L’esposizione materna all’inquinamento ambientale è sempre più correlabile con il rischio di malformazioni congenite nel feto e nei neonati. Uno studio descrittivo effettuato a Brindisi e appena pubblicato sulla rivista Environmental Researc ha rilevato “prove dell’associazione tra l’esposizione materna all’anidride solforosa (SO2) e difetti cardiaci”. La maggiore prevalenza di malformazioni congenite emersa sia al livello locale sia rispetto ai registri EUROCAT riguarda in particolare i disturbi cardiaci e i difetti del setto ventricolare nei neonati.
“Nonostante i limiti del nostro studio suggeriscano una cauta considerazione dei risultati e sebbene gli effetti sulla salute risultino minori di quelli registrati per altre esposizioni materne, come ad esempio il fumo – scrivono i ricercatori - l’esposizione all’inquinamento interessa una larga parte della popolazione e pertanto è di importante interesse pubblico”.
“Dal punto di vista scientifico questo è un articolo di frontiera per almeno due ragioni” - ci dice Emilio Gianicolo, primo autore della ricerca e ricercatore dell’IFC del CNR di Lecce attualmente impegnato presso l’Istituto di Informatica medica, biometria ed epidemiologia dell’Università di Mainz (Germania). “La prima ragione è che non ci sono evidenze scientifiche chiare a proposito del fatto che l’inquinamento atmosferico possa essere associato ad anomalie congenite. Come rilevato da Martine Vrijheid e colleghi in una meta-analisi del 2011 vi è qualche evidenza di associazione tra alcuni macroinquinanti atmosferici, fra i quali per esempio l’SO2, ed anomalie congenite del cuore. La seconda ragione, di tipo geografico, ha a che fare con la scelta di una città, Brindisi, relativamente piccola [90.000 abitanti ndr], con conseguenti criticità legate alla numerosità del campione. In sostanza con i dati disponibili abbiamo cercato di rispondere a una domanda di conoscenza che proveniva da più parti, ben coscienti però del fatto che il lavoro sia migliorabile sotto molto aspetti, che abbiamo ripreso nelle conclusioni”.
La ricerca è stata curata da ricercatori dell’Istituto di fisiologia clinica (Ifc) e dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima (Isac) del CNR. “Brindisi si conferma una città in cui gli effetti dell’inquinamento dell’aria possono essere osservati anche con livelli degli inquinanti inferiori ai limiti di legge – scrivono i ricercatori, che aggiungono - una possibile spiegazione può essere data dal complesso scenario di emissioni civili e industriali, così che l’anidride solforosa può essere considerata un surrogato del mix d’inquinanti emessi sia dalle industrie sia dalle attività portuali”.
I casi selezionati nello studio - realizzato con la tecnica del caso-controllo - hanno riguardato neonati fino ai 28 giorni di età, con diagnosi per malformazione congenita, nati da madri residenti nella città di Brindisi dal 2001 al 2010. Il confronto caso-controllo è avvenuto tenendo conto del sesso, dello status socio-economico, dell’area di residenza della madre e dell’anno d’inizio della gravidanza. Per ogni caso considerato si sono estratti fino a quattro controlli. Per stimare l’esposizione all’inquinamento si sono utilizzati i dati disponibili dalle stazioni di monitoraggio assegnando a ogni soggetto in studio sia un valore che rappresenta l’esposizione a concentrazioni medie di inquinanti (SO2 e PTS) sia un valore che rappresenta i picchi delle concentrazioni.
Una ricerca scientifica che non produce prove schiaccianti e definitive, che lascia aperto il campo ad approfondimenti, può permettersi raccomandazioni per il miglioramento della qualità delle informazioni disponibili e indicare azioni migliorative? Sì, se non viene meno al rigore del metodo e se emerge una constatazione rilevante per le politiche di salute pubblica.
Raccomandazioni per la sorveglianza sanitaria
Si legge nelle conclusioni dello studio che “i risultati suggeriscono la necessità di una sorveglianza epidemiologica nell’area e ulteriori ricerche circa gli effetti dell’inquinamento sulla salute [mediante] la registrazione sistematica delle anomalie congenite nell’area”
Il vostro studio avrebbe potuto fornire informazioni più consistenti se aveste potuto disporre del registro delle malformazioni congenite che in Puglia non esisteva?
