Soltanto qualche mese fa era stata considerata da molti una
scoperta scientifica di importanza capitale, eppure ora c’è il rischio che si
riveli infondata. Stiamo parlando dell’annuncio,
dato il 17 marzo, secondo cui il team dell’esperimento BICEP2 in Antartide
avrebbe trovato la prova dell’inflazione cosmica, il rapidissimo espandersi
dell’universo subito dopo il Big Bang.
La questione è oltremodo tecnica e complessa, ma nella
sostanza si può riassumere così: è possibile che il risultato ottenuto dal
gruppo di BICEP2 sia affetto da errori in fase di analisi dei dati.
Già a poche settimane dall’annuncio ci fu un florilegio di
teorie che proponevano una spiegazione diversa ai cosiddetti “modi B” di
polarizzazione osservati nella radiazione cosmica di fondo, che costituivano la
prova schiacciante dell’inflazione. In particolare, più di qualcuno pensava che
i modi B potessero essere dovuti all’effetto delle polveri contenute nella
nostra galassia (per esempio, vedi qui).
La collaborazione BICEP2 aveva affermato che, in base ai dati, la probabilità
di una contaminazione galattica era altamente improbabile. In base ai dati, per
l’appunto: ed è proprio qui che si cela il problema.
Quelli utilizzati dal team di BICEP2 erano dati preliminari del satellite Planck (che studia la radiazione cosmica di fondo) riguardanti la polvere della Via Lattea. La parola “preliminari” dovrebbe far sorgere qualche dubbio: analisi successive fornite dal team di Planck, infatti, portano a credere che quei dati sottostimerebbero il contributo della polvere galattica. Nel momento in cui si “sottraggono” quei dati dalla mappa della radiazione cosmica di fondo i modi B permangono, ma non c’è più la certezza che costituiscano la prova dell’inflazione cosmica.
Queste considerazioni hanno portato a una parziale “marcia
indietro” da parte della collaborazione BICEP2.
L’articolo
definitivo, uscito su Physical Review Letters, ha un tono decisamente più cauto rispetto a
quello dell’annuncio trionfale dato a marzo. Nell’abstract si legge,
riguardo ai modelli da loro utilizzati per stimare il contributo della polvere
galattica: “Questi modelli non sono sufficientemente vincolati da dati pubblici
esterni da escludere la possibilità di un’emissione da parte delle polveri
abbastanza intensa da spiegare l’intero segnale in eccesso”.
Insomma, il segnale dei modi B è ancora statisticamente
significativo e pertanto il claim originale rimane, ma indebolito quel
tanto che basta da doverne riconoscere la possibilità di errore.
L’unico modo per dirimere la questione, a questo punto, è
portare avanti l’analisi dei dati di Planck, i cui risultati dovrebbero essere
pronti entro la fine di ottobre. Ma c’è di più: sul tavolo c’è anche la
possibilità di una collaborazione Planck-BICEP2 finalizzata proprio a dare una
risposta quanto più certa alla comunità scientifica.
Jan Tauber, project
scientist di Planck, rivela: “Stiamo ancora discutendo i dettagli, ma
l’idea è di uno scambio di dati tra i due team e produrre un articolo in
collaborazione”.