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Fine vita: i medici non tollerino interventi futili

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Quali erano davvero le condizioni di salute della signora Eluana Englaro quando i suoi medici hanno deciso di sospendere alimentazione e idratazione? E perché tanti - bioetici, gente di Chiesa e perfino medici - sono del parere che alimentazione e idratazione non si debbano sospendere mai, nemmeno in chi è in stato vegetativo? Si è detto e scritto  che sospendere alimentazione e idratazione  in chi è in stato vegetativo è una forma di eutanasia. E persone anche molto autorevoli che ricoprono ruoli di primo piano nella vita pubblica  del nostro paese e nella Chiesa hanno parlato di crimine. E c'è stato perfino chi ha detto che Eluana è stata uccisa da una sentenza.

E' proprio così? Per rispondere è necessario riferirsi alle conoscenze della letteratura medica sugli stati vegetativi. Chi vive in stato vegetativo è sveglio, apre e chiude gli occhi ma non ha nessuna coscienza di sé e dell'ambiente. Questo stato può durare giorni, settimane o anche qualche mese. Si chiama stato vegetativo persistente. Non è irreversibile, anzi, dopo un po' qualcuno riprende. Apre gli occhi non più a caso, in risposta a degli stimoli. Comincia ad esserci qualche forma di coscienza, magari minima, ma c'è. Questi ammalati possono essere confusi, non ricordare il proprio nome, non sapere dove si trovano, ma la percezione di sé e dell'ambiente almeno un pochino ce l'hanno. E se si proseguono le cure i giovani possono perfino raggiungere un certo grado di indipendenza. Se però dopo un trauma uno resta in stato vegetativo per dodici mesi allora lo stato vegetativo si chiama permanente. Questa condizione è senza ritorno. La definizione di Lancet Neurology che deriva dalla analisi di tutta la letteratura medica disponibile non lascia dubbi "Stato vegetativo persistente" è quando si rimane in stato vegetativo per almeno un mese e non è irreversibile. "Stato vegetativo permanente" è quando lo stato vegetativo permane per dodici mesi. Lo "stato vegetativo permanente " è irreversibile, sempre.

Ci sono  altre due condizioni vicine allo stato vegetativo permanente ben codificate dalla letteratura medica, uno è lo stato di minima coscienza, questi ammalati non sono in stato vegetativo perché hanno una  minima coscienza di sé e dell'ambiente. Sanno eseguire comandi semplici, rispondere sì o no (non importa che la risposta sia appropriata o meno) e hanno dei movimenti in rapporto a stimoli ambientali che non sono frutto di attività riflessa. Pazienti in stato di minima coscienza  possono restare così per sempre. E c'è un'altra  condizione  vicina allo stato vegetativo ma  ben distinta i medici la chiamano "locked-in syndrome" sono pazienti che non muovono nessuno dei quattro arti perché le vie corticospinali e corticobulbari sono interrotte. Aprono e chiudono gli occhi, hanno qualche coscienza dell'ambiente ma  non parlano e si fanno capire per quello che è possibile (sì o no per esempio) col movimento degli occhi,  che è per loro l'unica possibilità per comunicare. Nei giorni in cui giornali e televisione hanno discusso in lungo e in largo della vicenda Englaro si è letto di ammalati in stato vegetativo che avevano forme di coscienza e reazioni a  vari stimoli  e che percepivano  le manifestazioni d'affetto di cui erano circondati.

Queste descrizioni hanno suscitato emotività. Molti di quelli che pensano che non si debba sospendere mai alimentazione e idratazione in chi è in stato vegetativo basano le loro convinzioni su casi così. In realtà gli ammalati di cui hanno parlato giornali e televisione non sono in alcun modo paragonabili alla signora Englaro. Erano ammalati in stato di minima coscienza o con locked-in syndrome, condizioni molto diverse dallo stato vegetativo permanente.

Terri Schiavo è rimasta in stato vegetativo per 15 anni, poi s'è sospeso tutto, è morta e hanno fatto l'autopsia. Il suo cervello pesava 615 grammi, circa la metà del peso di un cervello normale. Non avrebbe mai potuto bere, né alimentarsi da sola  perché i centri nervosi che governano la deglutizione erano danneggiati in modo irreversibile. Apriva e chiudeva gli occhi ma non vedeva perché di centri nervosi della visione nel suo cervello non ce n'erano più. "Non ci  poteva essere nessuna forma di coscienza in quel cervello, né ci sarebbe mai potuta essere per quanto chiunque si fosse prodigato in tutti i modi possibili" ha dichiarato ai giornalisti del New York Times Martin Samuels grande neurologo di uno degli Ospedali di Harvard, alla fine del suo lavoro, "semplicemente non c'erano neuroni".

C'è un altro argomento: "in queste condizioni non si dovrebbe mai sospendere nutrizione e idratazione, fino alla fine naturale della vita perché interrompere la vita non è mai nel potere dell'uomo". Ma la fine naturale della vita di Eluana Englaro sarebbe stata il 18 gennaio 1992. Allora è stato sbagliato rianimarla? Assolutamente no. Dopo un trauma della strada se c'è anche solo una possibilità su centomila di farcela, si rianima ("resuscitation" dicono gli inglesi).

Per Eluana Englaro è stato così. Diciassette anni fa i medici che hanno deciso di rianimare Eluana l'hanno fatto con l'idea di poter recuperare almeno qualcosa del suo cervello. A decidere di rianimare  sono stati i medici,  per la stessa ragione dovrebbero essere i medici a decidere quando smettere. Con che criteri? Il criterio di nuovo è quello indicato dalla letteratura scientifica e riassunto da Lancet Neurology. Dodici mesi  dopo un danno al cervello  in seguito ad un trauma, l'unica evoluzione  possibile è la morte. Prima di sospendere le cure  si aspetta un anno proprio per dare  a questi ammalati  tutte le possibilità - anche se sono estremamente remote - di recuperare qualcuna delle funzioni del cervello. Ma se succede è entro un anno, dopo è tutto inutile. Alimentazione e idratazione possono aiutare a guarire e ridurre le sofferenze, ma non è sempre e per forza così.

Ci sono casi in cui farlo è inappropriato perché si aumentano le sofferenze anziché alleviarle. Sono interventi (la discussione sul fatto che siano atti medici o no è strumentale e ipocrita) comunque inappropriati per eccesso. Quello che è inappropriato, in medicina non va fatto mai se non altro perché le risorse che abbiamo a disposizione per curare gli ammalati sono finite, e vanno dedicate a chi può guarire o star meglio. Se c'è una possibilità su mille di farcela si deve fare tutto il possibile. Ma le cose futili no, non si devono fare.


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