“Indubbiamente sì perché aumentando la numerosità dei casi si migliora la precisione delle stime. Quando abbiamo condotto lo studio non c’era il registro, in seguito finanziato dalla Regione Puglia. Noi pensiamo che il nostro lavoro e la successiva raccolta di firme promossa dal dott. Di Ciaula - Dirigente Medico Asl BAT, Bari, Andria, Trani - abbiano stimolato la decisione politica. Ci sono diversi tipi di registri per le malformazioni congenite [standard europeo EUROCAT ndr]. Ad esempio qui a Mainz tutti i nati nell’area sono esaminati due volte nel corso della prima settimana di vita. I risultati sono raccolti nel registro che riporta anche informazioni su interruzioni volontarie della gravidanza a causa di un’anomalia del feto e i nati morti dopo la sedicesima settimana di gestazione, compresi gli aborti spontanei. Che è ciò che abbiamo raccomandato anche nella nostra ricerca”.
Ora che è stato finanziato, il registro delle malformazioni dovrà essere avviato e gestito. Chi segue il dibattito sulla cittadinanza scientifica - e crede nella necessità che scienza e scienziati agiscano in considerazione della responsabilità che hanno nei confronti della società - rileva la valenza di questo circolo virtuoso in cui gli scienziati contribuiscono all’avanzamento della conoscenza partendo dalle esigenze della società e con risultati robusti. Forse chiedendo al contempo di ripensare la caratteristica di non criticabilità assoluta che siamo soliti attribuire al lavoro scientifico.
La vostra ricerca, come lei dice, risponde a una richiesta di conoscenza che proviene da più parti. Qual è la società che richiede conoscenza?
“Anche in una città periferica del Sud come Brindisi, ci sono persone che hanno una grande capacità di leggere i fenomeni sociali e ambientali e che hanno anche consuetudine con la ricerca. A Brindisi tra gli altri c’è Giuseppe Latini – neonatologo dell’ospedale di Brindisi, ispiratore della ricerca e coautore dell’articolo oltre che ricercatore associato dell’Ifc del CNR da poco in pensione - con cui abbiamo riflettuto sulla situazione ambientale locale ipotizzando che potesse avere un’influenza anche sullo stato di salute dei bambini. C’è anche un notevole movimento di cittadini che nel tempo ha acquisito maggiore consapevolezza e si è attivato rispetto ai temi ambientali e della salute”.
Raccomandazioni per la valutazione dell'esposizione
Brindisi appartiene a un'area ad alto rischio di crisi ambientale ed è sede di un sito d’interesse nazionale per le bonifiche. I ricercatori raccomandano “miglioramenti nella valutazione dell’esposizione mediante l’integrazione tra i dati di monitoraggio e i modelli di dispersione degli inquinanti, e l’approfondimento degli effetti degli altri inquinanti quali NO2, CO2, PM10 e O3”.
Avete rilevato carenze riferibili sia alla qualità dei dati rilevati sia allo spettro degli inquinanti considerati?
“La nostra osservazione è iniziata nel 2001 quando era disponibile la sola rete di monitoraggio di Enel, Arpa infatti ha avviato la propria rete di monitoraggio solo nel 2005. Per non avere interruzioni della serie storica e non utilizzare dati provenienti da strumenti di rilevazione diversi abbiamo dovuto preferire i dati misurati da Enel. Il nostro auspicio è che nel tempo si possano integrare queste osservazioni anche con l’analisi sugli inquinanti che abbiamo citato”.
L’anidride solforosa e le Polveri Totali Sospese, i due inquinanti considerati nello studio, potrebbero essere attribuiti a una fonte specifica?
