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In Europa c’è il caldo, molto, c’è qualche temporale e c’è sempre il SARS-CoV-2 che in parecchi paesi si dà da fare più di quanto si potesse sperare.
Il 25 Luglio il ministro della Sanità francese, Olivier Véran, avvertiva [1] che i nuovi casi di positività avevano ripreso a salire e si era ritornati indietro di due mesi al livello degli ultimi giorni del confinamento a metà maggio: differenza non trascurabile, allora il livello era in discesa e in luglio era in salita, e ha raggiunto in agosto tra i 1000 e i 1300 casi giornalieri. La mappa consolidata più recente [2], per la settimana dal 20 al 26 luglio, mostra che in una ventina di dipartimenti (sul totale di 96) della Francia metropolitana era superata la “soglia di vigilanza” di incidenza settimanale cumulata di casi positivi, fissata a 10 casi per 100,000 abitanti. In un dipartimento, la Mayenne situata al Nord-Ovest (circa 300,000 abitanti, capoluogo Laval) era stata superata anche la “soglia di allerta” di 50 casi e un’epidemiologa del servizio ministeriale Santé Publique France riferiva: “Non arriviamo più a rintracciare sistematicamente le catene di trasmissione nel quadro di indagine di due ‘clusters’, ciò che rappresenta un segno di diffusione dell’epidemia in seno alla popolazione generale”, ovvero il segno che il dispositivo di controllo della fase 2 è localmente inefficace. Sull’insieme del territorio già dalla settimana precedente [3] l’indice di accelerazione (numero riproduttivo) dell’epidemia R(t) registrava un valore puntuale di 1.29, che implica che 10 persone infette mediamente ne infettino 13 e in 10 delle 13 regioni francesi R(t) risultava superiore al valore soglia di 1. Per effetto di questa accelerazione nei primi giorni di agosto l’incidenza in Francia di nuovi casi cumulati su sette giorni per 100,000 è stimabile a circa 13, superiore alla “soglia di vigilanza”, accompagnata da un accenno di ripresa delle ospedalizzazioni, anche in rianimazione.
Per l’inizio di agosto le stime dei valori nazionali di R(t) e incidenza cumulata su sette giorni per 100,000 abitanti, basate sulle cifre prodotte dall’Istituto di Salute Globale dell’Università di Ginevra [4], risultano per la Svizzera rispettivamente di 1.15 e circa 12. Per la Spagna sono marcatamente peggiori: R(t) 1.30 e ~ 47. Per la Gran Bretagna il quadro è meno negativo R(t) = 1.11 e incidenza ~ 8, così come per la Germania che presenta un R(t) di 1.14 e un’incidenza di ~ 8. Per l’Italia R(t) è stimabile come leggermente superiore a 1 e l’undicesimo rapporto sul monitoraggio della fase 2 (Ministero della Salute- Istituto Superiore di Sanità) [5], relativo al periodo 20-26 luglio, lo indicava superiore a 1 in sei delle 21 regioni e province autonome ; più favorevole la bassa incidenza cumulata su sette giorni che risultava nello stesso periodo di 2.67 ed è ora stimabile intorno a 3 (con numero di tamponi che, tenendo conto dei tamponi ripetuti sulle stesse persone, si può considerare adeguato a identificare i nuovi casi nella popolazione).
Se i segnali di ripresa epidemica, in particolare il fatto che i valori puntuali di R(t) risultano in tutti i paesi citati superiori a 1, debbano o meno essere etichettati come “inizio della seconda ondata” è una questione bizantina mentre sono concrete almeno tre questioni di attualità.
- Vacanze delle misure di controllo? Le condizioni delle vacanze di massa spingono oggettivamente a temporaneamente sospendere o quasi, nei comportamenti individuali e collettivi e nelle situazioni in cui le persone vengono inevitabilmente a trovarsi, le misure di controllo attualmente in corso dell’epidemia, rammentate centinaia di volte (distanziamento fisico, gesti barriera, uso di maschere, igiene delle mani e limitazione delle aggregazioni numerose). Autorità e organizzazioni si trovano prese tra la pressione verso questa sospensione per favorire vacanze e turismo senza alcun intralcio e la tendenza all’accelerazione dell’epidemia: l’esempio delle ferrovie francesi e italiane è emblematico. Il sito delle ferrovie francesi [6] ha una sezione ampia, ben presentata e dettagliata sulle multiple precauzioni contro il virus concernenti i sistemi di aria condizionata, la disinfezione dei vagoni, l’obbligo di maschere a bordo etc., ma poche parole introdotte da qualche settimana rendono il tutto quasi nullo: “Per permettere a tutti di viaggiare questa estate tutti i posti a bordo dei nostri treni possono ormai essere occupati”, ovvero una misura-chiave, il distanziamento fisico, è soppressa. Le ferrovie italiane si sono mosse qualche giorno fa nello stesso senso, ma l’ordinanza del Ministro della Sanità ha opportunamente bloccato la decisione. Allo stato attuale delle conoscenze non c’è posto per sospensioni delle misure in vigore che spingerebbero in aumento la circolazione del virus e, proporzionalmente, i nuovi casi di Covid-19.
In breve: andare in vacanza sì, andare sotto il livello delle misure di controllo attuali no.
