E va bene. Magari il Vaticano non c’entra nulla. È che, come racconta questo sito, il nuovo film del regista Alejando Amenábar Ágora non uscirà in Italia perché i distributori (in maniera rigorosamente anonima) farebbero sapere che “a) hanno visto il film a Cannes e non lo hanno adorato. b) Pensano che al pubblico italiano interessi poco questa storia. c) Cosa importantissima, i produttori chiedono un sacco di soldi e i nostri distributori non credono affatto di poter recuperare l'investimento”.
Può essere. Ma il mistero rimane. Un film che racconta un personaggio affascinante e sconosciuto al grande pubblico, Ipazia, barbaramente uccisa ad Alessandria d’Egitto nel IV secolo a causa della, diciamo così, scarsa simpatia che suscitava nel locale vescovo Cirillo (dal 412 al 444) il suo approccio che oggi potremmo definire “laico”, sembra avere tutti gli ingredienti per interessare anche il pubblico italiano. Almeno quanto ha interessato quello spagnolo. La pellicola sta riscuotendo un certo successo fra il pubblico iberico (il primo weekend di ottobre, quando è uscita, ha sbancato i botteghini con quasi un milione di spettatori) e viene ancora programmata in questi giorni nelle sale delle grandi città. Oltretutto vanta la partecipazione di un’attrice bella e famosa come Rachel Weisz (l’attrice inglese premio Oscar per The Constant Gardener) e di attori meno famosi ma altrettanto belli: come l’inglese Max Minghella che interpreta il fascinoso schiavo Davo, liberato da Ipazia: dopo aver seguito le lezioni della filosofa ed essersene innamorato, da grande diventa cristiano e membro – anche se pieno di dubbi – dei parabolani, una setta di monaci, che nascono come barellieri e diventano una specie di braccio armato del vescovo della città fondata da Alessandro Magno: se non fossero cristiani, oggi li chiameremmo talebani.
Nelle intenzioni del regista non c’è quella di fare un film anticattolico: “è un film contro tutti i fondamentalismi”, ha infatti dichiarato più volte. Il periodo è quello a cavallo fra il IV e il V secolo, ed è un momento di grandi rivolgimenti e scontri fra pagani, ebrei e cristiani. I cristiani stavano passando dalla parte dei perseguitati a quella dei perseguitatori (pochi anni prima del 391, anno in cui si svolge la prima parte del film, l’imperatore Teodosio aveva trasformato la religione cristiana in religione di stato, di fatto proibendo ogni altro culto). L’impero romano, inoltre, si stava sgretolando: proprio alla morte di Teodosio, nel 395, risale la divisione tra pars orientalis e occidentalis, che porterà pochi decenni dopo alla caduta della parte occidentale. Gli esponenti della cultura antica, come Ipazia e suo padre Teone, filosofo e matematico, che fra l’altro era legato all’attività del Museo che gestiva la più grande biblioteca dell’antichità, veniva sempre più estromessa, anche in una città cosmopolita e colta come Alessandria. I sanguinosi scontri di quei difficili anni (potremmo parlare di veri e propri “scontri di civiltà” ante litteram) portano nel 391 alla distruzione per mano cristiana in circostanze storicamente mai ben chiarite del Serapeo della città, tempio e cuore della cultura pagana, dove la stessa Ipazia aveva insegnato.
Ipazia, come con ironia racconta questo post, doveva essere una vera rompiscatole per gli uomini del tempo. Evidentemente anche per molti uomini di oggi. Era nata intorno al 370 ed era una matematica, astronoma e filosofa coltissima, oltre che molto attraente (così pare, almeno). La sua fama si è conservata nei secoli, tanto che è l’unica donna che Raffaello ritrae nella sua Scuola di Atene, proprio nel cuore del Vaticano, nonché l’unica che guardi il pubblico. Ipazia godeva di una posizione sociale inusuale nel mondo greco romano. Scrive Cassiodoro Epifanio, nella sua Historia ecclesiastica tripartita che Ipazia era “tanto colta da emergere tra i filosofi suoi contemporanei, e da ricevere proprio lei la successione nella scuola platonica derivata da Plotino, così da tenere ella stessa tutte le lezioni filosofiche. Per questo motivo tutti accorrevano a lei a causa della sua autentica fedeltà professata nei confronti dell’antica dottrina. Infatti ella si prestava di buon grado anche a contraddittori e dispute senza alcun imbarazzo. Anzi, si mostrava anche in mezzo agli uomini, ma con tale riservatezza che tutti la stimavano e la rispettavano per la sua castità e integrità di costumi”.