“Anche da altri lavori è evidente che l’anidride solforosa a Brindisi ha un’origine piuttosto chiara. Abbiamo visto in un lavoro di Cristina Mangia, coautrice della ricerca e ricercatrice dell’Isac-CNR, che la qualità dell’aria peggiora quando la città è sottovento ai venti che soffiano dai quadranti meridionali e orientali, dove si trovano la zona industriale e il porto. In quelle giornate, che fortunatamente non sono frequenti, si verifica un aumento della concentrazione di SO2. Il nostro interesse è da un lato quello di individuare le sorgenti per capire qual è il loro contributo al peggioramento della qualità dell’aria e dall’altro capire quanto queste sorgenti impattino sullo stato di salute della popolazione. La nostra prospettiva di analisi prevede l’integrazione tra i dati delle centraline di rilevamento e i modelli di dispersione, che ci danno l’idea di come l’inquinamento di una certa sorgente si disperda nell’ambiente”.
Nell’ottica di pianificare la riduzione degli inquinanti sarebbe utile identificare più precisamente la fonte dell’inquinamento? “Abbiamo iniziato a valutare il contributo della centrale a carbone di Brindisi Nord (Edipower), una simulazione su cui tuttavia non abbiamo ancora pubblicato nulla. Cristina Mangia ha presentato un lavoro a Madrid che mira a integrare i dati delle centraline e quelli delle emissioni della centrale di Edipower. Da quello studio si evince che in alcune condizioni meteo e in stato di operatività degli impianti la qualità dell’aria peggiora a causa delle emissioni della centrale”.
Ne sappiamo abbastanza?
Secondo Emilio Gianicolo se si vogliono dare risposte in termini di conoscenza e se si vuole provare ad affrontare determinati argomenti, per illuminarli un po’, allora “bisogna lavorare con ciò che si ha a disposizione”. Abbiamo ragionato della disponibilità e dell’accesso ai dati in un precedente articolo (Scienzainrete) ravvisando la maggiore facilità di accesso ai dati quando si agisce su mandato di una Procura.
A questo proposito com’è stata l’esperienza della vostra ricerca?
“Se si considera che la nostra ricerca riguardava un territorio in cui non è frequente la collaborazione tra istituzioni, quella con l’ASL è stata preziosa, in particolare con l’equipe del dott. Latini che ha fornito i dati sanitari. Si è poi sviluppata una forte collaborazione tra i due gruppi del CNR, quello dell’Isac composto da Cristina Mangia e Marco Cervino - che si occupa più di aspetti ambientali e dell’aria - e quello dell’Ifc che si è occupato più degli aspetti sanitari. L’integrazione e la collaborazione sono state indispensabili. Nessuno di noi avrebbe potuto svolgere questo lavoro in autonomia e con i mezzi di cui disponevamo non avremmo potuto portare a termine la ricerca.
Ricerca che è stata in parte finanziata dall’Associazione Italiana per lo Studio delle Malformazioni (ASM) di Milano”.
Il dibattito della comunità scientifica sulle supposte incertezze circa la correlazione tra le patologie infantili e l’inquinamento ambientale e sull’opportunità che i ricercatori esprimano commenti e raccomandazioni “politiche” nella pubblicazione dei loro risultati è acceso e attuale (Scienzainrete).
Alla fine del 2013 la IARC ha inserito lo smog tra i fattori cancerogeni certi per l’uomo e alla presentazione del pacchetto europeo per l'"aria pulita" il Commissario europeo responsabile per la salute, Tonio Borg, ha detto chiaramente che le attuali soglie di inquinamento sono del tutto insufficienti a garantire la salute del cittadini e che l'inquinamento provoca, oltre al cancro, malattie respiratorie croniche e cardiovascolari e problemi respiratori per i bambini. Il report dell’Agenzia Europea per l’Ambiente (EEA 18/2013) suggerisce di “ridurre ulteriormente le emissioni nocive provenienti dall’industria, dal traffico, dagli impianti energetici e dall’agricoltura”
“Ne sappiamo già abbastanza – scrive infine in un breve commento Benedetto Terracini, epidemiologo ed ex direttore della rivista Epi&Prev - oggi la priorità è prevenire ed è sulla prevenzione che si dovrebbe concentrare l’impegno degli epidemiologi e delle associazioni. Come diceva Giulio Maccacaro e come spesso ci ricorda Luigi Mara la prevenzione comincia con l'impiantistica”. Parola di epidemiologo.