fbpx Consumi e ambiente in Europa | Scienza in rete

Consumi e ambiente in Europa

Primary tabs

Read time: 4 mins

In Europa crescono i consumi? A pagarne i prezzi più alti è l'ambiente. È quanto emerge dall'European environment – state and outlook 2010, rapporto a cura dell'Agenzia europea dell'ambiente (Eea). La sezione del documento intitolata "Consumption and the environment" affronta il problema dell'aumento dei consumi in relazione alle pressioni ambientali che esso comporta: pressioni sia di tipo diretto – come quelle dovute all'impiego di combustibili fossili per il trasporto privato e per il riscaldamento domestico – sia di tipo indiretto – in quanto è proprio la domanda sul mercato a influenzare l'intera catena di produzione di beni e servizi.

Stando a quanto rivela il rapporto, sono soprattutto i consumi in generi alimentari, quelli legati all'edilizia e quelli dovuti alla mobilità a pesare maggiormente sull'ecosistema. In questi tre campi gli Europei spendono di più. Ma non è tutto: il loro primato rimarrebbe tale anche a parità di spesa. Infatti un euro registrato sotto una di queste voci determina una pressione ambientale maggiore in confronto a un euro speso in altro modo. Immediatamente alle loro spalle si piazza il turismo.

Cibo e bevande

Se consideriamo l’analisi del ciclo di vita dei prodotti che ogni giorno troviamo sulla nostra tavola, questa comprende alcune tappe ognuna delle quali incide, seppur in maniera differente, sull’inquinamento ambientale. Il consumo di cibo e bevande è responsabile del 15% delle emissioni di gas serra e, fra le categorie di impatto dovute al consumo, contribuisce al 20-30% dell’inquinamento ambientale in Europa. La produzione agricola è senza dubbio la fase che pesa in misura maggiore, seguita poi dai processi industriali. Un'analisi delle abitudini alimentari degli europei indica che carne e formaggio sono i prodotti che più spesso si trovano sulle loro tavole. Proprio quegli alimenti che hanno un’impronta ecologica più grande. Altri fattori che incidono sull’ambiente sono il dispendioso uso di acqua in regioni che soffrono di siccità, il sovrasfruttamento della pesca e l’elevata quantità di alimenti che ogni giorno finiscono nella spazzatura, perché scaduti o non consumati.

Casa

Le utenze domestiche costituiscono, da sole, il 40% del dispendio totale di energia in Europa. Ma non bisogna trascurare l'inquinamento provocato dalla costruzione dei fabbricati, che corrisponde a un quinto dell'impatto ambientale legato all'abitare. Dall'estrazione di minerali e metalli alla loro lavorazione per ottenere il cemento, alla produzione di mattoni, travi, finestre, alla vera e propria realizzazione dell'immobile, l'impiego di energia è elevatissimo. Non solo: tutte queste attività presuppongono sfruttamento del suolo, utilizzo di acqua, legno, plastica. E si traducono in emissione di sostanze tossiche, gas serra, rifiuti inquinanti. Riciclare i materiali di scarto non è sufficiente: in Danimarca, dove si ricicla il 90% degli scarti, solo il 6% dei materiali utilizzati per le nuove costruzioni è di recupero. Nel momento in cui abitiamo la nostra casa, ai consumi si aggiunge la manutenzione, che richiederà ancora materie prime. Infine, quando l'edificio sarà demolito, questa operazione presupporrà a sua volta energia e comporterà l'inquinamento dell'aria, dell'acqua e del suolo.

