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Novità dalla ricerca sul rigetto cronico del trapianto

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Risolvere il problema del rigetto cronico del trapianto d’organo attraverso la terapia genica è stato l’obiettivo di un progetto triennale, ormai in fase terminale, sostenuto economicamente da Fondazione Cariplo e da Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo. Il progetto è stato sviluppato grazie ad uno sforzo congiunto di tre istituti di ricerca: l’IRCSS - Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri di Bergamo, il Centro Internazionale di Ingegneria Genetica e Biotecnologia (ICGEB) di Trieste e il Consorzio per la Ricerca sul Trapianto di Organi Tessuti, Cellule e Medicina Rigenerativa (CORIT) di Padova.

Chi fa un trapianto oggi ha una probabilità del 90% di stare bene ad un anno dall'intervento chirurgico. Non altrettanto buoni sono i risultati a lungo termine, ovvero a 10-15 anni dall’intervento. I farmaci antirigetto attualmente in uso sono efficaci nel controllare il rigetto acuto - quello che si verifica entro un mese dal trapianto - ma non di contrastare quello che i medici chiamano rigetto cronico, una forma di danno progressivo all'organo trapiantato che si manifesta negli anni e che è responsabile della perdita della funzione. Questo significa dover fare un altro trapianto o, nel caso del rene, tornare alla dialisi. Un altro limite della terapia antirigetto che deve essere assunta cronicamente è di esporre il soggetto trapiantato al rischio di infezioni e tumori.
Tra le cause immunologiche alla base del rigetto cronico c’è l’attivazione dei linfociti T, fenomeno mediato dal processo di riconoscimento dell’alloantigene e dall’attivazione di segnali di costimolazione tra cui il più importante è quello tra il CD28 e il B7. Studi effettuati a Bergamo negli anni ‘90 avevano dimostrato che la somministrazione sistemica di CTLA4Ig umana -una proteina di fusione in grado di prevenire l’interazione tra il CD28 e il B7- immediatamente dopo il trapianto in aggiunta a basse dosi di ciclosporina, riduceva l’incidenza di rigetto acuto nei roditori, aumentando significativamente la sopravvivenza del trapianto. Dati in primati non umani non hanno dimostrato la stessa efficacia probabilmente perché il CTLA4 umano ha bassa affinità per il B7 di questa specie.
Per aumentare la potenza biologica della proteina di fusione, la sequenza aminoacida del CTLA4Ig umano è stata modificata ottenendo il LEA29Y, detto Belatacept, che somministrato per via sistemica, ha prolungato la sopravvivenza del rene trapiantato nel primate non umano e nell’uomo, senza però ridurre l’incidenza di infezioni opportunistiche e neoplasie.
Da qui l’idea di trovare una terapia in grado di rallentare o addirittura bloccare il rigetto cronico evitando di ricorrere a farmaci antirigetto. Il trasferimento di geni che esprimono proteine immunomodulatorie poteva rappresentare una terapia antirigetto locale in grado di rendere capace l’organo da trapiantare di difendersi dall’attacco del sistema immune del ricevente senza ricorrere alla terapia immunosoppressiva. Dati ottenuti in roditori hanno dimostrato nel 2000 che la produzione di CTLA4Ig nel rene del donatore in seguito a terapia genica preveniva il rigetto acuto senza terapia immunosoppressiva. Nel tempo tuttavia la funzionalità renale si riduceva perché il gene per CTLA4Ig era stato trasferito tramite un adenovirus che, non inserendosi nel genoma della cellula infettata, perdeva di efficacia nel tempo. L’utilizzo nel 2006 di un virus adeno-associato (AAV) che garantiva l’espressione della proteina per lungo tempo nel rene dell’animale donatore, si dimostrò efficace nel rallentare l’insorgenza del rigetto cronico proteggendo il rene dai danni strutturali e funzionali che si sviluppavano nei reni di animali che non avevano ricevuto il trattamento di terapia genica. La terapia genica locale favoriva la formazione di cellule T regolatorie che regolavano la risposta immunitaria nel ricevente nei confronti dell'organo estraneo.

