Grazie alla fotosintesi gli alberi sono in grado di assorbire l'anidride carbonica (CO2) atmosferica e di "fissarla" nel legno, che è composto per circa il 50% di carbonio. La capacità fissativa è riconosciuta anche dal protocollo di Kyoto che ammette l'utilizzazione delle foreste quale strumento per cercare di rallentare l'aumento della concentrazione di CO2 in atmosfera. Le foreste quindi, si configurano come strumenti di mitigazione (non di riduzione) delle emissioni.
Tuttavia la capacità di assorbire CO2 e, soprattutto, di fissarla in modo durevole nel legno o nel suolo varia moltissimo e seconda del tipo di foresta e delle modalità di gestione.
Di frequente si leggono opinioni circa l'efficacia di assorbimento di CO2 dei boschi che inducono i non-tecnici a pensare che le foreste (soprattutto le nuove) possano avere un ruolo estremamente rilevante nel "pulire" l'atmosfera. Si consideri a tale riguardo l'articolo di Antonio Cianciullo su La Repubblica del 9 giugno scorso o l'enfasi con cui è stata lanciata l'iniziativa del bosco del Vaticano in Ungheria.
Per poter correttamente valutare il ruolo effettivo delle foreste nell'assorbimento della CO2 è necessario fare delle considerazioni che sono legate a due aspetti essenziali:
- la fisiologia del sistema "foresta" (non come mera "somma" di alberi ma come ecosistema);
- le modalità di conteggio imposte dal protocollo di Kyoto.
Circa il primo aspetto un calcolo approssimativo può essere fatto nel seguente modo: la capacità di fissare CO2 per unità di area fogliare e per giorno di stagione vegetativa è relativamente costante nelle diverse foreste e si attesta in circa 1 gC m-2 d-1 (grammi di carbonio per metro quadro al giorno) come produzione primaria netta (ossia al netto della respirazione delle piante). Moltiplicando questo valore per l'area fogliare complessiva e per i giorni di stagione vegetativa nelle diverse foreste è possibile stimare la fissazione complessiva. Nel caso di foreste temperate (quelle a cui si riferiscono gli articoli citati) l'area fogliare complessiva potrebbe attestarsi attorno ai 30.000 m2 ha-1 (metri quadri per ettaro, ossia un indice di area fogliare di 3) e il numero di giorni di attività vegetativa nell'anno in circa 180 (6 mesi). Di conseguenza si avrebbe una fissazione di carbonio pari a 5 Mg ha-1 anno-1 (pari a 5 t ha-1 anno-1, ovvero 5 tonnellate per ettaro per anno). Questo carbonio fissato tuttavia non è tutto accumulato nella foresta perchè una parte viene utilizzata dalle altre componenti dell'ecosistema (mammiferi, insetti, batteri, eccetera) per la loro sopravvivenza. In foreste in accrescimento si può stimare che circa il 50% della produzione primaria netta venga utilizzato e poi "respirato" (ossia emesso) dalle altre componenti dell'ecosistema. Ne deriva che, al netto di tutte le perdite di carbonio, nei casi più favorevoli, possono essere accumulate dalle nuove foreste circa 2,5 Mg ha-1 anno-1 di carbonio (2,5 tonnellate per ettaro per anno) che corrispondono a 9,2 Mg ha-1 anno-1 (9,2 tonnellate di CO2 equivalente per ettaro per anno). Questo valore può essere considerato in accordo con quanto effettivamente stimato dall'Inventario Nazionale delle Foreste e dei Serbatoi di Carbonio (INFC) come valore di incremento corrente annuo medio dei boschi italiani. Tenendo conto che le emissioni di un cittadino italiano sono di circa 9 Mg anno-1 (9 tonnellate per anno) di CO2 equivalente, ne deriverebbe che 1 ettaro di nuova foresta potrebbe compensare le emissioni annuali di 1 italiano qualora tutto la produzione della foresta fosse destinata unicamente a tale fine. A fronte di una popolazione di oltre 60 milioni di persone, la nostre foreste (da cui però estraiamo il legno per altri scopi) hanno una superficie totale di circa 9 milioni di ettari. In conclusione sembra realistico stimare, per le foreste in Italia, un potenziale assorbimento di circa 2 MgC ha-1 anno-1 che però è tale solo nel caso in cui la foresta venga impiegata per l'esclusivo scopo di assorbimento della CO2.
