Il tema della "scienza per l'Africa" è scomparsa dall'agenda del G8 che si terrà a L'Aquila tra l'8 e il 10 luglio, all'inizio della prossima settimana. E con il tema sembrano essere evaporate anche le promesse solennemente pronunciate dagli otto paesi più ricchi del pianeta in occasione del summit tenuto nel 2005 a Gleneagles, in Scozia.
La denuncia, rilanciata oggi dalla rivista Nature, avviene a opera del fisico sudanese Mohamed Hassan, direttore esecutivo dell'Academy of Sciences for the Developing World (TWAS) che ha sede a Trieste. Si trattava di promesse non da poco. Perché prevedevano investimenti per un totale di 3 miliardi di dollari per la costituzione in dieci anni di una rete di centri di ricerca scientifica e sviluppo tecnologico di eccellenza e di altri 500 milioni di dollari l'anno in dieci anni (per un totale dunque di 5 miliardi di dollari) per dare man forte alle università dell'Africa sub-sahariana e fare in modo che raggiungano standard di formazione e ricerca paragonabile a quello dei paesi a economia matura o a economia emergente.
Fino a oggi non è nato alcun centro di ricerca in Africa a opera del G8 né è stata trasferita dagli otto governi alcuna somma significativa per le università. E ora - anche a causa dell'annullamento senza spiegazioni del G8 sulla scienza che doveva aver luogo a Torino - il tema della "scienza per l'Africa" è definitivamente scomparso anche dall'agenda dei lavori che si svolgeranno a L'Aquila.
Si tratta di una scelta miope. Per molti motivi. Perché l'Africa ha enormi bisogni - dalla salute all'energia - ma anche enormi potenzialità: con 900 milioni di abitanti, la gran parte dei quali giovani, il continente potrebbe dare un enorme contributo di cervelli allo sviluppo di quell'impresa globale che è la scienza. Perché la ricerca scientifica e l'alta formazione sono la strada migliore per lo sviluppo sostenibile delle nazioni. Perché, malgrado tutto, in Africa sta crescendo questa consapevolezza. I governi dei vari paesi del "continente dimenticato" si sono infatti riuniti più volte nell'ultimo decennio per cercare di allestire una rete comune di ricerca scientifica e di alta formazione e per tentare di raggiungere un obiettivo concreto: investire in ricerca e sviluppo l'1% del Prodotto interno lordo entro il 2010.
Nessun paese c'è riuscito, finora: a parte il Rwanda - il piccolo paese uscito a metà degli anni '90 da una guerra civile che ha prodotto un devastante genocidio - che investe in ricerca scientifica l'1,6% del suo minuscolo Prodotto interno lordo e intende giungere entro pochi anni al 3%. Però molti sono sulla strada giusta. Il Sud Africa - il paese con la più grande economia dell'Africa sub-sahariana - investe ormai in R&S lo 0,92% del Pil: quanto l'Italia, in proporzione. E gli investimenti stanno crescendo rapidamente anche in paesi come la Nigeria, il Ghana, il Kenya, la Tanzania e lo Zambia.
Certo, ha ragione sir David King, il consigliere scientifico di Tony Blair che fu il principale estensore del programma di Gleneagles: i paesi africani devono essere i primi a mantenere le proprie promesse e a realizzare l'integrazione della ricerca scientifica dell'Africa sub-sahariana. Ma è anche vero che altri paesi del mondo, forse più lungimiranti, stanno scommettendo sull'Africa molto più di quanto non facciano i paesi del G8.
Nel 2006 la Cina ha approvato un Fondo di sviluppo per l'Africa che prevede un investimento di 5 miliardi di dollari in cinque anni per cercare di raggiungere gli obiettivi del Millennium Goal. E una parte non banale di questi soldi sarà investita nella ricerca e nello sviluppo tecnologico.
India e Brasile hanno sottoscritto un accordo col Sud Africa per realizzare progetti comuni nel campo della scienza e della tecnologia. Il Brasile, inoltre, ha stabilito rapporti bilaterali con Angola e Mozambico (sono tutti ex colonie portoghesi) per lo sviluppo della ricerca e dell'alta formazione. Infine Cina, Brasile e India hanno raggiunto un accordo con la TWAS per ospitare e formare in materie scientifiche 250 giovani ricercatori ogni anno provenienti dai paesi più poveri.
Stanno nascendo, in definitiva, nuclei promettenti di collaborazione scientifica Sud-Sud. Gli obiettivi di questa collaborazione sono quelli di: fermare il "brain drain", la fuga dei cervelli dall'Africa: si calcola che la metà degli scienziati nati nel continente nero sia emigrata, la gran parte negli Stati Uniti; aiutare l'Africa a formare un gran numero di nuovi ricercatori, ma anche - perché nasconderselo - allacciare rapporti stretti con un continente ricchissimo di risorse naturali e umane mal impiegate. Di fronte a tutto ciò il Nord sembra distratto. Riuscendo nel medesimo tempo a peccare in carità e in lungimiranza.