Una delle parole d’ordine quando si parla di economia della conoscenza è senza dubbio “innovazione”. Questo filo conduttore non riguarda solo l’immissione sul mercato di nuovi prodotti ad alto tasso di conoscenza aggiunta, ma interessa anche settori commerciali ed economici maturi. Diretta conseguenza di tutto ciò è senza dubbio l’integrazione del lavoro umano con quello di nuove macchine e nuove tecnologie, in grado molto spesso di rimpiazzare del tutto, o quasi, l’azione dell’uomo. La grande domanda che quindi dovremo porci, sarà proprio relativa a quanto questa “nuova economia” saprà creare nuovo lavoro più di quanto ne distruggerà; se saprà creare più figure professionali nuove di quante vecchie ne manderà inevitabilmente a casa.
Dopo la rivoluzione agricola e quella industriale, l’economia della conoscenza sembra candidata a diventare la terza grande transizione nella storia economica dell’umanità e a segnare, così, tanto il mercato quanto la società. L’economia della conoscenza è caratterizzata da forte specializzazione e alti livelli di alfabetizzazione informatica, oltre che da un livello spinto di globalizzazione. Ma, come spesso accade, l’innovazione ha una doppia faccia. Apre opportunità, ma espone a dei rischi. I timori riguardano quindi principalmente il fatto che la nuova tecnologia e l’automazione possano togliere il lavoro all'uomo ed essere, così, percepite come il nemico. D’altra parte però, sappiamo che storicamente ogni grande rivoluzione, soprattutto in ambito tecnologico, non è mai stata accolta universalmente da un atteggiamento positivo, ma anzi ha spesso incontrato diverse resistenze. Questo accade principalmente perché l’innovazione tecnologica non fa mai il suo ingresso nella società in maniera neutrale, ma lo fa rompendo molti equilibri e le abitudini sociali che il tempo ha saldamente fissato all'interno di ogni comunità.
Se guardiamo però i dati, possiamo notare che questi timori sono spesso sopravvalutati. Per fare un semplice esempio, l’incremento della produttività nel sistema economico durante il XX secolo, periodo di grandi trasformazioni e innovazioni, può essere valutato tramite le ore di lavoro necessarie per l’acquisto di un prodotto. Se nel 1900, negli Stati Uniti, la quantità di beni di consumo che potevano essere acquistati con un’ora di lavoro era di circa 3.00$, nel 1990 per la stessa quantità di tempo si potevano acquistare beni per 22.00$ (valori trasportati sul potere d’acquisto attuale)1. L’abbassamento dei prezzi dei beni e l’aumento della produttività sono direttamente correlati tra loro, ma sono entrambi legati anche all’innovazione tecnologica che ha guidato l’intero secolo.
Sui timori riguardo la perdita della richiesta occupazionale,
dobbiamo quindi sicuramente tenere presente tutto ciò, ma considerare
soprattutto almeno altri due fattori importanti. Innanzitutto il fatto che
l’economia della conoscenza sta producendo un’economia di servizi e di prodotti
immateriali che sfruttano il “lavoro cognitivo (lavoro di trasformazione delle conoscenze e
delle relazioni) per produrre valore utile, a vantaggio non solo del
consumatore finale, ma anche dei diversi soggetti che partecipano all'attività
(lavoratori, imprenditori, intermediari)” (Rullani, 2005)2.
Secondariamente è necessario tenere in considerazione che uno dei significati
che l’innovazione può assumere nel contesto dell’economia della conoscenza, è
proprio quello di guardare anche ai settori commerciali ed economici più
antichi, come per esempio l’artigianato, in
un’ottica pienamente moderna.
Uno degli esempi più efficaci in questo senso è forse quello del mercato delle stampanti 3D, indicate da molti esperti come le prossime
protagoniste dell’attuale rivoluzione industriale. Questa macchina è infatti
destinata a dar vita a un vero e proprio movimento di artigiani digitali e locali. La stampante 3D infatti
coniuga perfettamente i fattori chiave citati finora: è un prodotto ad alto
contenuto di tecnologia, che sfrutta una specializzazione settoriale basata
principalmente sull’informatica e l’high-tech (alto tasso di innovazione e di
conoscenza). Inoltre è il perfetto punto di incontro tra beni immateriali
prodotti da lavoro cognitivo, come possono essere le progettazioni
tridimensionali realizzate via software, e la loro esatta trasposizione nel
mondo fisico. Questo incontro tra bit e atomi può essere quindi uno dei simboli
dell’economia della conoscenza e delle sue enormi potenzialità.
ANDREA SACCHI
Bibliografia:
1.
Lebergott, Stanley
(1993). Pursuing Happiness: American Consumers in the Twentieth Century. Princeton, NJ: Princeton University Press.(http://en.wikipedia.org/wiki/Productivity_improving_technologies_%28historical%29#cite_note-Legergott1993-74
2.
http://www.scarichiamoli.org/main.php?page=interviste/rullani