I risultati promettenti nei roditori ci hanno suggerito di applicare questo nuovo approccio all’uomo dopo aver verificato che il rene di una specie animale più vicina all’uomo quale il primate non umano sia ingegnerizzabile come quello del ratto, ipotesi del progetto collaborativo supportato dalla Fondazione Cariplo. Lo studio si è svolto in più fasi: la prima ha previsto la sintesi del cDNA umano codificante per LEA29Y, la versione modificata di CTLA4Ig efficace nei primati e nei pazienti, dopo ottimizzazione delle sequenza utilizzando codoni maggiormente espressi nei primati non umani. Il cDNA è stato inserito nel plasmide necessario alla costruzione del vettore AAV ed è stata verificata, mediante esperimenti di reazione linfocitaria in vitro, la capacità immunosoppressiva della proteina prodotta e rilasciata nel medium di coltura delle cellule. Il gruppo di Trieste coordinato da Mauro Giacca ha quindi generato due vettori AAV di diversi sierotipi, AAV2 e AAV9, entrambi contenenti la sequenza di LEA29Y. La loro funzionalità è stata testata in un modello di trapianto singenico nel roditore ed entrambi i vettori sono risultati efficaci, con una maggiore efficienza del sierotipo 9. A questo punto abbiamo misurato nel siero degli primati non umani candidati ad essere reclutati nel protocollo sperimentale la presenza di anticorpi preformati contro il virus adeno-associato, capaci di riconoscere i capsidi virali di sierotipo 2 e 9. La presenza di tali anticorpi avrebbe potuto annullare la presenza del virus e quindi l’efficacia del trasferimento genico. La risposta neutralizzante verso entrambi i sierotipi di AAV era bassa. Poichè il serotipo 9 dimostrava una maggior efficacia nel roditore è stato selezionato AAV9-LEA29Y per i successivi esperimenti nei primati.
Il vettore AAV9-LEA29Y è stato prodotto su larga scala dal gruppo di Trieste per trattare tutti gli animali con la stessa preparazione virale. Sono stati eseguiti quattro autotrapianti dal gruppo di Padova guidato da Emanuele Cozzi, seguendo il protocollo approvato dal Ministero della Salute. La procedura di trapianto e di trasferimento genico prevede che il rene espiantato sia inoculato con il vettore AAV e trapiantato nello stesso animale, da cui il termine autotrapianto. Il rene controlaterale è stato mantenuto per garantire lo stato di benessere dell’animale. L’aver eseguito un autotrapianto ci ha permesso di verificare l’efficacia del solo trasferimento genico senza attivazione del sistema immunitario condizione che si verifica con l’allotrapianto. L’efficacia del trasferimento genico e la produzione di LEA29Y sono state valutate a 60 giorni dal trapianto. L’espressione genica è stata valutata mediante PCR utilizzando primers specifici per il transgene per evitare l’amplificazione di CTLA4, espresso dai linfociti T attivati che potevano essere presenti nel rene trapiantato. La quantità di proteina prodotta è stata misurata mediante un dosaggio ELISA specifico per CTLA4 umano. Data la presenza del rene controlaterale, non è stato possibile valutare la funzionalità del rene trapiantato. Grazie agli esperimenti di espressione genica abbiamo dimostrato che il vettore AAV era in grado di infettare il rene di primate facendo esprimere LEA29Y nei reni degli animali trapiantati.
La proteina era prodotta a livello locale ma non veniva invece rilasciata nel siero dove la quantità di CTLA4Ig non era misurabile, confermando che l’approccio di terapia genica induceva una produzione locale evitando gli effetti legati alla presenza della proteina a livello sistemico.

Ora dovremo identificare i meccanismi che intervengono nel processo di immunomodulazione indotto da CTLA4Ig e in particolare di studiare il rapporto tra cellule T effettrici e cellule T regolatorie responsabili dello stato di tolleranza. Il passo successivo sarà mettere a disposizione questa tecnica per i pazienti che dovranno affrontare un trapianto svincolandoli dalle tradizionali cure antirigetto.

 


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