E' più facile ora commentare le potenzialità di assorbimento del progetto del Vaticano che sembra abbia piantato circa 125.600 alberi in Ungheria. Per garantire una adeguata copertura ed un efficiente produttività ad ettaro potrebbe essere stata utilizzata una densità di impianto di circa 10.000 piante per ettaro, realizzando quindi una foresta di circa 12,5 ha. Questa foresta potrebbe compensare le emissioni di solo 12 abitanti (medi) del Vaticano.
Tuttavia altre "insidie" sono nascoste nell'utilizzazione della foresta per la mitigazione delle emissioni. In primis il fatto che il potenziale assorbimento viene conteggiato, di norma, su un periodo di decadi (30-70 anni), corrispondente al ciclo di sviluppo della foresta. Ne deriva che viene "venduto" tutto il carbonio ora, ma la fissazione avverrà in futuro. In un intervallo di tempo cosi lungo è possibile il verificarsi di eventi (in termine tecnico si chiamano "disturbi") che possono danneggiare la foresta e vanificare completamente o in parte l'accumulo di carbonio. Ad esempio si possono verificare incendi, attacchi parassitari, danni da vento ecc. e la probabilità di tali eventi dovrebbe essere valutata da chi propone i rimboschimenti compensativi. Non so quanti di coloro che hanno pagato, in buona fede, qualche azienda perchè compensasse con una nuova foresta determinate emissioni possa effettivamente verificare a distanza di 30 anni che la foresta di cui ha pagato l'impianto esista ancora. Per questo motivo ho qualche perplessità su chi pubblicizza gli eventi ad "impatto zero" soprattutto quando gli interventi compensativi vengono eseguiti in paesi in via di sviluppo.
Il secondo aspetto riguarda i meccanismi di conteggio delle quote di compensazione delle emissioni di CO2 attraverso le nuove foreste secondo le regole del protocollo di Kyoto. Questo aspetto è particolarmente critico e rilevante nel caso riportato da Cianciullo su La Repubblica.
L'Italia, aderendo al protocollo di Kyoto, si è impegnata a calcolare il bilancio annuale tra emissioni ed eventuali assorbimenti di CO2 nel periodo 2008-2012. Per gli assorbimenti (e non, per eventuali deforestazioni per piste da sci o altro) l'Italia è obbligata a riportare la variazione di superficie boscata complessiva rispetto al 1990 che è l'anno di riferimento di tutti i conteggi (secondo l'articolo 3.3 del protocollo). Nel caso di nuove foreste (classificate tali, escluse le piantagioni da arboricoltura da legno), come presumibilmente quelle impiantate nel parco del Gargano o nel Parco delle Madonie, esse saranno conteggiate dall'Italia (ossia dal Ministero dell' Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare) in modo automatico nel momento in cui saranno create e faranno parte della quota di compensazione delle emissioni di CO2 del nostro paese. Nel caso dei mercati volontari del carbonio, ci sono due punti critici: la vendita di una quota di assorbimento di CO2 delle nuove foreste già acquisita dallo stato e la vendita a privati di un beneficio collettivo.
L'effetto della misura di compensazione ad opera di privati, malgrado l'enfasi con cui viene proposta, è in pratica nullo dal momento che l'assorbimento della CO2 della nuova foresta è già stato considerato a livello nazionale. Per non parlare delle iniziative commissionate in paesi diversi dal proprio e che aderiscono al protocollo di Kyoto: la nuova foresta in Italia, commissionata dalla Regina Elisabetta, verrà contata nel bilancio italiano. Se l'Inghilterra volesse generare dei crediti di carbonio di provenienza forestale per sé, potrebbe avviare iniziative in paesi che non hanno obblighi secondo il protocollo di Kyoto e che quindi non conteggiano la variazione di superficie boscata a livello nazionale.
Emerge quanto complesso sia l'argomento e quanto sia importante conoscere nel dettaglio sia i meccanismi fisiologici della foresta sia i vincoli normativi del protocollo di Kyoto per poter attuare degli interventi che siano realmente efficaci per la mitigazione dell'aumento della CO2 in atmosfera.
__________________
Tommaso Anfodillo
Scienze Forestali, Università degli Studi di Padova