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Clima, l'Europa si prepari

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Nel trattato firmato in conclusione della 18esima Comferenza sul Clima dell'ONU in Qatar viene tracciata la strada per la futura sicurezza climatica del Pianeta, di qui al 2020, prolungando di altri 8 anni il patto di Kyoto. Ma il bilancio delle due settimane del COP di Doah non entusiasma, a fronte di numeri che segnalano una sostanziale immobilità di tutti gli stati membri in fatto di tagli alle emissioni inquinanti. Intanto, continuano ad arrivare segnali preoccupanti sugli effetti immediati del riscaldamento globale.

Cosa rischia l'Europa

A fine novembre l’Agenzia Europea per l’Ambiente (Eea, European Environment Agency) ha pubblicato un rapporto sull’impatto dei cambiamenti climatici nel Vecchio Continente. Si tratta di un aggiornamento del report già stilato nel 2004 e nel 2008, ma questa edizione conta su un numero di fonti e di consulenze decisamente superiore ai precedenti. L’obiettivo del documento, intitolato Climate change, impacts and vulnerability in Europe 2012, è sottolineare le evidenze scientifiche acquisite fin qui e proporre una serie di scenari per il medio e lungo periodo.

Il quadro tracciato dagli esperti dell’Eea non si limita a mostrare gli effetti dell’innalzamentodella temperatura sull’ambiente (scioglimento dei ghiacciai, innalzamento del livello dei mari e conseguenze sulla flora e sulla fauna), ma tocca da vicino l’uomo. Dati alla mano, vengono messe in luce le conseguenze che l’aumento delle temperature ha avuto sulla salute umana e viene fatto un bilancio economico di tali cambiamenti. A tutto questo, come detto, si aggiunge una previsione sull’andamento di questi dati da qui alla fine del secolo. Dalle centinaia di pagine che compongono il rapporto emerge una costante inequivocabile: lo spostamento verso nord delle condizioni meteo-climatiche attuali. Il paesaggio, il clima, gli animali e le colture mediterranee entro fine secolo saranno tipiche dell’Inghilterra o della Germania. Le brughiere inglesi raggiungeranno gli ambienti artici a scapito della taiga (la foresta di conifere) e della tundra (la pianura artica senz’alberi), che tenderanno a scomparire. Tale scenario, che assume un volto così apocalittico, è il risultato della lunga serie di osservazioni che negli anni si sono accumulate in Europa e nel mondo. Negli ultimi dieci anni (2002 – 2011) la temperatura media del pianeta è salita di un valore compreso tra 0,77 e 0,80 °C rispetto all’epoca preindustriale. Nello stesso periodo, però, in Europa l’aumento è stato più consistente (1,3 °C in più in un decennio) ed è stato accompagnato da una variazione asimmetrica delle precipitazioni. Le piogge sono aumentate in intensità e quantità nell’Europa settentrionale, ma sono diminuite in tutta la fascia meridionale. Basterebbero queste poche informazioni per giustificare una preoccupazione che viene esplicitata nelle conclusioni del rapporto. Una situazione che già oggi va polarizzandosi, e che tenderà a farlo ancora di più in futuro, porterà a un aumento delle disparità sociali tra Nord e Sud del continente, con ripercussioni negative sulla stessa coesione sociale all’interno dell’Unione Europea. In altre parole, se per ora a infiammare gli animi sono lo spread, il rigore finanziario e il debito pubblico, domani potrebbero farlo l’acqua, il costo degli alimenti e quello della sanità.

L’analisi fatta dal rapporto è duplice. Da una parte si analizzano alcuni fenomeni in maniera diffusa: sistema delle acque interne, mari, agricoltura, turismo… Dall’altra viene presentata la situazione zona per zona: Europa settentrionale, Europa centro-orientale, zona mediterranea. A suggellare l’analisi sono grafici e tabelle molto dettagliate, provenienti dalle agenzie nazionali e regionali degli stati membri dell’Ue. Incrociando le due classificazioni emerge uno scenario che non può lasciare indifferenti.

