C’è vita anzi c’è un intero ecosistema sotto i ghiacci del Polo Sud a
dimostrazione che la vita può esistere anche in luoghi estremamente
freddi e bui. La conferma arriva dal progetto internazionale WISSARD che ha trovato nel lago Whillans, a circa 800 metri sotto i ghiacci del Polo
Sud, un intero ecosistema composto da oltre 4mila specie di
microrganismi capaci di nutrirsi di sedimenti e di elementi rilasciati
dallo scioglimento dei ghiacci.
In un millilitro di acqua proveniente dal lago sono
presenti 130.000 cellule, una concentrazione analoga a quella misurata nelle
profondità oceaniche.
Le cellule vivono e si riproducono in una condizione
ambientale così estrema, perché hanno escogitato sistemi non convenzionali per
la vita sulla terra. Perfino gli altri microorganismi estremofili già noti e
presenti in Antartide sono diversi dai batteri del lago, pur essendo anch'essi
capaci di vivere a basse temperature e con un'esposizione stagionale alla luce.
La scoperta è stata illustrata su Nature e finanziata dalle statunitensi National Science Foundation, NASA,
NOAA, e Gordon and Betty Moore Foundation, e dai fondi italiani del Programma
Nazionale Ricerche in Antartide (PNRA).
I due decenni di studi che hanno portato alla luce la
fitta rete di acque al di sotto della calotta Antartica - si parla di circa 400
laghi - ha indotto un gruppo di studiosi americani, inglesi e italiani a
spingersi in profondità per andare a vedere cosa nascondessero i ghiacci, in un
territorio vergine e mai toccato dall'uomo.
Proprio l'intervento dell'uomo poteva costituire però un
problema per questa ricerca: “la contaminazione dei campioni di acqua
sotterranea e sedimenti in fase di prelievo con batteri o sostanze normalmente
presenti nell'atmosfera, avrebbe invalidato le successive misurazioni”, ha
spiegato Carlo
Barbante, dell’Istituto per la dinamica dei processi ambientali
del Consiglio nazionale delle ricerche (IDPA-CNR)e dell’Università Ca’ Foscari
di Venezia.
Per questo è stato necessario usare una tecnologia
innovativa e mai usata precedentemente: la perforazione è infatti avvenuta con
acqua calda, resa sterile con fasci di raggi UV.
La procedura di sterilizzazione e la presenza in loco
dei nostri connazionali per prendere tutte le precauzioni sono state
fondamentali nell'assicurare il corretto svolgimento delle operazioni di
campionamento.
“La
delicatezza dell'operazione” ha aggiunto Barbante, “era legata anche alla
natura stessa dei campioni, a noi sconosciuti sia per il tipo di matrice in cui
vivono sia dal punto di vista chimico e biologico”.
Lo studio dei batteri ha rivelato che questi
microorganismi hanno escogitato processi chimici particolari per dotarsi
di una fonte di energia per vivere: per
cibarsi trasformano minerali di ferro e di composti sulfurei che derivano dal
sedimento, tramite reazioni di ossido-riduzione o ossidazione dell'ammonio
presente nell'acqua.
L'analisi dell'ambiente da cui questi microorganismi
traggono il loro sostentamento si è svolto grazie al team veneziano: “nel
nostro laboratorio siamo stati in grado di misurare la composizione chimica
dell'acqua fino a concentrazioni picomolari, evidenziando la presenza del ferro
o di altre molecole chimiche più complesse”, ha detto Barbante aggiungendo che
l'Università ed il CNR stanno puntando molto su questo tipo di ricerche, grazie
all'espansione di camere bianche a contaminazione controllata per lavorare in
completa assenza di polvere.
La ricerca ha permesso inoltre di evidenziare che sulla Terra ci sono organismi che hanno subito evoluzioni particolari e inedite. “Il fatto di provare la presenza di queste forme di vita, così diverse rispetto a quelle finora conosciute, ci permette di immaginare la presenza di forme analoghe anche su altri pianeti,” ha concluso Barbante. “È stato ad esempio dimostrato che Marte ed Europa potrebbero avere calotte di ghiaccio molto simili a quelle Antartiche che potrebbero quindi ospitare microorganismi analoghi a quelli appena scoperti”.