- Sono necessari quattro elementi, “4 T”. Insieme alle misure dirette di contenimento il “contact-tracing”, sintetizzato nella formula dei “3 T” (track, test, treat; (rin)tracciare, testare, trattare) è il secondo braccio indispensabile del controllo di fase 2 dell’epidemia. La formula è incisiva ma gravemente incompleta, perché manca l’indicazione esplicita del quarto elemento, di fatto il più importante: “timely”, “tempestivamente”, condizione critica perché gli altri tre non si risolvano in un esercizio futile. È un problema reale e centrale in più di un paese, soprattutto perché non sono ancora disponibili su vasta scala dei test rapidi per la presenza del virus, con caratteristiche di alta sensibilità e specificità. Se tra il prelievo nasofaringeo in una persona sintomatica sospetta di essere portatrice del virus e la risposta del test qRT-PCR intercorre, come può accadere, una settimana l’utilità epidemiologica ai fini del controllo della propagazione del virus dell’insieme delle operazioni di identificazione e isolamento del caso e rintraccio e isolamento dei contatti è vanificata: in una settimana la persona infetta avrà mediamente già trasmesso l’infezione a 2-3 altre persone. A esempio, in Francia è stato riferito [1] che l’80% delle risposte del test è disponibile entro le trentasei ore, che peraltro dovrebbe orientativamente essere il limite per tutto l’insieme delle operazioni: ma evidenze aneddotiche da medici di famiglia che incontrano nelle loro località l’ostacolo della scarsità di laboratori disponibili lasciano presumere che ci siano non rare situazioni con abituali ritardi più marcati. Similmente in Svizzera Matthias Egger, l’epidemiologo a capo della “Task force” Covid-19 aveva apertamente criticato [7] modi e soprattutto tempi di rilasciamento del “lockdown” argomentando che il paese non disponeva ancora di una copertura adeguata e uniforme per l’identificazione e interruzione via isolamento delle catene di trasmissione del virus. Non è azzardato pensare che nei paesi in cui si manifestano segnali di ripresa dell’epidemia una causa siano delle insufficienze locali più o meno diffuse del dispositivo “4 T”, in particolare per quanto riguarda i tempi di reazione. La capacità di testare rapidamente, con i test disponibili e/o altri in arrivo, è la condizione principale affinché con il moltiplicarsi in autunno dei casi sintomatici di altre patologie respiratorie la diagnostica clinica ed epidemiologica di Covid-19 non divenga problematica.
In breve: una strategia efficace richiede “4 T” e occorre usare questi mesi per potenziare le capacità di analisi rapide per la presenza del SARS-Cov-2.
- Infezione e malattia. Questo è un punto su cui, come ho già avuto occasione di notare [8,9], trovo strana la quasi totale mancanza di risposte non pretendo complete e solide ma almeno in parte basate su buone evidenze. L’ipotesi che l’infezione col SARS-CoV-2 produca oggi forme cliniche meno gravi che nei primi mesi dell’epidemia è “a priori” un’ ipotesi scientifica ragionevole anche se può essere solo il frutto di una impressione, essendo i casi gravi diluiti tra un numero di casi meno gravi identificati con l’aumento del numero dei test ; ma potrebbe anche trattarsi di una più precoce e complessivamente migliore presa in carico dei pazienti o, teoricamente, di una diminuzione della aggressività del virus. Sfortunatamente e malgrado il gran numero di pazienti osservati non ci sono tuttora evidenze da studi di qualità che supportino l’ipotesi, che peraltro viene di tanto in tanto sbandierata con toni perentori e propagandistici sui media, contribuendo di fatto alla disinformazione sulla Covid-19. D’altro canto la questione specifica della letalità della Covid-19 è tuttora essenzialmente trattata in termini di due statistiche, la CFR (Case Fatality Ratio) e l’IFR (Infection Fatality Ratio) che sono formalmente dei rischi di decesso per Covid-19 durante tutta la durata dell’episodio epidemico (più o meno arbitrariamente fissata) ma sono di fatto “rischi mal definiti” perché nel CFR i casi come notificati generalmente includono una quota di asintomatici, quindi non si tratta solo di casi clinici, mentre nell’IFR le persone positive all’infezione non sono tutte le persone positive presenti nella popolazione ma quelle risultate positive tra quelle testate con criteri variabili e spesso mal definiti di selezione. Con queste caratteristiche non è sorprendente che la CFR vari di due ordini di grandezza tra lo 0.05 % di decessi a Singapore e il 14% in Italia e il 15% in Gran Bretagna, con un valore di circa 4% su scala mondiale globale. Chiaramente statistiche con queste limitazioni si prestano male sia a comparazioni non grossolane tra paesi o località sia a comparazioni nel tempo, come quelle necessarie per esplorare la questione della possibile variazione di gravità della Covid-19 col passare del tempo. Solo delle analisi di sopravvivenza di coorti di pazienti possono rispondere correttamente a queste domande.
In breve: occorrono sollecitamente studi metodologicamente rigorosi della sopravvivenza e decorso clinico di coorti di pazienti con Covid-19.
Buone vacanze, ma senza nessuna vacanza per le misure di controllo del virus: è anche questa la “nuova normalità “.