Artico

La zona artica è quella che andrà incontro alle maggiori mutazioni, che causeranno un aumento della temperatura media annua, una diminuzione della copertura di ghiaccio in estate e uno scioglimento progressivo del permafrost. Questo processo è già in corso: nelle estati 2007, 2011 e 2012 il volume di ghiaccio marino ha toccato il suo minimo storico, pari a metà dei livelli registrati nel 1980. Com’è noto, poi, molte zone a ridosso del circolo polare artico sono ricche di giacimenti di combustibili fossili (soprattutto gas e petrolio), oggi coperte da chilometri di ghiaccio e dunque inarrivabili anche per le trivelle più evolute. Quando lo strato ghiacciato si sarà ridotto a sufficienza, però, nuovi pozzi potranno essere aperti, con conseguente aumento dei prelievi e dunque delle emissioni di gas serra in atmosfera. Tutti questi processi si ritorceranno in maniera negativa sul fragile ecosistema artico, già oggi messo a dura prova dall’innalzamento della temperatura.

Nord Europa

Nei paesi scandinavi tenderà a diminuire la quantità di neve caduta, insieme alla copertura di ghiaccio sui laghi e i fiumi. Su tutta la regione, inoltre, aumenteranno di intensità le tempeste di neve, con conseguente aumento dei danni ad esse associati. Disparità si potranno però creare per quanto riguarda la disponibilità di acqua libera: in Norvegia essa tenderà ad aumentare, mentre in Finlandia dovrebbe diminuire. L’innalzamento delle temperature, comunque, porterà anche dei benefici a queste zone, con un mitigamento degli inverni, l’apertura di nuovi percorsi e una maggiore resa dei raccolti. A questi va aggiunto un ulteriore aspetto: il prolungamento della stagione estiva comporterà un aumento dei flussi turistici in tutta l’area e dunque l’ingresso di capitali che oggi non sono disponibili. Questi vantaggi saranno però tali sono nel breve e medio periodo, perché a lungo andare gli scompensi subiti dall’ecosistema si faranno sentire sottoforma di eventi meteorologici estremi.

Europa Nord-occidentale

I paesi che si affacciano sul Mare del Nord (Belgio, Olanda, Danimarca, Germania e Regno Unito) subiranno i danni maggiori dall’innalzamento del livello dei mari, che causerà la perdita di decine di chilometri di coste libere. Nell’ultimo secolo il livello è cresciuto al ritmo di 1,7 mm/anno, ma a partire dal 1990 esso ha accelerato, salendo di 3 mm/anno. Le proiezioni per il futuro sono molto incerte perché dipendono dagli interventi che l’uomo metterà in campo per fronteggiare i cambiamenti in atto. L’unica certezza è che cambierà l’ordine di grandezza: alla fine del XXI secolo i mari saranno cresciuti da un minimo di 20 cm a un massimo di 2 m rispetto al livello attuale. Aumenterà inoltre il rischio di tempeste e trombe marine, che oggi interessano principalmente il lato occidentale dell’Oceano Atlantico e non si sviluppano in Europa.

A peggiorare ancora di più la situazione ci sono gli altri cambiamenti ai quali andranno incontro mari e oceani. Acidificazione delle acque e innalzamento della temperatura creeranno infatti scompensi su tutto l’ecosistema marino, dai grandi mammiferi all’invisibile plancton. Proprio il plancton già oggi anticipa di circa sei settimane il proprio ciclo vitale e questo ha ripercussioni su tutti gli strati d’acqua inferiori, che vedono diminuire l’irraggiamento solare e la quantità di ossigeno a disposizione. I dati odierni, inoltre, indicano che il pH marino in superficie, ossia il valore che rappresenta l’acidità dell’acqua, è passato in pochi decenni da 8,2 a 8,1 a causa dell’aumento delle concentrazioni di CO2 nell’atmosfera. L’abbassamento di solo 0,1 punti di pH dell’acqua equivale a un aumento del 30% della sua acidità. Questa diminuzione è avvenuta centinaia di volte più in fretta dei ritmi mantenuti negli ultimi 55 milioni di anni e ciò significa che la flora e la fauna marina non hanno avuto il tempo di adattarvisi del tutto. Entro il 2100, poi, se questo rimarrà il ritmo di acidificazione, il pH della superficie del mare raggiungerà il valore di 7,7, pari a una diminuzione del 150 % rispetto al livello attuale.