Trasporti

Il numero di chilometri percorsi dai cittadini europei è cresciuto del 20% tra il 1995 e il 2007. L’aumento riguarda principalmente i mezzi ad alto impatto ambientale: l’aereo e l’automobile. Nel 2007 venivano percorsi in macchina il 72% dei chilometri totali; rispetto al 1990 il numero di veicoli circolanti era aumentato del 35%: in media 419 macchine ogni 1.000 abitanti. Le proiezioni indicano un aumento della domanda di trasporto passeggeri del 30% entro il 2030, specialmente per i mezzi ad alta emissione di CO2. Carburanti più efficienti e nuove tecnologie non saranno sufficienti a sostenere la richiesta mantenendo le emissioni sotto i livelli di guardia. Sono necessarie politiche che contengano la pressione ambientale dei trasporti, attraverso la riorganizzazione mirata dei piani urbanistici cittadini e regionali, la promozione di veicoli più “puliti” e gli incentivi ad usare mezzi più sostenibili. Secondo la Commissione Europea entro il 2050, se agiremo in maniera decisa su questi tre fronti, potremo ridurre le emissioni di gas serra dell’89% rispetto ai livelli del 1990.

Turismo

Un’altra categoria che contribuisce all’inquinamento globale è il turismo. E lo fa prevalentemente con i mezzi usati per viaggiare, che incidono con un 8% sull’emissione di gas serra. I più inquinanti sono senza dubbio automobile e aereo. Ma a pesare sul bilancio sono anche infrastrutture e attrazioni. Ad esempio le piscine, i campi da golf e la neve artificiale degli impianti sciistici, richiedono elevate quantità di energia e acqua.

Per ridurre l'impatto ambientale dei consumi il documento analizza quattro linee di azione principali:

  • Rafforzare le politiche ambientali attraverso diversi strumenti integrati. Incentivi economici e tasse legate al consumo o alla produzione di rifiuti. Regolamentazioni per favorire una produzione più green e campagne di informazione e sensibilizzazione.
  • Gestire efficacemente le risorse naturali: acqua, terra, biodiversità. Scegliere i beni e i servizi più sostenibili all'interno di ciascun settore. Privilegiare i settori più sostenibili.
  • Integrare considerazioni ecologiche nei diversi ambiti politici, promuovendo una visione ampia e coerente tre le aree in gioco: ambiente, cambiamenti climatici, energia, economia, industria, agricoltura, trasporto, educazione e salute.
  • Sostenere la green economy, rendendo più attraenti le alternative sostenibili e aumentando la consapevolezza dei consumatori. Più ambiziosa è l'idea di una riforma fiscale ambientale. Tassare non più il lavoro, ma l'uso delle risorse e l'impatto ambientale.

I governi hanno un ruolo cruciale, ma altrettanto importante è il contributo di aziende e cittadini. Il “Triangolo del cambiamento” si basa sul fatto che né le imprese, né le singole persone, né le autorità sono in grado di risolvere il problema da sole. Possono però riuscirci insieme, ognuno facendo la propria parte.



HideArticoli correlati

Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Terre rare: l’oro di Pechino che tutti vogliono

miniera californiana di Mountain Pass

Il trattato USA-Ucraina appena sancito rivela quanto urgente sia la necessità di dotarsi di minerali critici, fra cui le 17 terre rare, per la transizione digitale ed elettrica. In realtà tutti sono all'inseguimento della Cina, che produce il 70% di questi metalli e l'85% degli impianti di raffinazione e purificazione. Questo spiega una serie di ordini esecutivi di Trump e le nuove politiche di Giappone, Australia ed Europa, e forse anche la guerra in Ucraina. Non più tanto le fonti fossili quanto le terre rare sono diventate materia di sicurezza nazionale. Ovunque si riaprono miniere, anche in Italia. Ma essendo difficili da estrarre e purificare si punta anche al riciclo e alla ricerca per mettere a punto le tecnologie di recupero più economiche e sostenibili. Ma come ha fatto la Cina ad acquisire una tale supremazia? E che cosa stanno facendo gli altri?

Nell'immagine la storica miniera californiana di Mountain Pass, TMY350/WIKIMEDIA COMMONS (CC BY-SA 4.0)

C’era una volta, negli anni Novanta del secolo scorso, un mondo con due potenze in sostanziale equilibrio nella produzione di terre rare: Stati Uniti (33%) e Cina (38%), seguiti da Australia (12%), India a e Malesia per il 5% ciascuna e le briciole ad altri paesi. Ora non è più così.