I corsi di Laurea in lingua inglese rappresentano un valore o una minaccia per la cultura italiana? Il tema ha suscitato accese polemiche con riflessi giudiziari (ad esempio il ricorso del Politecnico di Milano contro la decisione del TAR che vieta l’insegnamento esclusivo in inglese). Tuttavia, una cosa è indubbia: i corsi di Laurea internazionali, se altamente qualificati, consentono di attrarre dall’estero i migliori cervelli, che rappresentano l’oro (grigio!) di questo millennio.
Ma quali sono i fattori che trattengono i cervelli originari e attirano quelli stranieri? E quali, invece, quelli che li allontanano? Da un’analisi effettuata da due italiani (Andrea Ariu e Mara Pasquamaria Squicciarini) nel Dipartimento di Economia dell’Università Cattolica di Lovanio, è emerso un elemento nuovo nel balance of brains: l’“indice di corruzione” dei singoli Paesi, costituito da legami di famiglia, denaro e affiliazioni politiche. Maggiore è il livello di corruzione basato su questi parametri, più negativo è il flusso di cervelli. E, non a sorpresa, il nostro Paese costituisce un esempio negativo.
L’analisi, pubblicata su EMBO reports e ripresa da altre autorevoli riviste internazionali, cita come esempio un dato da cui emerge con chiarezza l’importanza del “bilancio” dei cervelli: nel 2009, ben 5 degli 8 scienziati statunitensi cui fu assegnato il Premio Nobel non erano originari degli USA.
L’arrivo di talenti dall’esterno, già di per sé, contribuisce allo stato di salute di un sistema di ricerca mettendo anche in discussione gli elementi di corruzione individuati: è uno spunto di riflessione interessante per il nostro Paese, che negli ultimi anni - in linea con quanto accade nel resto del mondo - ha posto una crescente attenzione all’internazionalizzazione. Così, oggi uno dei criteri di valutazione (e finanziamento) delle Università è proprio l’internazionalizzazione. Che, perché sia reale, non può essere solo un riflesso della presenza dei figli degli immigrati, italiani a tutti gli effetti eccetto che all’anagrafe.
In questo contesto, avere corsi internazionali altamente qualificati che attirino giovani di talento è un valore aggiunto. Non dobbiamo essere una “seconda scelta” per gli stranieri che non passano i test di ammissione nei rispettivi Paesi. E’ fondamentale avere una soglia di entrata qualitativa, e molti Atenei hanno già fatto importanti passi avanti: ad esempio, per accedere all’International Medical School, il corso di Laurea internazionale in Medicina dell’Università degli Studi di Milano che ha sede in Humanitas, è necessario superare un test di ingresso di Cambridge. Per l’anno accademico 2013/2014, per 60 posti disponibili le richieste sono state più di 1.500, di cui oltre 600 di stranieri. In corsi come questo, cui partecipano studenti di tutto il mondo (quasi la metà dei nuovi iscritti per l’anno accademico 2012/2013 non sono italiani e provengono da Paesi diversi, sia dell’Unione Europea sia extra UE) l’utilizzo della lingua inglese per l’insegnamento è un elemento imprescindibile e naturale.
Una reale dimensione internazionale, quindi, dovrebbe già di per sé far superare la diatriba - forse un po’ anacronistica - sull’insegnamento in quella che, non dimentichiamolo, è la lingua della Scienza. Inoltre, una forte componente internazionale nei corsi universitari è un valore aggiunto anche per i nostri studenti: li abitua a vivere in un ambiente più stimolante, aperto al confronto con coetanei di culture diverse.
Può sembrare paradossale, ma la dimensione internazionale dei corsi e l’insegnamento in inglese è il miglior modo che abbiamo per promuovere la cultura italiana. Attraendo giovani che, vivendo nel nostro Paese per anni, imparano la nostra lingua, mangiano il nostro cibo, stabiliscono legami ed amicizie con gli italiani. Insomma respirano in tutto e per tutto la nostra cultura ed i nostri valori, e quando ritornano nei rispettivi Paesi d’origine contribuiscono a diffonderli.
L’augurio - e la concreta speranza - è che avere corsi in inglese altamente qualificati e studenti di talento da tutto il mondo inneschi un circolo virtuoso che renda il nostro sistema meno condizionato da legami familiari, politici ed economici. E, dunque, più attrattivo per i migliori cervelli.
Pubblicato su Il Sole 24 Ore, 21 giugno 2013