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L'insegnamento del passato

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Di fronte al cambiamento climatico in corso, così come presentato dalle osservazioni e misure, estese ormai a tutto il globo, viene spontanea la domanda se si tratti di qualcosa di nuovo o non piuttosto di un fenomeno già prodottosi nel passato, ed anche più volte. E’ infatti noto dagli studi geologici che il clima terrestre, nel passato, è più volte variato da condizioni glaciali molto più fredde a condizioni più calde delle attuali.

Ma quando si tratta di paragonare il cambiamento in atto con i cambiamenti avvenuti nel passato occorre avere ben chiaro a quale aspetto ci si riferisce (concentrazione di taluni gas-serra, temperatura media annua, precipitazioni medie annue, ecc.) e se al suo valore assoluto o alla sua velocità di variazione nel tempo. Inoltre conta la scala dei tempi, perchè in milioni o centinaia di migliai di anni possono prodursi variazioni climatiche molto maggiori e dovute a cause diverse, di quelle che si realizzano in pochi decenni o pochi secoli. Infine i cambiamenti climatici locali non devono essere confusi con quelli globali.

I primi possono essere molto ampi e dovuti a cause locali o ad una diversa distribuzione geografica delle temperature o delle precipitazioni, mentre i secondi sono in generale più contenuti e richiedono una o più cause globali. Le variazioni climatiche nel passato sono note attraverso lo studio dei sedimenti marini, lacustri, dei ghiacci polari, delle concrezioni di grotta, degli anelli delle piante, ecc. Le conoscenze sono tanto più dettagliate quanto più ci si avvicina al presente. Vi è qualcosa di nuovo, quindi, nel cambiamento in atto rispetto a quelli passati?

Anzitutto la concentrazione atmosferica di alcuni gas responsabili dell’effetto serra. Dalle carote di ghiaccio polari abbiamo appreso, con ragionevole certezza, che negli ultimi ottocento mila anni CO2 e metano sono variati in fase (quasi) con le variazioni della temperatura, entro una banda di valori nettamente inferiori a quelli attuali. In particolare, rispetto ai valori di concentrazione pre-industriali, tipici dei periodi interglaciali, i due gas sono aumentati in due secoli (in pratica quasi interamente dalla metà del ‘900) rispettivamente del 37% e del 130%. Così la CO2 in due secoli è aumentata di oltre 100 ppm, mentre nei precedenti 10 mila anni la massima variazione era stata di appena 20 ppm in 6 mila anni. La documentazione paleoclimatica ci insegna inoltre che, in condizioni naturali, l’aumento della CO2 atmosferica (dovuto ad una ridistribuzione tra i serbatoi in cui è contenuta, oceano, atmosfera, biosfera) segue, con un ritardo di un millennio circa, l’aumento della temperatura. E’ quindi una conseguenza (non la causa innescante), ma si ritiene che l’aumento di CO2 eserciti un feed back positivo, cioè rafforzi l’aumento di temperatura iniziale. Ora invece accade il contrario: l’uomo ha iniettato CO2 in atmosfera, prelevandola da un serbatoio fossile in cui era sequestrata, alterando così il ciclo naturale del carbonio e forzando l’effetto serra naturale.

Dagli studi fatti la temperatura media annua globale risulta aumentata di circa 0,8°C in un secolo (di cui 0,5°C negli ultimi tre decenni). Le variazioni della temperatura media annua sono localmente (a scala continentale e regionale) maggiori o minori del valore medio globale. Così in generale la temperatura media annua risulta essere cresciuta più nell’emisfero settentrionale (in particolare nelle regioni artiche) che in quello meridionale, più sulle aree continentali che su quelle oceaniche, mentre su vaste aree oceaniche, in particolare nell’emisfero meridionale, la temperatura media annua è diminuita. Il confronto con le condizioni termiche nel passato può farsi con quelle dell’attuale interglaciale (noto come Olocene), iniziato 11.700 anni fa o con quelle di interglaciali precedenti. Numerosi indicatori climatici mostrano che durante l’Olocene la temperatura media annua è variata in modo differente nei due emisferi e nell’area intertropicale. Alla scala del millennio nell’emisfero Nord, alle alte e medie latitudini, la temperatura media annua ha raggiunto il valore massimo intorno a 9-10 mila anni fa ed è poi declinata regolarmente, ma su questo trend si sono sovrapposte variazioni alla scala dei decenni e dei secoli. Utilizzando numerose serie di indicatori paleoclimatici, sono state effettuate delle stime delle variazioni della temperatura media annua per l’intero emisfero Nord negli ultimi 1.000-2.000 anni, che mostrano come l’aumento prodottosi negli ultimi tre decenni sia anomalo per entità e rapidità e comunque superi i valori della temperatura media annua emisferica del cosidetto Periodo Caldo Medievale (secoli X-XI). Quest’ultimo ha avuto una chiara espressione in Europa e nel Nord Atlantico e più in generale nell’emisfero Nord, mentre, per la scarsità dei dati, non si puo’ dire se abbia interessato interamente anche l’emisfero meridionale.

Tra gli indicatori climatici più sensibili vi sono i ghiacciai montani. Ora è noto che dal XIV al XIX secolo vi è stata una lunga fase, la Piccola Età Glaciale, caratterizzata da ripetute avanzate dei ghiacciai montani nei due emisferi. Tali avanzate non sono state esattamente sincrone tra loro, rispondendo a vicende climatiche complesse e differenziate, con periodi accentuamente freddi intercalati ad altri più caldi. Con questo comportamento un poco anarchico dei ghiacciai montani contrasta l’attuale fase di contrazione glaciale, accentuata, generalizzata e sincrona in tutte le catene montuose, con limitate eccezioni. Il tasso di riduzione di volume e di massa dei ghiacciai montani negli ultimi decenni appare superiore a quello medio conosciuto durante le precedenti fasi di ritiro e durante la deglaciazione. La condizione attuale dei ghiacciai è quindi del tutto nuova? No, sono note nei millennni passati fasi di contrazione glaciale più severe di quella attuale. Tuttavia occorre ricordare che i ghiacciai rispondono con ritardo alle variazioni climatiche, in funzione delle loro dimensioni e caratteristiche geometriche e dinamiche. Le dimensioni dei maggiori ghiacciai alpini non sono in equilibrio con le condizioni climatiche attuali ma con quelle di decenni fa. I ghiacciai più piccoli, come la maggior parte dei ghiacciai italiani, rispondono invece rapidamente, con un ritardo di pochi anni. Taluni di questi hanno ora dimensioni più piccole di quelle conosciute negli ultimi 5.000 anni. La accentuata fase attuale di ritiro appare quindi più grave di quelle direttamente misurate dall’uomo dalla fine del secolo XIX e indicativa di condizioni climatiche inusuali nella seconda metà dell’Olocene.

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