi per mezzo loro l’energia prodotta dal Sole nell’atto stesso della sua
generazione. Si tratta di un risultato assolutamente straordinario che ci
consente di gettare lo sguardo direttamente e in tempo reale sul funzionamento
della fucina nucleare della nostra stella, con l’unico ritardo degli 8 minuti
di transito necessari ai neutrini prodotti per arrivare fino a noi.
Il meccanismo
nucleare che permette al Sole di vivere e risplendere è in questo modo pienamente
svelato, e l’antica domanda sul perché il Sole brilla ha ormai una risposta assolutamente
inequivocabile, di cui Borexino ha fornito l’ultimo fondamentale tassello: come
aveva ipotizzato per primo Arthur
Eddington nel 1920 è l’idrogeno, i cui protoni si fondono, a costituire il
combustibile che bruciando nella fusione nucleare alimenta il motore della nostra
e delle altre stelle ad essa simili.
Ma Borexino ha fatto
anche di più, ha consentito di verificare, confrontando il flusso di neutrini
con quello di fotoni, l’assoluta stabilità della fornace nucleare solare negli
ultimi centomila anni. Questo, infatti, è il tempo che impiegano i fotoni
prodotti dalle reazioni nucleari nella profondità del Sole a emergere fino alla
sua superficie a causa dei molteplici effetti di interazione con il plasma
solare. I neutrini invece no, sono messaggeri che fuoriescono subito dal nocciolo
solare pressoché indisturbati, in virtù della loro assoluta refrattarietà a interagire
con qualunque forma di materia. Quindi la duplice scansione temporale dei
neutrini e dei fotoni consente, appunto, dal confronto dei rispettivi flussi di
dedurre la stazionarietà del funzionamento del Sole negli ultimi 100 mila anni.
Va, inoltre, sottolineata
l’implicazione della misura effettuata anche per ciò che concerne il ben noto
fenomeno delle oscillazioni di neutrino: il valore del flusso dei neutrini
dalla reazione protone-protone, confrontato con le previsioni del Modello Solare
relativamente al loro tasso di produzione atteso, ha consentito a Borexino di dimostrare,
anche qui con assoluta certezza, che i neutrini di così bassa energia subiscono
nel tragitto Sole-Terra la trasformazione esattamente come prevista dalle cosiddette
“oscillazioni nel vuoto”.
Data la sua grande
rilevanza, il risultato appena annunciato da Borexino ha segnato un altro
grande successo per la fisica delle particelle italiana, che vede così
ulteriormente confermato il suo ruolo di avanguardia nel panorama mondiale
della ricerca fondamentale più innovativa.
I prossimi passi
Il percorso scientifico
di Borexino non finisce qui, ma è destinato a continuare ancora per alcuni anni.
Il prossimo ambizioso obiettivo nell’indagine solare è quello di rilevare i
flussi di neutrini provenienti anche dal ciclo Carbonio-Azoto-Ossigeno (CNO), che, sebbene rappresenti solo l’1%
dell’energia solare, mentre il restante 99% è prodotto appunto dalla catena
primaria protone-protone, ha un interesse astrofisico notevolissimo, in quanto
si ritiene sia il meccanismo dominante nelle stelle massive, cioè quelle con
una massa più di una volta e mezza quella del Sole.
La misura del CNO è
anch’essa difficilissima, al pari e forse più di quella appena conclusa, ma se
condotta a termine il suo impatto astrofisico sarebbe enorme.
Aspettiamo perciò con
fiducia, per gli anni futuri, ulteriori notizie sulle viscere del Sole che
verranno dalle profondità del Gran Sasso.