Non ha certo bisogno di presentazioni Henri Poincaré. I suoi ultimi lavori sulla meccanica celeste sono stati pubblicati sulle riviste scientifiche più prestigiose e le sue teorie sull’universo hanno fatto il giro del mondo. Ma oltre a frequentare le regioni più astratte e rarefatte dell’alta matematica, che risultano spesso inaccessibili ai più, questo scienziato non disdegna di mettere le sue conoscenze al servizio dell'interesse pubblico, come è avvenuto di recente quando ha prestato la sua consulenza ai giudici del processo Dreyfus, un caso che ha appassionato (e diviso) l'opinione pubblica. Negli ultimi giorni si è acceso un vivace dibattito su cosa possa essere calcolabile e su cosa invece debba ritenersi questione morale, non soggetta a valutazioni di tipo scientifico. Dopo il confronto avuto con il celebre economista Leon Walras, il professor Poincaré ci ha ricevuti nel suo studio e ha gentilmente accettato di rispondere ad alcune domande sull'economia, un tema oggi quanto mai attuale.
Professor Poincaré, recentemente lei ha avuto uno scambio di opinioni con l'economista Léon Walras su una questione cruciale: fino a che punto l'economia si può considerare esatta, una scienza di tipo matematico? Sappiamo che essa studia il comportamento dell'uomo volti alla soddisfazione dei bisogni reali o presunti tali. Walras ritiene che la sensazione che abbiamo dell'utilità di una cosa sia un "fatto quantitativo", una "grandezza misurabile". Lei pensa che si possa misurare la soddisfazione di un bisogno?
H.P. Io posso dire che tale soddisfazione è più grande di quell'altra, poiché preferisco una all'altra. Ma non posso dire che tale soddisfazione è due volte o tre volte più grande di tale altra. Questo non ha nessuno senso di per sé stesso e non potrebbe acquisirne uno se non con una convenzione arbitraria.
La soddisfazione è una grandezza dunque, ma non una grandezza misurabile.
Se la soddisfazione di un bisogno non è misurabile allora non è possibile operare su di essa come se fosse una quantità matematica. Di conseguenza, la stessa economia, che si fonda su questo concetto, non sarebbe una scienza esatta. E' questo che possiamo dire?
Assolutamente no. La temperatura, per esempio (almeno fino all'avvento della termodinamica che ha dato un senso alla parola temperatura assoluta), era una grandezza non misurabile.
E' arbitrariamente che la si definiva e la si misurava con la dilatazione del mercurio. Si sarebbe potuto altrettanto legittimamente definirla con la dilatazione di qualsiasi altro corpo e misurarla con una funzione qualsiasi di questa dilatazione purché questa funzione fosse costantemente crescente. Parimenti si potrebbe definire la soddisfazione con una funzione arbitraria purché questa funzione cresca sempre come la soddisfazione che rappresenta.
Dunque è possibile ragionare in modo rigoroso pur partendo da premesse arbitrarie?
Ho pensato che all'inizio di ogni speculazione matematica ci sono delle ipotesi e che, perché questa speculazione sia fruttuosa occorre, come del resto nelle applicazioni della fisica, che ci si renda conto di queste ipotesi. E' se si dimenticasse questa condizione che si supererebbero i giusti limiti.
Per esempio, in meccanica si trascura spesso l'attrito e si guarda ai corpi come infinitamente lisci. Lei guarda agli uomini come infinitamente egoisti ed infinitamente chiaroveggenti. La prima ipotesi può essere accettata come prima approssimazione, ma la seconda necessiterebbe forse di qualche riserva.
Quindi, al pari dei concetti di massa e forza, quello di utilità di un bene può essere un nome dato a una grandezza, indispensabile per l'elaborazione di un ragionamento rigoroso, ma del tutto convenzionale e per nulla empirico. Questo ci permette di conoscere la realtà in quanto tale o rimane il prodotto dell'intelletto?
Noi siamo incapaci di conoscere e tuttavia ci impegniamo nell'azione, dobbiamo agire, e in maniera affatto casuale ci siamo fissati delle regole. La scienza prevede, ed è perché prevede che può essere utile e servire da regola d'azione. So bene che le sue previsioni sono spesso smentite dai fatti; ciò prova che la scienza è imperfetta, e se aggiungo che essa lo resterà per sempre, sono certo che questa almeno è una previsione che non sarà mai smentita. Uno scienziato s'inganna pur sempre meno spesso di un profeta che predicesse a caso. D'altra parte il progresso è lento, ma continuo, sì che gli scienziati, benché sempre più arditi, s'ingannano via via di meno. E' poco, ma è abbastanza.
Ma l'idea di fissare delle regole convenzionali per poter agire non rischia nella scienza, e nello specifico nell'economia, di creare liberamente quelli che qualcuno ha chiamato i "fatti scientifici", ovvero prodotti della mente dello scienziato, ben lontani dai "fatti bruti" della realtà concreta?
Questa distinzione tra fatto bruto e fatto scientifico non mi sembra di per se stessa illegittima. Ma deploro soprattutto che la frontiera non sia stata tracciata né in maniera esatta, né in maniera precisa. Infine non posso ammettere che lo scienziato crei liberamente il fatto scientifico, poiché è il fatto bruto che glielo impone. Il fatto scientifico non è che il fatto bruto tradotto in un linguaggio comodo. Tutto ciò che lo scienziato crea in un fatto è il linguaggio nel quale lo enuncia.
Ringraziamo il professor Poincaré per queste riflessioni profonde sulla misurabilità dei bisogni individuali, sui quali si basano le decisioni economiche. Ripensare ai fondamenti dell'economia, con la consapevolezza dei limiti che esistono nel considerarla una scienza esatta, potrebbe forse permettere a questa disciplina di essere più affidabile nelle sue applicazioni al reale.
N.d.r. Le parole di Poincaré sono tratte dalla
lettera inviata il 1° ottobre 1901 da Poincaré
a Walras (in L.Walras, Elèments d'économie
politique pure) e dall'opera di
Poincaré, Il valore della scienza
nell'edizione curata da Gaspare Polizzi.
Con l'"intervista immaginaria" al matematico francese, l'autrice ha partecipato all'Alexandria Scriptori Festival per la categoria Testo Giornalistico, arrivando finalista.