L’influenza e il prestigio della filosofa erano tali che la maggior parte dei suoi discepoli si troverà a svolgere ruoli di primo piano nella vita politica e culturale della città: fra i suoi ex allievi troviamo molti vescovi e addirittura Oreste, prefetto cristiano della città nel 415. Fu lui a scontrarsi col vescovo Cirillo, dottore della Chiesa e miles Christi violento e autoritario. San Cirillo (festeggiato il 27 giugno) non esitò a cacciare gli ebrei dalla città nel 414 dopo aver scatenato una sanguinosa rappresaglia contro di loro. Naturalmente fu anche campione di intolleranza verso gli odiati pagani che difendevano una religione e costumi ormai fuori legge. La sua ambizione e i suoi metodi spicci, anche contro gli stessi cristiani che si opponevano alla sua visione filosofica (che risultò poi vincente nella chiesa) sull’unità della natura umana e divina di Cristo (sua è l’introduzione dell’espressione “madre di Dio” per Maria, al posto di “madre di Cristo”), e il suo tentativo di controllare il potere della città gli meritarono molti nemici.
Fu proprio a Cirillo e alla sua vigorosa campagna di difesa del cristianesimo che venne attribuita la responsabilità dell’orrendo assassinio (per squartamento mediante cocci appuntiti) di Ipazia nel 415, perpetrato da una folla di parabolani inferociti che la incolpavano di spingere Oreste a non “riconciliarsi” con Cirillo, dopo che questi aveva dichiarato martire un monaco condannato a morte per aver lanciato una pietra contro il prefetto, ferendolo gravemente. L’accusa usata da Cirillo contro Ipazia era quella, classica, di stregoneria, che tanta fortuna avrebbe avuto nei secoli a venire.
A Ipazia è dedicato, molto opportunamente, un progetto dell’Unesco per valorizzare il lavoro delle donne nell’astronomia. In effetti, benché non siano rimaste opere scritte dalla filosofa, fatte distruggere da Cirillo assieme a tutte le empie opere pagane (la scena del saccheggio della biblioteca di Alessandria, che il regista fa coincidere con la distruzione del Serapeo, è particolarmente impressionante), secondo tutte le testimonianze fu brillante sia come matematica che come astronoma. Suo papà, a scanso di equivoci, chiarisce nell’incipit del suo commentario a Tolomeo che il saggio era stato rivisto dalla figlia. Il che lascia intendere che era lei che aiutava lui, e non il viceversa, come qualcuno potrebbe essere portato a credere. Nel film la filosofa si spinge a ipotizzare orbite ellittiche per i pianeti, preconizzando un sistema eliocentrico (già ipotizzato da Aristarco di Samo). L’ipotesi di Ipazia anticipatrice di Keplero di 1300 anni è affascinante, ma improbabile: quelli erano gli anni in cui prendeva piede il modello tolemaico e in cui nessuno metteva in dubbio la circolarità delle orbite.
Ciò nondimeno il film è un omaggio alla scienza (“non mi ero mai interessato di scienza. Per me la cosa meravigliosa di questo progetto è stato entrare in contatto con la scienza in modo emozionale, spirituale”, dice Amenábar nel sito dedicato al film), oltre che a un personaggio “che ha usato la ragione ed è stato onesto con se stesso”.
“Ágora”, scrive ancora il regista sul sito, “è la storia di una donna, di una città, di una civiltà, di un pianeta. L’agorà è il pianeta su cui dobbiamo convivere tutti”. Ed è “una storia del passato su quello che sta succedendo oggi, uno specchio perché il pubblico guardi e osservi scoprendo che sorprendentemente il mondo non è poi cambiato tanto”. La ricostruzione storica è meticolosa e credibile, gli attori bravi, e il fanatismo e la fame di potere dei nuovi arrivati cristiani vengono ben raccontati. Certo, alcuni dialoghi scientifici fra Ipazia e i suoi studenti possono apparire un po’ lirici, celebrali e dunque poco credibili. Secondo alcuni critici spagnoli il film è un approfondito lavoro di ricerca, ma senza anima.
L’impressione è soprattutto che il film parli più alla nostra coscienza di occidentali del XXI secolo, con il nostro linguaggio, contrastando il pregiudizio che echeggia nelle nostre orecchie di chi pensa che una posizione laica o del tutto atea sia incapace di veicolare dei valori – basti pensare alle reazioni scomposte alla sentenza di Strasburgo sul crocefisso.
D’altra parte è proprio quello che ci si aspetta da un film: che racconti una storia interessante, che faccia riflettere, che ci sorprenda e ci emozioni. In ogni caso, tutte ottime ragioni per portare il film anche nel nostro paese. Se non altro, per poterlo criticare a ragion veduta.