Quella che ha destato più sospetti è forse l’e-mail battuta al computer nel 1999 da Phil Jones, ricercatore della Climate Research Unit della University of East Anglia di Norwich, al suo collega americano Michael Mann, della Pennsylvania State University: ho utilizzato un “trick” – scriveva ‘inglese – per nascondere la diminuzione registrata in alcune serie di temperature.
Ma si è parlato molto anche di quell’altra e-mai, scritta molto più di recente – meno di due mesi fa – Kevin Trenberth, in cui il ricercatore americano a capo della Climate Analysis Section del National Center for Atmospheric Research di Boulder, in Colorado, riconosceva non solo che «in questo momento non siamo in grado di spiegare la mancanza di aumento della temperatura e affermare il contrario è una finzione che non possiamo permetterci», ma anche che «our observing system is inadeguate»: il nostro sistema di osservazione è inadeguato.
Insomma, sta destando molto rumore sui media il pacchetto di circa mille e-mail e tremila documenti rubati meno di un mese fa da un hacker sconosciuto – qualcuno sospetta addirittura i servizi segreti russi – alla memoria dei computer della Climate Research Unit della University of East Anglia.
La notizia data a fine novembre dal New York Times e rimbalzata sui media di tutto il mondo nasce dal fatto che alcune di queste e-mail (quattro le più “sospette”) sembrano confezionate da persone che hanno censurato o addirittura manipolato i dati che non corroborano l’ipotesi del cambiamento climatico in atto. E dal fatto che gli autori di queste e-mail sono noti esperti che lavorano in centri di ricerca molto accreditati, sulle cui analisi si basano sia la conoscenza consolidata sia la politica del clima.
A vertice di Copenaghen aperto, la notizia ha ridato fiato agli “scettici”: sono la prova evidente – dicono – che gli scienziati hanno aggiustato i dati per accreditare l’idea che il clima del pianeta Terra stia cambiando e che il mutamento sia causato soprattutto da attività umane. Negli Stati Uniti il senatore repubblicano dell’Oklahoma, James Inhofe, ha chiesto una commissione d’inchiesta del Congresso per accertare se il cambiamento del clima globale di cui stanno discutendo i rappresentanti di quasi 200 paesi a COOP-2009, la quindicesima Conferenza delle Parti che hanno sottoscritto la Convenzione delle Nazioni Unite a Copenaghen, non sia una bufala inventata a tavolino da scienziati malati di protagonismo e alla ricerca di lauti finanziamenti.
Malgrado le attese degli “scettici” la notizia non sembra stia avendo un’influenza visibile sui negoziati di Copenaghen. Giustamente. Per due ragioni. Sia perché le e-mail sono molto più innocenti di quanto appaia e si vuol far credere. Nelle conversazioni private gli scienziati, come è ovvio che sia, esprimono giudizi e utilizzano parole molto diverse da quelle usate nelle comunicazioni pubbliche e ufficiali. La parola “trick” usata tra scienziati può avere un significato molto diverso da truffa: può semplicemente significare aver prestato attenzione a tutti i fattori che rendono “sporco” e quindi poco significativo un dato. Quanto a riconoscere di non riuscire a dare una spiegazione, beh questa è prassi comune nel corso di una ricerca.
Quindi al di là dei problemi del comportamento “in privato” degli scienziati (su cui Scienzainrete ritornerà) restano alcuni dati di fondo.
I cambiamenti del clima in atto non sono accreditati solo dai dati della Climate Research Unit della University of East Anglia. Sono il frutto di ricerche, per lo più indipendenti le une dalle altre, che si basano su alcuni pilastri ormai pressoché inoppugnabili e tra loro congruenti:
- la temperatura media alla superficie del pianeta è aumentata rispetto all’era pre-industriale (di circa 0,7 °C);
- il livello dei mari è aumentato di circa 17 centimetri;
- la massa dei ghiacci in Groenlandia e, a quanto pare, in Antartide sta diminuendo;
- l’estensione nello spazio e nel tempo dei ghiacci nell’Oceano Artico è diminuita);
- l’estensione e la massa dei ghiacciai alpini in molti sistemo montuosi del mondo sono diminuite.
Tutto ciò rende difficile da contestare l’affermazione che è in atto un processo di cambiamento rapido e importante del clima. Tanto più che essa è accompagnata dall’aumento in atmosfera della concentrazione di alcune sostanze (biossido di carbonio, metano, protossido di azoto, clorofluorocarburi) che hanno un “effetto serra”. La concentrazione di tutte queste sostanze è la più alta registrata nelle ultime migliaia e forse centinaia di migliaia di anni.
Fin qui i dati empirici, pressoché incontrovertibili. Altra questione è stabilire la causa dell’accelerazione della dinamica del clima. I fattori in gioco possono essere molti – da quelli “extraterrestri” (variazione della radiazione solare in arrivo, variazione del flusso di raggi cosmici) a quelli “terrestri” (attività vulcanica). Ma la gran parte degli esperti – ivi inclusi quelli dell’Intergovernmental Panel on Climate Change – ritiene che la dinamica di tutti i fattori naturali di questi ultimi due secoli non sia in grado di spiegare i cambiamenti del clima registrati. E che bisogna tenere in conto la causa “antropica”: in primo luogo, le crescenti emissioni di gas serra in atmosfera conseguenti ad alcune attività umane (uso dei combustibili fossili, deforestazione, alcune pratiche agricole).
Questo è lo scenario proposto dalla ricerca sul clima. E non possono modificarlo in alcun modo poche e-mail rubate a qualcuno, come rileva Nature in un recente editoriale.
Tuttavia il «giallo delle e-mail» non può risolversi con questa constatazione. Occorre che la comunità scientifica ne tragga una piccola lezione. Gli scienziati – soprattutto quando si occupa di questioni di così grande impatto sociale – devono mostrare la piena e totale adesione a uno dei valori fondanti della scienza moderna: la completa trasparenza. I risultati della ricerca e i metodi utilizzati devono essere sempre e integralmente accessibili a tutti. Anche i problemi, le contraddizioni, i nodi non sciolti devono essere resi espliciti.
Nell’ambito della ricerca sul clima questo principio della “massima trasparenza” è già sostanzialmente rispettato. Sia l’IPCC, sia la NOAA (l’agenzia specializzata degli Stati Uniti), mettono a disposizione di tutti, tutti i dati. Accessibili via internet. Ma nel nostro caso occorre uno sforzo in più. Visto che in gioco, come ci ricorda Copenaghen, è la politica di sviluppo dell’intera umanità, occorre un’aggiunta di trasparenza. Che potrebbe incarnarsi in una commissione d’inchiesta indipendente che indaghi sul «giallo delle e-mail» di cui facciano parte anche alcuni tra gli scienziati “scettici” sull’origine antropica dei cambiamenti climatici.
Il tema dei cambiamenti climatici è troppo importante perché sia avvolto in una nebbia, anche la più tenue, di sospetto. E il miglior modo per diradare i sospetti è la “trasparenza totale”.