Europa centro-orientale

La regione che si estende dalla Germania ai confini occidentali della Russia subirà, secondo gli scenari, una diminuzione delle precipitazioni estive, con conseguente aumento del rischio di siccità. Le vaste zone di foresta che oggi interessano questa zona potranno così andare incontro a incendi di dimensioni importanti. In inverno, invece, piogge e nevicate tenderanno ad aumentare, ma l’evidente disparità inverno/estate non farà altro che aumentare il rischio di danni anche ingenti. La contrazione del regime delle acque interne, inoltre, potrà avere serie conseguenze sul sistema dei trasporti, che per lo spostamento delle merci si è per secoli basato sui fiumi e i canali.  Qui come in Francia, Scandinavia e sulle isole britanniche, dover spostare tutto su rotaie potrà causare un aumento anche considerevole dei costi di spedizione e trasporto.

Zona mediterranea

Così come l’Artico, questa regione subirà conseguenze molto gravi dal cambiamento climatico. Esso si rifletterà come innalzamento eccessivo delle temperature e diminuzione drastica delle precipitazioni, che andranno a compromettere la resa dei raccolti e causeranno una sensibile diminuzione della biodiversità animale e vegetale. Il problema della siccità e degli incendi estivi, che già oggi flagella il Sud Italia e le isole, verrà inoltre ulteriormente accentuato. Quest’area, così densamente popolata, dovrà inoltre fronteggiare gli effetti delle ondate di calore sulla salute pubblica. Come già anticipato nella torrida estate 2003,  si registreranno decine di migliaia di decessi prematuri a causa del caldo. A questi si aggiungeranno quelli causati dalle malattie infettive trasmesse dai parassiti tipici delle zone nordafricane, che per ora non riescono a resistere al clima più fresco dell’Europa. Un esempio è dato dalla zecca dei boschi (Ixodes ricinus), vettore di batteri e protozoi, che negli ultimo anni ha aumentato di diverse centinaia di chilometri verso nord il proprio raggio d’azione.

L'impatto sulle città e l'ambiente

Un’altra conseguenza dell’innalzamento delle temperature si vedrà nel settore energetico. A fronte di inverni più miti, diminuirà la richiesta di energia per il riscaldamento delle abitazioni. A questo dato, apparentemente positivo, però, ne fa da contraltare un altro: l’impennata di richieste di energia elettrica durante i mesi estivi per l’attivazione di impianti di condizionamento e di altri sistemi di refrigerazione dei locali. Tutto questo avrà ripercussioni negative anche sul turismo. La diminuzione delle precipitazioni nevose e dei ghiacciai alpini (che si sono già ridotti di due terzi rispetto ai livelli del 1850 e che potranno ulteriormente scemare del 22-66 % entro il 2100) farà scendere il flusso di sciatori che ogni anno affolla le Alpi, a vantaggio dei paesi scandinavi e della Russia. L’afa e il caldo torrido estivi giocheranno invece un ruolo negativo sulle zone costiere e marittime, con ripercussioni economiche anche gravi.

Tutti questi effetti saranno particolarmente evidenti nelle città e nelle aree a maggiore concentrazione abitativa. Un effetto dei cambiamenti climatici sull’Europa, però, verrà percepito anche dalle specie animali e vegetali. L’allungamento della stagione vegetativa andrà a vantaggio delle piante, ma potrebbe causare una perdita di biodiversità. Tra il 1971 e il 2000 primavera ed estate sono cresciute in media di 3-4 giorni ogni dieci anni e il polline oggi viene rilasciato 10 giorni prima di cinquant’anni fa. A godere maggiormente di questa situazione, però, sono spesso le specie alloctone, quelle non tipiche del continente europeo, che mostrano grande capacità di adattamento alle mutate condizioni ambientali. Anche tra gli animali sono state sin qui osservate numerose variazioni: anticipazione della deposizione di uova da parte delle rane, ritorno anticipato degli uccelli migratori, accelerazione del ciclo vitale delle farfalle e di altri insetti, che si traduce in più generazioni di individui nella stessa stagione. A questo va aggiunto, poi, lo spostamento verso nord dell’areale di distribuzione delle specie, che “fuggono” dalla calura delle zone meridionali stabilendosi oltre le Alpi e i Pirenei. Nel corso del XXI secolo, se le temperature cresceranno di 3°C rispetto ai valori storici, lo spostamento delle specie è stimato in 550 km verso il polo, pari a cinque gradi di latitudine, la distanza che intercorre all’incirca tra Taranto e Torino.


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