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Steven Chu, un premio Nobel prestato alla politica

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Non ha avuto grande eco sui mass media italiani la presenza a Roma, lo scorso sabato 23 maggio, del Segretario all'Energia degli Stati Uniti, il premio Nobel per la fisica ed esperto di problemi energetici Steven Chu,che, su invito di Luciano Maiani, presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), ha tenuto nella sala Marconi della sede centrale del nostro massimo ente di ricerca una relazione sulla "Sfida dell'Energia".

Eppure quella presenza e quella relazione meritavano grande attenzione. Per le questioni di merito e, anche, per il metodo con cui a livello politico vengono affrontati, in un grande paese come gli Stati Uniti, temi a carattere tecnico e scientifico.

Steven Chu ha iniziato la sua relazione proponendo, con un tono mite che ricordava quello di Ferruccio Parri descritto da Carlo Levi in L'orologio, una diagnosi severa e scientificamente impegnativa: «il pianeta è in grave pericolo», ha detto, riferendosi ai cambiamenti climatici in atto accelerati dalle attività umane e, in particolare, dall'uso dei combustibili fossili.

Poi lo scienziato ha lasciato spazio al politico e, in assoluta coerenza con la diagnosi precedente e con il solito tono mite dell'eloquio, Steven Chu ha aggiunto: «Dobbiamo mettere in atto azioni più aggressive per impedire che vengano superate soglie critiche che rendano la situazione fuori controllo», come potrebbe accadere se si arrivasse allo scongelamento del permafrost.

Il Segretario di Stato non ha proposto alcuna fuga in avanti. «Noi oggi abbiamo ancora i mezzi e gli stumenti per impedire che lo scenario peggiore si verifichi». Occorre cambiare paradigma energetico. E possiamo farlo. Il 20% della domanda mondiale di energia potrebbe venire dall'eolico, magari progettando e realizzando grandi piattaforme marine. Nel discorso di Chu non c'è stata alcuna concessione al velleitarismo: il fotovoltaico diventerà competitivo tra 20-25 anni, ha ammesso.

Tuttavia le tecniche di cui disponiamo, per esempio nel campo della costruzione delle abitazioni o della produzione di batterie ad alta efficienza, possono portare a risparmi energetici davvero incredibili: facendo così diminuire la domanda di energia.

Per cambiare il paradigma energetico e realizzare la transizione dalle fonti fossili alle fonti «carbon free» possiamo prendere in considerazione anche il nucleare, ha detto il nuovo Segretario di Stato all'Energia degli Stati Uniti. Abbiamo il problema delle scorie nucleari, ma questo è risolubile, se puntiamo sulla scienza e su una forte cooperazione internazionale. Va sottolineato, tuttavia, che questa presa di posizione sul nucleare - un fisico avrebbe potuto non farla? - è stata solo un piccolo cenno all'interno di una panoramica molto più articolata e assolutamente originale, almeno in Italia. Perché all'assoluta severità nell'analisi delle condizioni di partenza, tipica dello scienziato, fa riscontro l'ottimismo del politico (americano): le difficoltà sono occasioni per proporsi e tagliare nuovi traguardi. Insomma, parafrasando il verso di Friedrich Hölderlin, potremmo dire che il messaggio rilanciato a Roma da Steven Chu sia stato: "Laddove cresce il pericolo, cresce anche la salvezza".

A chi ha ascoltato la sua relazione è venuta subito alla mente una considerazione: quanto è importante avere persone serie e competenti (e in questo caso, quanto competenti!) in posti cruciali di decisione politica.

Verissimo. Ma questa è solo una parte della storia. L'altra, non meno importante ai fini di politiche incisive (e non di mere enunciazioni) è che la competenza va posta al servizio di un progetto. Steven Chu ha posto la sua competenza (e che competenza!) al servizio della "grande sfida" che gli Stati Uniti di Barack Obama hanno accettato e hanno rilanciato al resto del mondo: cambiare il paradigma energetico anche per contrastare i cambiamenti climatici.

Più in generale la lezione di Chu e degli Stati Uniti oggi è che "cambiare strada" si può se gli obiettivi sono chiari e la strada per realizzarli è coerente. Il motore del cambiamento nell'ambito della "Sfida dell'Energia" è la ricerca scientifica, come ha detto non solo Chu a Roma ma anche e soprattutto Obama davanti all'Accademia delle Scienze degli Stati Uniti. Questo motore deve essere alimentato. E con notevole coerenza, almeno finora, la nuova Amministrazione americana lo sta alimentando con il combinato disposto di un netto incremento dei fondi pubblici per la ricerca, di scelte politiche coerenti col progetto, con la nomina di persone giuste al posto giusto (si veda Gli scienziati di Obama, di Pietro Greco).

In definitiva: Steven Chu non rappresenta un fiore all'occhiello della nuova Amministrazione americana, ma il braccio operativo di un progetto di lungo respiro. E la sua visita al CNR accende una timida speranza anche per l'Italia: che anche il nostro paese aderisca a quella che Chu ha definito un modello generale per le economia avanzate, lo sviluppo (sostenibile) attraverso la ricerca scientifica e la produzione di beni ad alta tecnologia.

L'Italia è uno dei pochi paesi a economia avanzata a perseguire, come ha rilevato nei giorni scorsi la Banca d'Italia e riportato Scienzainrete, un modello di "innovazione senza ricerca" (si veda Italia, Innovazione sì ma senza ricerca di Sergio Ferrari).

Questo modello non regge più. La nostra economia - persino la nostra società - accusano un crescente ritardo rispetto ai paesi che seguono il modello dell'"innovazione attraverso la ricerca". Cambiare questo modello è necessario. Cambiare questo modello si può. A patto che si esca dalla politica delle enunciazioni e si persegua una politica dell'ottimismo realista: fondata su analisi rigorose, grandi progetti, strumenti coerenti e scelta delle persone più competenti.

Steven Chu a Roma, con quel suo tono mite ma deciso alla Ferruccio Parri, ma soprattutto con la sua presenza fisica, ci ha fornito la verifica empirica che questo secondo tipo di politica è possibile.

 


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