fbpx Italia: pochi fondi per la biomedicina | Scienza in rete

Italia: pochi fondi per la biomedicina

Primary tabs

Read time: 3 mins

La spesa per la ricerca sanitaria in Italia nell'anno 2006 (ultimo con dati disponibili) ammontava a meno di 2 miliardi di euro. Pari a poco più di un decimo della spesa complessiva in ricerca scientifica (il 13,6%, per la precisione). Ciò significa che l'Italia destina  alla ricerca sanitaria appena lo 0,1% del Prodotto interno lordo: tre volte meno della Germania o della Gran Bretagna.

È questo il dato essenziale contenuto nell'Analisi del sistema di finanziamento della ricerca sanitaria in Italia elaborato da Fabrizio Tediosi, Amelia Compagni ed Elena Vuolo, tre studiosi del centro di Ricerche sulla Gestione dell'Assistenza Sanitaria e Sociale dell'Università bocconi di Milano, e pubblicata di recente a cura della medesima università.

L'analisi è molto più articolata, naturalmente. E i dati molto più ricchi. A fronte di un'oggettiva difficoltà a recuperarli. E già questo rende il nostro paese un po' atipico rispetto agli altri membri dell'Unione Europea.

Nella Tabella 1, qui sotto, è possibile identificare le varie fonti di spesa.

 

Tabella 1   Fonti di finanziamento per la ricerca sanitaria in Italia

Fonte

Finanziamento

(in milioni di euro)

% sul totale

 

 

 

Ministero della salute

301,0

16,0

AIFA

35,5

1,9

MIUR

166,0

8,8

Regioni

n.d.

n.d.

5x1.000

83,8

4,5

Totale Pubblico

586,3

31,2

 

 

 

Fondazioni bancarie

80,0

4,3

AIRC/FIRC

107,0

5,7

Telethon

33,5

1,8

LILT

3,2

0,2

FISM

3,0

0,2

Totale Privato No-profit

226,7

12,1

 

 

 

Imprese farmaceutiche

1.070,0

56,9

Totale Privato Profit

1070,0

56,9

A spendere di più in ricerca sanitaria sono le imprese private profit: in buona sostanza l'industria farmaceutica, che nel 2006 ha investito 1.070 milioni di euro, pari al 57% del totale. Non è chiara la provenienza originaria di questi fondi. Secondo il Global Forum for Health Research solo 185 milioni sono fondi davvero privati, tutto il resto (885 milioni) sono fondi pubblici spesi dalle imprese. Secondo Farmindustria, invece, il 93,5% della spesa è privata e solo il 6,5% è di origine pubblica.

Resta il fatto (si veda la Tabella 2) che le imprese italiane investono in ricerca sanitaria meno della metà delle imprese francesi, meno di un terzo delle imprese inglesi e un quarto delle imprese tedesche

Tabella 2   Finanziamenti alla ricerca sanitaria in alcuni paesi europei

 

Stato

Privato

No-profit

Privato

Profit

Totale

 

 

 

 

 

Italia

0,6

0,2

1,1

1,9

UK

1,2

0,6

3,5

5,3

Germania

2,5

 

4,0

6,5

Francia

2,6

 

2,5

5,1

Le imprese private no-profit hanno speso nel 2006 poco meno di 230 milioni di euro, pari al 12% degli investimenti totali in ricerca sanitaria. Non è poco. Tuttavia è un terzo rispetto alla Gran Bretagna.

Lo Stato, attraverso diverse fonti di finanziamento, ha investito poco meno di 600 milioni di euro: la metà rispetto agli investimenti pubblici inglesi, meno di un quarto rispetto agli investimenti pubblici francesi e tedeschi. Molti sono i limiti qualitativi di questi investimenti: per esempio, nel settore pubblico, ci sono troppe fonti poco coordinate tra loro. Ma il dato più eclatante è che nel complesso spendiamo molto meno degli altri per ciascuna fonte di spesa.

Eludendo, tra l'altro, la legge. Come scrivono i tre autori del rapporto, infatti,

tra l'anno 2000  e l'anno 2007 il finanziamento alla ricerca sanitaria in Italia ha rappresentato una quota variabile tra lo 0,21 e lo 0,34% dell'intera spesa del Sistema sanitario nazionale (Ssn). Mentre il Decreto legislativo n. 502 del 1992 di riordino della legge n. 421 del medesimo anno prevede una spesa in ricerca pari ad almeno l'1% della spesa Ssn.

Se attuiamo la legge recuperiamo il gap con Germania, Francia e Gran Bretagna e magari diventiamo (ma sarebbe più giusto dire ridiventiamo) competitivi in uno dei settori chiave dell'economia della conoscenza


Scienza in rete è un giornale senza pubblicità e aperto a tutti per garantire l’indipendenza dell’informazione e il diritto universale alla cittadinanza scientifica. Contribuisci a dar voce alla ricerca sostenendo Scienza in rete. In questo modo, potrai entrare a far parte della nostra comunità e condividere il nostro percorso. Clicca sul pulsante e scegli liberamente quanto donare! Anche una piccola somma è importante. Se vuoi fare una donazione ricorrente, ci consenti di programmare meglio il nostro lavoro e resti comunque libero di interromperla quando credi.


prossimo articolo

Perché ridiamo: capire la risata tra neuroscienze ed etologia

leone marino che si rotola

La risata ha origini antiche e un ruolo complesso, che il neuroscienziato Fausto Caruana e l’etologa Elisabetta Palagi esplorano, tra studi ed esperimenti, nel loro saggio Perché ridiamo. Alle origini del cervello sociale. Per formulare una teoria che, facendo chiarezza sugli errori di partenza dei tentativi passati di spiegare il riso, lo vede al centro della socialità, nostra e di altre specie

Ridere è un comportamento che mettiamo in atto ogni giorno, siano risate “di pancia” o sorrisi più o meno lievi. È anche un comportamento che ne ha attirato, di interesse: da parte di psicologi, linguisti, filosofi, antropologi, tutti a interrogarsi sul ruolo e sulle origini della risata. Ma, avvertono il neuroscienziato Fausto Caruana e l’etologa Elisabetta Palagi fin dalle prime pagine del loro libro, Perché ridiamo. Alle origini del cervello sociale (il Mulino, 2024):